Nella sua risposta a Francesco Cossiga, lei afferma che «Il terrorista è il combattente di una guerra asimmetrica» e che «tentare di sottoporre questa guerra a regole convenzionali mi sembra un esercizio inutile». Ne deriva logicamente che entrambe le parti coinvolte in tale guerra (e non solo una di esse) dovrebbero sentirsi esentate dal seguire queste «regole convenzionali». Come mai, allora, tutto il mondo continua a chiedere a Stati Uniti e Israele di rispettare leggi e principi che sono ignorati dai loro nemici? Non le sembra una dimostrazione di ipocrisia cinica e sfacciata? Paolo Chiroli pchiroli@hotmail.com
Caro Chiroli, Durante la lunga guerra algerina le autorità francesi non esitarono ad adottare spregiudicatamente lo strumento della tortura e lo giustificarono sostenendo che le confessioni dei prigionieri avrebbero contribuito a sventare i sanguinosi attentati del Fronte di Liberazione Nazionale. La tortura suscitò grande indignazione e spinse alcuni intellettuali, fra cui Raymond Aron e François Mauriac, a guidare un forte movimento di opinione. Quel dibattito ebbe l'effetto di rendere la guerra della Francia in Algeria, agli occhi della società francese, molto meno legittima di quanto fosse stata considerata agli inizi. I metodi della polizia e delle forze armate britanniche, all'epoca della lunga crisi irlandese, furono spesso spregiudicati e brutali. Quando un prigioniero, Bobby Sands, rifiutò il cibo e morì nella cella di un carcere inglese, la società del Regno Unito cominciò a comprendere che la lotta contro l'Ira stava intaccando la fibra morale del Paese. Dopo l'11 settembre la presidenza Bush dichiarò «guerra al terrorismo». Fu adottata una legge (il Patriot Act) che autorizzava le forze di polizia a invadere, senza l'autorizzazione dei magistrati, la vita privata dei cittadini americani. Furono istituite commissioni militari, sottratte alle garanzie della giurisdizione ordinaria, che avrebbero avuto diritto di vita e di morte. Fu deciso che i prigionieri di guerra sarebbero stati trattati come criminali e custoditi a tempo indeterminato nel campo cubano di Guantanamo, nella base afghana di Bagram e nel carcere iracheno di Abu Ghraib. Furono impartite istruzioni che autorizzavano, di fatto, la tortura. Dopo avere superato lo shock iniziale dell'attacco alla Torri gemelle, la società americana cominciò a comprendere che la prima vittima della «guerra al terrorismo» sarebbe stato lo straordinario capitale di libertà, garanzie e diritti che gli Stati Uniti hanno accumulato nel corso della loro storia. In questi ultimi anni la Corte Suprema e i tribunali federali sono riusciti a ridurre considerevolmente i poteri straordinari che l'Esecutivo aveva concesso a se stesso. Anche la Gran Bretagna di Tony Blair ha considerevolmente aumentato i poteri delle forze dell'ordine. I tre attentati, di cui uno fallito, hanno dimostrato che il Paese era nel mirino dell'islamismo fanatico e aveva il diritto di difendersi. Ma l'uccisione di un brasiliano innocente in una stazione del metrò londinese ha suscitato reazioni allarmate e alcune decisioni della magistratura hanno dimostrato che la casa madre della democrazia parlamentare europea non aveva alcuna intenzione di contraddire se stessa. Negli altri maggiori Paesi europei le norme adottate in risposta all'11 settembre e alla minaccia islamista sono state complessivamente più limitate e misurate. Ma quando fu dimostrato che alcuni governi europei, fra cui il nostro, avevano collaborato con i servizi americani in operazioni segrete per il trasferimento di prigionieri da un Paese all'altro (le «extraordinary renditions»), le magi-strature, il Consiglio d'Europa e il Parlamento europeo sono intervenuti per restaurare la legalità. Anche quando alcuni uomini politici avrebbero desiderato adottare misure di emergenza, i governi e i parlamenti hanno dimostrato di comprendere che il terrorismo poteva essere efficacemente combattuto con altri mezzi: la sorveglianza, l'infiltrazione, il controllo dei circuiti finanziari che alimentano le organizzazioni terroristiche. Persino in Iraq, dove il fenomeno della guerra asimmetrica fu particolarmente esteso e grave, gli americani finirono per rendersi conto che certi metodi brutali avrebbero regalato ai nemici ciò di cui avevano maggiormente bisogno: consenso, simpatie e nuove reclute.
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