“I suoi libri hanno dato un contributo decisivo all’americanizzazione degli ebrei e alla loro influenza sulla cultura americana” disse il presidente della comunità ebraica commemorando Chaim Potok dopo la sua morte nel 1973. Figlio di ebrei polacchi hassidici ed educato nella stretta osservanza della tradizione Lubavitch, Potok si ribellò alla famiglia, che avrebbe voluto farne un collaboratore del Rabbe così come lo erano stati il padre e il nonno, per diventare scrittore (l’occuparsi di letteratura era proibito come sconveniente distrazione dallo studio della Torà e del Talmud). Potok è stato uno dei primi a descrivere dall’interno la vita degli ebrei ortodossi a New York in romanzi popolarissimi che avevano come temi centrali il contrasto tra zelo religioso e pragmatismo, la tensione tra il mondo chiuso degli ebrei hassidici e l’aperto ambiente americano in cui vivevano. Nei suoi libri il conflitto diventa inevitabilmente un confronto tra padri e figli.
Asher Lev è figlio unico, il padre lavora per conto del Rabbe in una organizzazione che cerca di far uscire gli ebrei dalla Russia di Stalin, per questa ragione viaggia molto e il bambino cresce accanto a una madre sensibile e incline alla depressione. Anche Asher è sensibile e introverso, ma trova uno sfogo in una grande passione: quella di dipingere e disegnare senza posa, in ogni occasione. Tutti i pensieri, i sentimenti, le osservazioni, diventano materia di espressione pittorica – con un’ossessività e un talento che rammentano le storie di vita di grandi pittori come Van Gogh o Toulouse Lautrec. Nella comunità rigidamente organizzata su basi gerarchiche in cui vive è però difficile accettare che un giovane scelga la propria strada, per di più se questa è la pittura, che il padre considera una cosa futile e contraria alla religione. L’ebreo Asher, che rimane devoto e praticante, dipingerà alla fine una crocifissione, e a quel punto la sua uscita dalla comunità diventerà ineluttabile.