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Il Manifesto Rassegna Stampa
11.10.2008 Il caso B'Tselem
Una organizzazione umanitaria o un pericolo alla sicurezza interna ?

Testata: Il Manifesto
Data: 11 ottobre 2008
Pagina: 9
Autore: Michelangelo Cocco
Titolo: «B'Tselem a Washington»

Dal MANIFESTO di oggi, 11/10/2008, a pag.9, riportiamo l'articolo di Michelangelo Cocco dal titolo " B'Tselem a Washington". I nostri lettori conoscono questa organizzazione "umanitaria" con sede a Gerusalemme,per cui ci limitiamo a riprodurre l'articolo di Angelo Pezzana uscito sul mensile "SHALOM" nel dicembre 2007, disponibile nell'archivio di Informazione Corretta. Nell'intervista del MANIFESTO che segue, e nelle parole dello stesso responsabile americano Mitchell Plitnick, vi è condensata tutta la democrazia israeliana che lo stesso giornale quotidianamente nega. In quale altro paese, in stato di guerra perenne e sotto la minaccia di essere attaccato e distrutto, può mai esistere una organizzazione che si dichiara si "umanitaria", ma la cui reale attività è quella di minare una delle istituzioni più essenziali all'esistenza del paese stesso, Tzahal, l'esercito di difesa ? L'interesse di B'Tselem , la difesa dei diritti civili, è rivolta in una unica direzione, che esclude la sopravvivenza dello Stato ebraico. Lo si evince dalla dichiarazione alla fine dell'intervisa "Il sionismo per noi non è una questione rilevante. Uno Stato unico o due stati in Palestina devono avere come fondamento il rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale, cosa impossibile finché dura l’occupazione militare." A B'Tselem il sionismo non interessa, gli va anche bene che esista uno stato unico per due popoli, che è come dire la scomparsa di Israele quale stato democratico degli ebrei, sostuito da un ennesimo stato arabo, nel quale gli ebrei tornerebbero a essere minoranza, nelle condizioni di vita facili da immaginare. A B'Tselem non interessano i diritti civili degli ebrei, l'esistenza di Israele quale stato democratico. Pensiamo che non siano interessati nemmeno ai diritti civili dei palestinesi, visto che non si preoccupano affatto della fine che farebbero sotto un governo Hamas se il progetto di uno Stato unico che per loro è indifferente si realizzasse davvero. Eppure una organizzazione simile vive e prospera a Gerusalemme. Da un certo punto di vista ci fa persino piacere. E' la dimostrazione che la democrazia israeliana è forte e sicura delle proprie azioni. Ciò non toglie la legittimità delle domande che a B'Tselem  possono essere rivolte. Ma questo è un aspetto che riguarda lo Stato d'Israele e la sua sicurezza interna.  Segue l'intervista del Manifesto e la ripresa dell'articolo di Shalom del dicembre 2007.

B'Tselem a Washington- di Michelangelo Cocco:

 Da decenni, ogni qual volta nelle stanze dei bottoni di Washington si apre il dossier Israele - che si tratti di chiedere la rimozione di qualcuno delle centinaia di posti di blocco che tormentano la vita dei palestinesi o dello stanziamento dei tre miliardi di dollari che, ogni anno, Tel Aviv riceve dagli Stati
Uniti e spende quasi tutti in armamenti - ministri, parlamentari e opinione pubblica americana ascoltano i gruppi di pressione filo-israeliani guidati dall’American Israel public affairs committee (Aipac). Associazioni che come obiettivo della loro azione lobbistica hanno la «sicurezza d’Israele» e la colonizzazione dei Territori occupati. La prossima amministrazione però dovrà sentire anche un’altra campana, perché lo scorso 24 settembre B’tselem (www.btselem.org) ha aperto un ufficio a Capitol hill. Ne abbiamo parlato al telefono con Mitchell Plitnick, che dirige la «filiale Usa» dell’organizzazione israeliana che, dal 1989, rappresenta una delle voci più autorevoli a tenere alta l’attenzione
sulle violazioni dei diritti umani nei Territori
occupati.
Perché avete aperto un ufficio a Washington?
Vogliamo fornire informazioni sulla situazione dei diritti umani nei Territori occupati ai membri di Capitol hill (i parlamentari, ndr), ai governanti, alla comunità ebraica e aimedia statunitensi. La maggior parte della comunità ebraica degli Usa è favorevole alla nascita di uno Stato palestinese e non appoggia la colonizzazione. Per gran parte di loro Israele finora non è stata una priorità. Queste posizioni
però finora non sono state rappresentate. Ora invece si stanno formando nuovi gruppi che criticano le politiche israeliane e l’appoggio dato loro da Washington. B’tselem ha un ruolo da svolgere in questo processo: mostrare a Washington che c’è un Israele che crede nella pace, nei diritti umani e nel diritto internazionale. Oltre all’attività d’informazione faremo pressione affinché i diritti umani vengano considerati in ambito diplomatico.
Perché «internazionalizzare» la questione dei diritti umani?
La maggior parte della nostra attività si svolge all’interno di Israele, dove ci battiamo nei tribunali, contro la polizia e i militari, ogni volta che ci sono violazioni dei diritti umani dei palestinesi. Tuttavia gli Stati Uniti e la comunità ebraica americana hanno grandi responsabilità per quello che succede a Ramallah o Jenin. Molta della loro influenza è stata esercitata finora solo per promuovere la «sicurezza d’Israele» e non la democrazia e i diritti dell’uomo.
Come affronterete la «concorrenza» dell’Aipac e delle altre organizzazioni pro-israeliane negli Usa?
La nostra prospettiva è diversa: non ci occupiamo di politica in senso stretto,ma di diritti umani. L’Aipac, che a mio modo di vedere ha un’agenda che non mira a proteggere la struttura democratica d’Israele - per esempio non criticando la violenza dei coloni in Cisgiordania - ha avuto successo perché, rispetto ad altre organizzazioni più moderate, si è fatta sentire molto di più. E portare qui B’tselem mira a far sentire una voce diversa da quella dell’Aipac al Congresso, al dipartimento di Stato e alle altre istituzioni statunitensi.
 Perché sono in aumento le violenze dei coloni nei confronti dei palestinesi nei Territori occupati?
Ritengo che l’evento scatenante sia stato il ritiro da Gaza (nell’estate 2005, ndr). Da allora la parte più militante dei coloni ha identificato come nemico lo stesso governo d’Israele. Questi settler ora credono che l’esecutivo lavori contro di loro. Secondo l’interpretazione storico-religiosa di questo segmento dei coloni, Gerusalemme, Nablus e altre località dei Territori occupati contano molto di più di Tel Aviv o Haifa e faranno di tutto per mantenerle sotto il loro controllo. Per questo ora non attaccano più solo i palestinesi, ma anche la polizia e i soldati israeliani.
I vostri detrattori vi accusano di non essere sionisti e non appoggiare la soluzione dei due stati.
All’interno di B’tselem convive una varietà di posizioni politiche,mal’organizzazione non è un gruppo politico. Il sionismo per noi non è una questione rilevante. Uno Stato unico o due stati in Palestina devono avere come fondamento il rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale, cosa impossibile finché dura l’occupazione militare.


Da SHALOM, dicembre 2007, riportiamo l'articolo di Angelo Pezzana sul centro di informazione  B'Tselem di Gerusalemme.

 

Per definire l’aspetto democratico di una società non può esserci di meglio che una organizzazione che “ promuove i diritti civili, serve da centro di ricerca occupandosi dello sviluppo dell’educazione pubblica, il tutto per assicurare che il paese operi ad un livello etico il più alto possibile “. Si può non essere d’accordo ? Il paese è Israele e il centro si chiama B’Tselem, una parola che viene dalla Genesi (1:27), “ Dio creò l’essere umano a sua immagine”, e che oggi è usata quale sinonimo di “ dignità umana”, nel senso che tutti nasciamo liberi e uguali in dignità e diritti. Chi non sottoscriverebbe ? Le domande cominciano però quando, dopo le definizioni, si va oltre la facciata. Perchè i diritti umani che B’Tselem difende sono solo quelli dei palestinesi che vivono a Gaza e nel West Bank, li difende dalle violenze che Tsahal, l’esercito di difesa israeliano, commette nei loro confronti, sia fisicamente che mediante altre violazioni, come espropri di case o terre ritenuti illegali, o da azioni militari contro la popolazione civile. Nei suoi uffici, al quarto piano di un edificio nella zona industriale di Gerusalemme, lavorano circa 40 persone, più una decina di “investigatori”, gente che va in giro per i territori per raccogliere le proteste dei palestinesi e per tenere sotto controllo il comportamento dell’esercito israeliano. Mi ha colpito, entrando , un attestato di benemerenza appeso nell’ingresso, con gli elogi della Fondazione Carter, quello stesso presidente che è tornato di recente all’onor della cronaca, dopo un passato da presidente Usa non proprio onorevole (difficile dimenticare la sua totale sconfitta di fronte all’Ayatollah Khomeini che aveva sequestrato i dipendenti dell’ambasciata Usa a Teheran) con un libro best seller nel quale sostiene l’equazione Israele=Apartheid. Fatto curioso, la data dell’attestato è il 1989, esattamente l’anno di costituzione di B’Tselem, quando si dice intesa a prima vista. Rilevante è anche il budget annuale, 3 milioni di dollari, in gran parte proveniente da istituzioni pubbliche internazionali o fondazioni ( brilla la Fondazione Ford, un nome che ha lasciato tracce nella storia dell’antisemitismo americano), i privati partecipano solo al 20%. Non sempre le denunce di B’Tselem sono prive di fondamento, gli eserciti di difesa non si occupano di tè benefici, quando c’è una guerra, quando si spara perchè si è in zona di fuoco, è probabile che vengano commessi degli errori, ma la specialità del nostro centro è quella di fare in modo che venga alla luce solo il risultato e non le condizioni che l’hanno determinato. Gaza, per esempio. Israele ne è uscita in modo completo e definitivo nell’agosto 2005, ma secondo il punto di vista di B’Tselem è ancora Israele il responsabile di quanto accade nella striscia. Lanciare missili kassam su Israele non è una attività da elogiare, ma non vale pena citarla, quello che interessa ai nostri ricercatori sono le attività brutali e violente dell’esercito israeliano. Quando deve arrestare un terrorista, asserragliato in una casa privata, con la possibilità che spari e uccida, i soldati isrealiani, per non commettere alcun atto contro i diritti umani paestinesi, dovrebbe suonare il campanello e chiedere se il signor terrorista X è in casa, e poi invitarlo con le buone a consegnarsi. In questo caso si può star certi che nessuna prevaricazione verrà commessa. Peccato che le cose vadano in maniera diversa. Ma a B’Tselem questo non importa, così si sorvola sull’uso dei civili quali scudi umani da parte di Hamas e dei terroristi in generale. E’ un particolare irrilevante, infatti, nei rapporti vengono solo evidenziati i numeri delle vittime palestinesi paragonate a quelle israeliane, che sono inferiori, il che sarebbe la prova della condotta priva di ogni moralità di Tsahal. Gaza è una enorme prigione, non conta nulla che Hamas, invece di dedicarsi a costruire una società in grado di trasformarsi in stato, abbia preferito continuare a combattere Israele, anche questo aspetto è irrilevante, l’importante è scrivere che Israele ha ucciso 668 palestinesi a Gaza, fra i quali 359 che non avevano a che fare con i combattimenti, aggiungendo subito dopo che ben 357 altri palestinesi sono morti negli scontri tra Fatah e Hamas, e chi legge queste righe accostate alle altre non può fare a meno di pensare ad una responsabilità, magari indiretta, di Israele. Il risultato è che gran parte dell’attività di B’Teselem mira a far ricadere sullo stato ebraico la responsabilità delle condizioni dei palestinesi, escludendo nel modo più assoluto, cosa che risulta chiarissima dai documenti prodotti, ogni qualsivoglia, anche timida, analisi della situazione politica generale. Ed è a B’Tselem che vanno ad abbeverarsi i giornalisti stranieri, serviti per altro con profusione di una quantità di materiale informativo che poi ritroviamo negli articoli che scriveranno sui loro giornali. E noi, in Europa, a chiederci ingenuamente quale fosse il virus che infettava le menti ed i tasti del computer di tanti corrispondenti. Senza andare tanto lontano il servizio è già bell’impostato, storie, cifre, immagini, B’Tselem è lì per fornirli, basta alzare il telefono ed ecco pronto tutto quanto occorre per incrinare una volta di più l’immagine di Israele. Si dirà, è la democrazia, bellezza. Certo, a nessuno viene in mente di proibire la propaganda a favore del nemico, nemmeno in tempo di guerra, ci mancherebbe, la democrazia prima di tutto. Possibile però che a nessuno venga in mente di creare un servizio alternativo per informare chi fa informazione, per dare della situazione mediorientale un quadro completo, invece delle solite lamentazioni che ascoltiamo ormai da troppo tempo ?  Chi pensa che la pace sia dietro l’angolo non conosce le dinamiche mediorientali, una regione nella quale vive Israele, una democrazia che si difende contro chi vorrebbe al suo posto una dittatura, quale è in fondo la regola da queste parti.

 

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