Il quotidiano La Repubblica di Bologna pubblica sabato 18 ottobre nella sezione Spettacoli, Cultura e Arte un’interessante intervista di Francesca Parisini allo scrittore israeliano Avraham Yehoshua intitolata “La città ideale tra forma e utopia”.
L’autore del romanzo “Fuoco amico” recentemente pubblicato da Einaudi è tra gli ospiti del Festival dell’Architettura e il 25 ottobre alla Cavallerizza di Reggio terrà una conferenza su “La mia Gerusalemme”.
Gerusalemme è la protagonista del suo libro più bello, “Il Signor Mani”, ma non c’è suo titolo che in qualche modo non tocchi la Città Santa. Come nell’ultimo, Fuoco amico: “Anche quando la trama si svolge altrove i miei romanzi prima o poi vi approdano tutti, attingendone un’energia particolare, metafisica, kafkiana, o derivante da legami familiari. Gerusalemme rimarrà sempre alla base delle mie opere; non credo che scriverò mai un libro in cui non faccia la sua comparsa almeno una volta”. Lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua ne parlerà il 25 ottobre a Reggio, ospite del Festival Architettura.
Signor Yehoshua, qual è la sua Gerusalemme?
“Gerusalemme è la città in cui sono nato e dove la mia famiglia ha vissuto per generazioni. I miei avi vi si trasferirono da Salonicco all’inizio del XIX secolo. Mio padre era un orientalista e pubblicò 12 volumi sulle usanze e sul folclore dei sefarditi della città e sul loro rapporto con ebrei e arabi. La città per me non è quindi tanto un simbolo religioso, quanto un luogo reale, vivo, in cui ho trascorso i primi 27 anni della mia vita, ho frequentato l’università, preso moglie, comprato il primo appartamento, e di cui, grazie ai libri di mio padre, conosco bene il passato. Durante la mia adolescenza e gioventù era divisa e le strade erano attraversate da un confine internazionale minaccioso che separava sue stati nemici, Giordania e Israele. I simboli religiosi, legati ai luoghi sacri dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam, mi furono accessibili solo dopo la conquista della zona est della città da parte degli israeliani, con la guerra del ’67. A quel tempo, però, avevo già deciso di stabilirmi a Haifa, per sfuggire all’opprimente peso simbolico e politico di Gerusalemme. Sotto il dominio israeliano la città si è ampliata in modo sproporzionato, per motivi politici e nazionalisti, e quando torno in visita preferisco rimanere nei posti che mi sono familiari e nelle zone laiche della città”.
Gerusalemme è città simbolo per cristiani, cattolici e musulmani: in che modo questo ne ha influenzato l’architettura?
“I luoghi sacri alle varie fedi, le moschee, le chiese e le sinagoghe, non furono edificati sotto un unico dominio politico; ogni nuovo conquistatore (romani, arabi, crociati, ottomani, inglesi e infine ebrei) faceva costruire i suoi. Così la città risulta un insieme di sovrapposizioni. All’inizio dell’era cristiana il tempio degli ebrei fu distrutto dai romani e, dopo la conquista araba del VII secolo d.C., sulle sue rovine fu edificata una grande moschea. Del tempio è rimasto solo un piccolo muro di pietra pateticamente appiccicato a una magnifica moschea islamica. Ed è questo il luogo più sacro degli ebrei. Dopo la loro vittoria sugli ottomani, gli inglesi imposero un nuovo ordine ai luoghi sacri e altrettanto fecero gli israeliani nel ’67. La grande concentrazione di luoghi sacri all’interno della città vecchia, in una zona di un solo chilometro quadrato gonfia di tensioni e ostilità tra diverse etnie e comunità, fa sì che la vita della Gerusalemme moderna sia molto differente da quella della città vecchia”.
Qual è la sua città ideale?
“Non so cosa si intenda per città ideale. Io vivo in Israele e l’idea di città ideale è immancabilmente legato all’ambiente in cui vivo. A Haifa, la mia città, ebrei e arabi, laici e religiosi, convivono in armonia. La contiguità di mare e collina è per me fonte di ispirazione e la laicità di questa città, da sempre governata da una giunta socialista, ben si concilia con le mie convinzioni ideologiche”.
Molte città del mondo stanno perdendo la propria identità a causa della globalizzazione. Gerusalemme corre questo rischio?
“La globalizzazione può danneggiare il carattere peculiare delle città. Le tradizioni vanno preservate a ogni costo, così come i vicoli e i vecchi quartieri. Si deve fare il possibile per non deturpare i centri antichi delle splendide città europee, e soprattutto italiane. Spero che l’odierna crisi economica ponga un freno all’incontrollato sviluppo edilizio, alla costruzione di palazzi anonimi e di grattacieli mostruosi, e faccia sì che l’architettura riacquisti più modestia e umanità”.
Recentemente lei ha visto “L’istruttoria” di Peter Weiss messa in scena a Tel Aviv dal Teatro Due di Parma. Cosa ne pensa?
“E’ un’opera straordinaria, scritta da un autore coraggioso in un periodo in cui si parlava poco della Shoah. Mi sono concentrato in particolare sulla recitazione degli attori e sulla regia che mi sono parsi intensi e particolari. La pièce gira da anni nei teatri italiani e questo fa onore allo Stabile di Parma e al pubblico italiano, disposto ad affrontare un tema tanto difficile e complesso”.
Il Teatro Due porterà in scena, a Parma, il suo libro “Una notte di maggio” e lei sarà a Parma proprio il giorno del debutto, il 24 ottobre. Come è nata questa collaborazione?
“Non è la prima volta che le mie opere vengono rappresentate in Italia: è stato tratto un film dal romanzo “L’amante” e la pièce teatrale “Possesso” è stata interpretata dalla straordinaria Franca Valeri. Di recente anche i fratelli Taviani hanno manifestato interesse per un adattamento cinematografico di “Fuoco amico”. Quanto a “Una notte di maggio” proposta dal Teatro Due, conosco questo teatro, la serietà del suo lavoro e la sua attrice Elisabetta Pozzi: sono certo che la messinscena rispecchierà fedelmente lo spirito dell’opera”.
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