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La Stampa Rassegna Stampa
16.10.2008 Hezbollah minaccia... la Siria !
è la tesi di Igor Man

Testata: La Stampa
Data: 16 ottobre 2008
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «Siria-Libano riconciliati per liberarsi di Hezbollah»
La STAMPA on line del 16 ottobre 2008 pubblica uneditoriale di Igor Man sull'apertura delle relazioni diplomatiche tra Libano e Siria.
Nell'ingarbugliato ragionamento di Man si colgono due punti sconcertanti: la comprensione del "vecchio cronista" per il desiderio "romantico" trasmesso da Assad padre ad Assad figlio di annettere il Libano alla Siria, in base alla concezione per la quale l'esistenza di alcuni stati è una ferita non rimarginabile, e la sua convinzione che il terrorismo che opera in Libano sponsorizzato da Teheran minacci la Siria.
Non Israele e l'Occidente:la Siria alleata dell'Iran, tramite dei rifornimenti ad Hezbollah.

Ecco il testo:


Siria e Libano hanno aperto relazioni diplomatiche. La vulgata vuole che apprendendo di questa o di quella iniziativa araba, Golda Meir immancabilmente si domandasse «dov’è la fregatura?». È troppo difficile rispondere. Possiamo solo constatare che la Siria, cacciata da Beirut a furor di popolo dopo l’assassinio del premier Hariri (assassinio attribuito al Deuxième Bureau damasceno), è uscita dal portone per rientrare dalla finestra. Una finestra destinata a inglobare il portone. Nel senso che sarà facile giustificare il possibile ritorno dei soldati siriani in Libano, sulla spinta delle relazioni diplomatiche.

Qualcuno, a Beirut, parla di «occupazione morganatica» ipotizzando la preoccupazione siriana di far blocco in vista d’una trattativa di pace con Israele. «Senza l’Egitto non si può fare la guerra, senza la Siria non si può fare la pace»: questo, secondo i guru di Zamalekh, il perché del clamoroso accadimento diplomatico. E’ la pace, ovvero il miraggio d’essa, il regista dell’exploit diplomatico. Un conto è andare in ordine sparso a una trattativa che tutti auspicano, altro conto è aprire un tavolo, come suol dirsi, senza la preoccupazione che qualcuno sparigli le carte.

Abbiamo dunque due «interpretazioni» dell’accadimento. Una diremmo «romantica»: il figlio (Bashar) che corona il sogno del padre (Assad) che s’è sempre sentito scippato del Libano. Nell’aprile del 1973, quando ebbi la ventura di intervistarlo, Hafez Assad, lui, la Sfinge di Damasco, mi disse che in Medio Oriente i confini sono le cicatrici della Storia: «Qualcuna non si rimargina mai». C’è, poi, un interrogativo prepotente alla ribalta. Ha un nome fatale: Iran. Non è un mistero che gli Hezbollah - trasferiti nel ‘79 da Khomeini nella vallata della Bekaa «per tener viva la fiamma di Gerusalemme» - siano oggi una valida forza politico-militare, fonte di quotidiana preoccupazione e sul terreno e nelle cancellerie. Quei soldati, telediretti dal regime iraniano, si muovono, a ridosso del Libano, con (preoccupante) mobilità operativa. Se, come da (solenne) comunicato congiunto Siria e Libano dalla gesticolazione passassero ai fatti, vale a dire decidessero di stroncare il montante terrorismo che angustia la Siria colpita nei suoi santuari di intelligence, siamo sicuri che Hezbollah non alzerà paglia?

Il segretario generale dell’Onu, commentando il colpo di scena ha definito «una pietra miliare» la decisione libano-siriana. Incrociamo le dita.

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