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Informazione Corretta Rassegna Stampa
16.10.2008 Petrolio, finanzia, politica: dal caos nascerà il caos ?
l'analisi di Federico Steinhaus

Testata: Informazione Corretta
Data: 16 ottobre 2008
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: «Petrolio, finanzia, politica: dal caos nascerà il caos ?»

Da una situazione apparentemente ingestibile ed imprevedibile, le cui cause appaiono oscure e le cui conseguenze sono minacciose, possiamo tentare di estrapolare alcuni punti fermi ed alcune indicazioni che molti analisti qualificati ritengono credibili.

Il petrolio

Da una statistica del Wall Street Journal emerge che nel 1973, l’anno della crisi petrolifera dovuta all’embargo arabo usato come risposta alla vittoria di Israele nella guerra del Kippur, gli Stati Uniti importavano il 24% del loro fabbisogno; nel 1990 ( prima guerra del Golfo ) essi importavano il 42% del loro fabbisogno; oggi la percentuale è del 70%, con una spesa di 700 miliardi di dollari, il quadruplo del costo annuo della guerra in Iraq. Si tratta del più colossale trasferimento di ricchezza nella storia dell’umanità:  questa ricchezza passa dalle tasche degli americani a quelle di stati totalitari basati sulla religione e che in parte sostengono e finanziano l’estremismo, ma anche a quelle di uno stato il cui presidente vuole annientare gli Stati Uniti ed Israele, ed infine a quelle di un leader estremista che sta infiammando l’America Latina.

Il petrolio è la principale causa di assurdi arricchimenti e di angoscianti impoverimenti di bilanci nazionali;  in quanto tale è un’arma potentissima se viene gestita con cinismo. Pochi sanno che la decisione di Hitler di invadere la Russia fu in parte motivata dalla necessità di impadronirsi delle sue risorse petrolifere, e così anche la disperata corsa di Rommel verso il Medio Oriente: difatti la scarsità di carburante lasciò a terra la Luftwaffe quando gli alleati invasero la Normandia e verso la fine della guerra i veicoli tedeschi non di rado venivano trainati da buoi (“Response”, Vol.29 nr.2).

Il denaro che l’occidente versa giornalmente ai paesi produttori di petrolio non arricchisce quelle popolazioni, non eleva il loro livello sociale e culturale, ma direttamente od indirettamente finanzia il terrorismo, il radicalismo, la violenza e la violazione dei diritti umani. Per ogni 20 dollari di aumento del costo di un barile l’Iran – che notoriamente finanzia ed arma Hezbollah e Hamas -ha una maggiore entrata annua di 10 miliardi di dollari. In questi ultimi giorni il petrolio è sceso di quasi 60 dollari al barile e questo significa che l’Iran sta rischiando di perdere 30 miliardi di dollari di royalties; ma se e come questo calo di risorse si rifletterà sulle potenzialità del terrorismo non è dato sapere. Lo stesso ragionamento vale per Chavez che con le risorse petrolifere cerca di allargare la cerchia dei nemici degli Stati Uniti, ma vale anche per altri stati produttori che al contrario agiscono da stabilizzatori del sistema, come ad esempio gli Emirati.

In conclusione il mercato del petrolio ha la capacità di  destabilizzare gli equilibri politici interni ed internazionali causando nuove tensioni ed incertezze. Lo dimostra il progetto degli Emirati di costruire un canale che consenta il transito delle petroliere verso oriente senza che esse debbano passare dall’insidioso Stretto di Hormuz controllato dall’Iran, oggi unico passaggio per il petrolio iraniano , iracheno, del Kuwait e degli Emirati.

La finanza

Il collegamento fra il petrolio e la finanza mondiale è evidente; meno evidente è il collegamento fra questa crisi finanziaria e le conseguenze che essa innescherà in politica.

Innanzi tutto questa crisi sta già influendo sulle imminenti svolte politiche negli Stati Uniti ed in Israele, il che potrebbe significare in un futuro non lontano diverse tipologie di alleanze e di equilibri di potere. Quanto questa crisi potrà allontanare l’attenzione dal contenzioso israelo-palestinese per concentrarla su tematiche economiche interne non è dato sapere oggi, né di conseguenza se il processo di pace, già molto difficile,  ne venga rallentato. Inoltre, e questo potrebbe essere un fattore determinante, nell’eventualità che israeliani e palestinesi si accordino su un trattato di pace, il mondo occidentale fortemente impoverito non potrebbe affrontare l’enorme impegno economico di un finanziamento compensativo da erogare ai “profughi” palestinesi per il loro mancato “ritorno” : vorrà farlo qualche stato arabo moderato arricchitosi col petrolio e con la borsa? E chi potrebbe fornire ad Israele la tecnologia difensiva di cui avrebbe bisogno se arrivasse a firmare un trattato di pace con la Siria che comporti un ritiro dal Golan?

E poi, un’America ed un’Europa impoverite potrebbero fronteggiare efficacemente il neo-imperialismo russo, che appoggia l’Iran e la Siria?

Il potere contrattuale potrebbe facilmente e velocemente passare di mano ed in tal caso un declino delle potenze dominanti del XX secolo non sarebbe più fantascienza; ma in che misura ne approfitterebbero India e Cina, e con quali finalità?

La politica

Lo scenario che si prospetta pone molte domande ma non fornisce risposte. Oggi sono più determinanti i fattori di incertezza e non gestibili che non la ragion di stato  e la possibilità di operare delle scelte fra opzioni prevedibili e razionali.

Si pensi solamente all’opzione nucleare. La strategia dell’Iran, uno stato aggressivo che si presenta sulla scena come potenza regionale, non può non essere fonte di preoccupazione per gli stati arabo-sunniti che a loro volta hanno avviato programmi per l’uso pacifico del nucleare: Algeria, Egitto, Giordania, Libia, Yemen, Arabia Saudita, Marocco, Tunisia ed Emirati sono firmatari di accordi con la Francia, la Gran Bretagna , gli Stati Uniti ed altre nazioni dotate della tecnologia necessaria.

In quella regione la mancanza d’acqua è drammatica. I consumi di energia elettrica sono saliti dal 1980 al 2003 del 129,1% negli Emirati Arabi, del 236,2 % in Arabia Saudita, del 333,1% in Giordania, del 197,2% in Egitto (fonti ONU, 2005). Ma forse ancor più forte è il condizionamento politico che oppone questi stati allo sciita Iran. Difatti e diversamente dall’Iran, malgrado le varie guerre combattute, l’unico stato che si presume sia dotato di efficaci armi nucleari, Israele, non ne ha mai fatto uso (neppure quando stava perdendo) e non viene considerato se non a parole una minaccia reale per il mondo arabo.

Non si può escludere che anche l’indebolimento militare e politico di Al Qaeda, oramai evidente, possa essere ricondotto a cause estranee alla semplice supremazia sul campo dei suoi nemici. E’ significativo che in Pakistan gli anziani delle tribù del Nord-Ovest, in una grande jirga (assemblea) tenuta il 21 settembre a Wari, abbiano deciso di formare comitati di pace nei villaggi per monitorare le attività violente e di allestire un  esercito di 20.000 uomini per combattere sul campo contro i talebani. E’ anche stata istituita una multa di 2 milioni di rupie pakistane e la pena della distruzione della casa a carico di chiunque offra rifugio a talebani (quotidiani in urdu Roznama Jang e Roznama Jasarat, tradotti da Memri).

Ugualmente interessante è la recente iniziativa dell’Arabia Saudita (la patria di Osama bin Laden) di avviare un dialogo riservato coi talebani per convincerli a deporre le armi.

Gli argomenti su cui meditare e le analisi da valutare sono dunque abbondanti, ma nessun politologo è oggi in grado di prevedere quanto avverrà fra pochi mesi, men che meno fra un anno o due anni. Non è facile essere ottimisti, ma le grandi democrazie occidentali (ed includiamo fra queste Israele) hanno sempre trovato in sé le risorse per affrontare le difficoltà e, con la forza delle proprie istituzioni, vincere.


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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