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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Alessandro Schwed La scomparsa di Israele 08/10/2008
La scomparsa di Israele  Alessandro Schwed
Mondadori, pp. 223, € 16


L’ebreo è un homo sapiens come tutti gli altri. Più o meno. A volte non è sapiens proprio per niente perché l’ebreo non è né più né meno intelligente degli altri. Il guaio è che a volte più che un homo sapiens, l’esemplare in questione è un homo elucubrans. Perché dopo il ghetto e dopo l’emancipazione e dopo la tragedia della Shoah e dopo la rinascita dello stato d’Israele, la cifra mentale e sentimentale più comune della Diaspora ebraica - ma anche dell’ebraismo autodeterminato - sembra essere l’elucubrazione. L’intimo eppure estroverso arrovellarsi su sogni e incubi in ordine sparso. L’effetto che ne risulta è sempre abbastanza dirompente. Si veda ad esempio Kalooki Nights, scritto da Howard Jacobson (fine intellettuale inglese di sottospecie ebraica), pubblicato di recente dall’editore Cargo: centinaia di pagine all’insegna dell’ossessione d’essere ebrei.
Ora ci si mette anche Alessandro Schwed, alias Jiga Melik - con questo pseudonimo fu colonna portante del mai abbastanza rimpianto Il Male negli anni Settanta. Nel 2005 Schwed ha pubblicato Lo zio Coso (Ponte alle Grazie), uno spassoso e commovente racconto di memoria (ma soprattutto di smemoratezza). Ora esce La scomparsa di Israele (Mondadori, pp. 223, € 16), che è prima di tutto un nuovo genere letterario: l’incubo romanzato, o romanzo incubotico. In parole povere, la storia prende le mosse dalla fatale Decisione (con la maiuscola) del parlamento israeliano di sciogliere lo stato ebraico. La Decisione si legittima come una sorta di caparbia rassegnazione al proprio destino diasporico. Ma in fondo è anche il contrario: la fiera determinazione a non lasciare che il proprio destino sia in mano altrui. Per una volta tanto, proclama la Decisione, decidiamo noi ebrei. Fra questo inizio e un finale sognante in cui l’isola d’Israele spicca il volo verso imperscrutabili lontananze, ci sono narrazioni, ricordi e speranze. Soprattutto, manco a dirlo, elucubrazioni. C’è ironia e c’è non meno struggimento, ci sono personaggi sempre in equilibrio sul filo e altri con i piedi bene per terra, anzi sulla sabbia. La scomparsa di Israele è un libro da leggere con lo stomaco in una mano e il cuore nell'altra, cercando di non far confusione.
Elena Loewenthal
La Stampa


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