Su REPUBBLICA di oggi, 11/10/2008, a pag.15, con il titolo " Meshaal: Il nuovo presidente Usa dovrà fare i conti con noi di Hamas ", l'affettuosa intervista con il capo di Hamas Khaled Meshaal di Alix Van Buren. Il tono è quello dell'incontro fra vecchi amici, da paragonare con il trattamento che REPUBBLICA riserva ogni giorno a quel dittatore criminale di Bush. Con lui niente mezze misure, è lui il capo dell'Impero del male. Mentre Meshaal può invece dire tutte le menzogne che vuole, Alix Van Buren si guarda bene dall'avere insane curiosità, Sta infatti parlando con un gentiluomo, secondo lo stile del quotidiano di proprietà dell'Ing.Carlo De Benedetti, da qualcuno ritenuto " amico di Israele ". Ecco l'intervista:
DAL NOSTRO INVIATO
DAMASCO - Corre voce che Khaled Meshaal, il capo supremo di Hamas, stia veleggiando verso un nuovo esilio in Sudan, allontanato da Damasco come pedina di scambio nella trattativa di pace fra Siria e Israele. «E invece, eccomi qui», sorride soddisfatto Meshaal nella sua villa-fortezza sui colli della capitale. «Così ho già risposto alla sua prima domanda».
Asciutto e in forma dopo il mese di digiuno del Ramadan, è di ritorno dalla Mecca: un pellegrinaggio carico di risvolti politici, perché nella Santa Moschea aveva al fianco Omar Suleiman, il capo dei servizi segreti egiziani, artefice della riconciliazione fra fazioni rivali palestinesi in corso proprio oggi al Cairo. È l´ennesimo tentativo di dialogo.
Signor Meshaal, perché sperare che questa sia la volta giusta?
«Perché finora l´ostacolo era il veto di America e d´Israele. Ma adesso il mondo va cambiando, ve ne sarete accorti anche voi».
In che modo?
«La crisi economica e politica che attraversa l´America è sotto gli occhi di tutti. Intanto il mondo avanza a grandi passi verso un sistema multipolare, si configurano nuovi equilibri. Si è visto anche con la Georgia. Se poi vogliamo parlare del progetto di Washington di sradicare Hamas, ebbene, non è riuscito, così com´è naufragato il piano di pace di Annapolis. È ragionevole pensare che l´America debba adottare un approccio diverso».
Nessuno dei candidati alla Casa Bianca vi tende la mano. Lei come risponde?
«Dico che per noi non c´è problema. Conta che Hamas esiste, sul terreno. Non siamo un´entità astratta sospesa nel cielo: siamo parte del popolo palestinese. Quale che sia il prossimo presidente, Obama o McCain, si troverà sul tavolo il dossier del conflitto israelo-arabo, e troverà scritto Hamas su ogni foglio. E aggiungo: si è creato un consenso fra i palestinesi nell´impedire al veto americano di impedire la riconciliazione».
Lei accoglie senza riserve il piano formulato dall´Egitto per ricomporre la frattura con Fatah, il partito di Abu Mazen? Accetta il governo d´unità nazionale, nuove elezioni presidenziali e legislative?
«Se non le dispiace certi dettagli preferisco non abbordarli con la stampa. Questo è un momento delicato, è in corso il negoziato. Noi siamo per la riappacificazione, e non da oggi, e che sia vera e complessiva. Le nostre posizioni sono nette».
Quali sono?
«Siamo per un governo di unità nazionale, per la ristrutturazione dell´apparato di sicurezza sotto la supervisione di esperti arabi, purché ciò avvenga simultaneamente a Gaza e nella Cisgiordania. Le elezioni devono essere trasparenti e democratiche, nel rispetto della legge e dei risultati, qualsiasi essi siano».
Tutto qui?
«No, bisogna affrontare la questione dell´Olp, rinnovarlo secondo l´accordo del Cairo del 2005: si devono applicare l´intesa della Mecca del 2007, il documento di riconciliazione nazionale dei prigionieri del 2006 (redatto da Marwan Barghouti con altri carcerati, ndr). Soprattutto, si tratta di analizzare a fondo le ragioni della frattura palestinese».
In dicembre scade la tregua con Israele. La rinnoverete?
«Non dipende da noi: teniamo la parola data, mentre Israele no. I varchi restano chiusi, l´assedio di Gaza continua. Analizzeremo la situazione e decideremo, ma la responsabilità ricade su Israele».
Esistono anche responsabilità vostre a Gaza: Hamas è criticato per la repressione a volte sanguinosa.
«Hamas vuole riportare legge e sicurezza a Gaza. Permette a tutti l´attività politica e nel settore civile. Però non accetta chi semina caos o morte. Questo non vuol dire che non siano stati commessi errori. Cerchiamo di correggerli, puniamo i responsabili».
E sulla sorte del caporale israeliano Shalit, prigioniero a Gaza, che cosa risponde alle fonti di sicurezza israeliane che temono un "esito tragico"?
«Che le loro parole non hanno senso. Hamas non uccide i prigionieri. È vero, il negoziato è fermo, ma per la testardaggine di Israele. Sono sorti seri problemi nello scambio dei rispettivi prigionieri di Guerra. Il numero dei palestinesi nelle carceri israeliane è lievitato a oltre 12 mila».
Lei conferma che Shalit sta bene?
«Non ho detto questo, né daremo nuove informazioni finché Israele non affronterà un vero negoziato attraverso l´Egitto».
Quali sono le speranze di pace nella regione?
«Ci sono. Lo ripeto, il mondo sta cambiando. Alla luce del fallimento della politica americana, in Iraq, in Palestina, in Afghanistan, in Libano, in Siria, in Iran, si è creato un vuoto politico. Nasce l´opportunità di un coinvolgimento dell´Europa, equilibrato, non di parte».
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