Su REPUBBLICA di oggi, 18/10/2008, a pag.42, con il titolo " Io, first lady, aiuterò la Siria a cambiare volto ", una intervista alla moglie dei rais Bashar al Assad di Alix Van Buren, un ritratto che sembra accompagnato dal suono di mille violini, in puro stile Van Buren quando descrive la realtà dei paesi che circondano il "cattivivo" Israele. Terminata la musicale intervista, consigliamo i nostri lettori di rientrare nella vita vera leggendo, in altra pagina di IC, l'analisi del FOGLIO su quello che il marito della signora Asma sta preparando per il Libano.
dal nostro inviato
Si sapeva che Asma al-Assad, la first lady siriana, ha fama di donna moderna, col gusto d´andare controcorrente. E lei non tradisce il suo personaggio presentandosi al volante di un Suv grigio metalizzato: inserisce l´iPod, ingrana la marcia e annuncia: «Andiamo in città, senza scorta. Nessuno ci farà caso». Sul sedile posteriore sorride compiaciuta Leyla, la giovane assistente.
Al Aqilatu al Rais, i siriani la chiamano semplicemente così: la moglie del presidente. Per il quotidiano israeliano Haaretz è "la first lady che ha offuscato Carla Bruni" quand´è comparsa quest´estate a Parigi al fianco del marito, il presidente Bashar al-Assad, segnando il ritorno della Siria dopo anni di isolamento internazionale. Per Paris Match "evoca l´immagine di una Lady Diana orientale". E il prestigioso Forward ebraico newyorchese ha titolato: "Quel che Michelle Obama può imparare da Asma al-Assad: donna dalla forte personalità in una regione fra le più aspre al mondo". Sono complimenti sorprendenti, visto il netto contrasto con l´immagine di grigiore proiettata dalla Siria in quarant´anni di regime ba´athista, socialista, sfociato nella difficile transizione che sta compiendo il Paese. Malgrado le aperture europee, Damasco resta nell´elenco americano delle nazioni che sostengono il terrorismo: in primo luogo Hamas e Hezbollah.
Di certo non ha torto la stampa internazionale quando, a proposito di Asma al-Assad, scrive: "Procede sui suoi tacchi a stiletto con la grazia di una ballerina". E lei fa si presenta proprio così: un filo di trucco, stivali con 12 centimetri di tacco, jeans in velluto marrone. «Che effetto mi fa tanta pubblicità dopo la stagione dell´isolamento? Penso che all´estero non ci conoscano bene, i miei tratti sono comuni alla maggioranza dei siriani e delle siriane».
Tuttavia, che la first lady incarni un nuovo aspetto "liberista" lo racconta il suo curriculum: 33 anni, nata e cresciuta a Londra, padre cardiologo con studio a Harley Street, madre diplomatica; laureata fra l´altro in Scienze informatiche («Ero l´unica ragazza in una classe di 25 maschi»), prima di sposare nel 2000 il presidente Assad era esperta finanziaria a Londra, Parigi e New York: con la Deutsche Bank, poi con la J. P. Morgan, lanciata verso una carriera tra City e Wall Street.
Non è forse un caso se la first lady siriana da ieri è in Italia, ospite alle Giornate internazionali di studio Pio Manzù dove riceverà la medaglia d´oro del presidente della Repubblica "per il suo ruolo di ambasciatrice straordinaria del cambiamento, e l´impegno nell´assicurare che la crescita economica in Siria si traduca in un beneficio per l´intera popolazione ".
Signora al-Assad, non le sembra un impegno troppo ambizioso?
«Quel che conta è chiedersi dove siamo, quale percorso imboccare. E qui incidono due fattori: innanzitutto le condizioni interne, e mi riferisco a quanto siano coinvolti i cittadini nel processo di riforma, perché sui tempi dell´attuazione pesa anche l´atteggiamento mentale. Il secondo fattore, invece, riguarda le circostanze esterne: viviamo in una regione che non ha ancora conosciuto la pace. E questo è un elemento incontrollabile, ingovernabile, che detta il nostro passo.».
Quanta parte ha, lei, nell´influenzare il processo decisionale?
«Sia chiaro: il presidente è il presidente. Ciò detto, a casa siamo una squadra composta da marito e moglie. Scambiarsi idee è naturale, anzi salutare. Il mio contributo viene dall´esperienza che ho accumulata, dalle iniziative che sostengo. Io porto informazioni raccolte sul terreno, nel mio contatto diretto con la popolazione».
Si è detto che al suo ritorno in Siria, lei abbia viaggiato il Paese in incognito. Perché?
«L´ho fatto per stabilire un rapporto sul campo con la gente, fondato sulla comunicazione, il che significa rimboccarsi le maniche e tentare di combinare qualcosa insieme. Per troppo tempo i progetti di sviluppo sono stati elaborati in convegni o in uffici distanti dalla realtà. E per troppo tempo il governo ha assunto la responsabilità di guidare lo sviluppo, la riforma, la modernizzazione. Non c´è ragione: il settore privato ha un ruolo importante, come la società civile. E la gente si appassiona. Fa delle critiche. Offre suggerimenti. C´è così tanto da fare: ogni individuo escluso è uno spreco di risorse».
È un quadro molto diverso dall´immagine di una Siria tanto impenetrabile che, stando alla stampa israeliana, i servizi militari di quel Paese le avrebbero introdotto un virus nella posta elettronica per monitorare la sua corrispondenza con il presidente, che è giudicato un "arcano". Come sono andate le cose?
«Che il mio computer sia stato penetrato, l´ho scoperto dalla stampa. Ma non mi scompongo. E´ successo, basta. In ogni modo non comunico con mio marito attraverso l´e-mail. Preferisco l´approccio diretto, e mi scusi se sorrido».
Resta che il presidente è definito a Washington un dittatore, capo di uno Stato promotore del terrorismo. Qual è la sua risposta?
«Questa: che vedo una contraddizione in quel che lei dice. Come si spiega, infatti, che per un verso conduciamo la vita di una coppia qualsiasi, che va fuori a cena e a teatro con gli amici, alle giostre coi bambini, che abita in un appartamento in un quartiere normale, coi nostri figli che giocano per strada con quelli dei vicini, quando per l´altro verso il presidente sarebbe un tiranno, lontano dal popolo. Le due cose non possono coesistere. Quanto all´"arcano" del presidente, basta osservare e ascoltare: le nostre posizioni sono chiare, esplicite, coerenti. Forse proprio questo non ci aiuta».
E com´è il presidente in privato?
«E´ un padre di famiglia presente, premuroso. Se vuole sapere che cosa mi ha attratto in lui, le parlerò del suo ottimismo, l´apertura mentale, la prontezza a esplorare ogni possibilità. Sono doti necessarie a chiunque, tanto più in questo momento storico, pieno di ostacoli. Ma io l´ho sposato per quel che lui è, non come presidente».
Lei è musulmana, istruita alla Church of England, una scuola di religiosi cristiani, e qui a Damasco frequenta il convento delle Suore salesiane. Ha conservato buoni rapporti con i cristiani?
«Perdoni se la correggo: io non ho "buoni rapporti" con i cristiani così come non posso avere un "buon rapporto" con me stessa, con le mie gambe e le mie braccia. Noi siriani siamo un unico corpo. La nostra storia non è storia di oggi: è storia millenaria; San Paolo e la Moschea omayyade sono parte di chi sono io come essere umano. In Europa si parla di coesistenza, ed è un bene. Ma questo è perché, ad esempio in Inghilterra, indiani, britannici, hindu, sikh, musulmani non fanno parte del patrimonio storico, delle radici del Paese. Qui siamo una famiglia allargata».
Signora al-Assad, lei è vissuta in Europa lontana dalle guerre. Questo le dà una prospettiva diversa?
«La cultura della pace che esiste in Europa non esiste in Medio Oriente. Io sono stata fortunata. Spero che questa generazione possa conoscere la stessa pace che ho vissuto io quando crescevo in Inghilterra. Se dobbiamo far fiorire il nostro potenziale come regione, meritiamo quello stesso diritto».
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