Esce in Francia "Survivre et vivre" di Denise Epstein figlia di Irčne Némirovsky
Testata: Il Sole 24 Ore Data: 07 ottobre 2008 Pagina: 0 Autore: Leonardo Martinelli Titolo: «Irčne, cattolica per sopravvivere»
Nell’inserto culturale del SOLE 24 ORE di domenica 5 ottobre 2008 Leonardo Martinelli pubblica un articolo interessante “Irčne, cattolica per sopravvivere”. In Francia sta per uscire Survivre et vivre nel quale Denise Epstein figlia della scrittrice francese Irčne Némirovsky, uccisa ad Auschwitz nel 1942, difende la madre dall’accusa di antisemitismo.
“Aspettavo che ritornasse la proprietaria di quella valigia. Cosě per tanto tempo non ho letto il manoscritto che vi era custodito”. Denise Epstein ha ancora ricordi precisi di Irčne Némirovsky, nata in Ucraina, ebrea, fra gli anni Venti e Trenta scrittrice di successo a Parigi. “E per me e mia sorella Elisabeth, una madre tenera”. Catturata il 13 luglio 1942, si ritrovň poco dopo ad Auschwitz, dove morě di tifo il 19 agosto dello stesso anno. Nel frattempo anche al marito Michel Epstein toccň la medesima sorte. Prima di partire, affidň quella valigia elegante, di cuoio, con delle iniziali incise sopra, alle due figlie, Denise, 13 anni, e alla piccola Elisabeth, cinque. Che da allora fuggirono da un nascondiglio all’altro. E vissero poi un vero calvario dopo la guerra, cercando di sopravvivere, materialmente e psicologicamente. La valigia sempre con loro.
E’ una questione di illusioni “di volerci credere” ricorda oggi Denise, che ha scritto, assieme alla giornalista Clemente Boulouque, la storia della sua vita, Survivre et vivre, che uscirŕ per Donoel il 9 ottobre, uno dei libri piů attesi di questa rentrée. A lungo lei e Elisabeth, scomparsa pochi anni fa, si sono ritrovate a rincorrere figure di donne incontrate per caso nelle strade di Parigi, convinte di aver ritrovato Irčne. “Pensavamo che forse era vittima di un’amnesia”. Denise l’aveva vista scrivere fitto su quelle pagine, fra il 1940 e il ’41, quando la famiglia si nascose in un paesino, Issy-l’Eveque. “Ma non sapevo se era un romanzo o un vero diario”. Poi Denise si č “ricostruita”, ha avuto tre figli “e volevo dare loro un’infanzia felice, non all’ombra della morte”. Solo alla metŕ degli anni Ottanta si decise a leggere il manoscritto, una parola comunque impropria. “Lo trascrivevo come se fossi uno scriba, per frenare l’emozione”. Era Suite francese, il romanzo (incompiuto) pubblicato postumo nel 2004 dalla Denoel (e tradotto in Italia da Adelphi), un milione e 500mila copie vendute finora in tutto il mondo. La Némirovsky č riemersa dall’oblio.
Denise č appena rientrata da New York dove hanno inaugurato una mostra dedicata alla scrittrice al Museum of Jewish Heritage. Quell’esposizione finora non ha trovato un luogo disposto ad accoglierla in Francia. Il Museo di arte e storia del giudaismo di Parigi, ad esempio, ha detto no. Al settimanale “L’Express” la direttrice laurence Sigal ha dichiarato che la Némirovsky č una scrittrice “sopravvalutata”, recuperata dal giudaismo solo mediante le persecuzioni che ha subito. Una vecchia storia, Irčne accusata addirittura di antisemitismo. Denise ci č abituata, ma quelle parole della Sigal le ha trovate “oltraggiose”. Tutto nasce dalle descrizioni di ebrei avidi e senza scrupoli, contenute in certi libri della Némirovsky, in particolare David Golden. Lei veniva da un mondo di ricchi finanzieri e commercianti, fuggiti a Parigi dopo la rivoluzione bolscevica. “Con quei ritratti mia madre faceva la critica sociale di un ambiente che conosceva molto bene”, ricorda Denise. Le accuse di antisemitismo erano basate pure sulla conversione di Irčne e delle figlie al cattolicesimo nel 1939 e al fatto che collaborň a riviste di estrema destra sotto pseudonimo dopo le leggi razziali.
“Non parlerei di conversione, ma di “farsi battezzare cattolici”. Ogni volta che doveva vedere il prete per organizzare la cerimonia, mia madre trovava una scusa per rinviare: giŕ questo era un segno. I miei genitori credevano ingenuamente con quell’atto di poterci proteggere”.
In Survivre et vivre c’č questo e altro, anche il ricordo un po’ amaro di quando la stessa Denise ha fatto battezzare i suoi tre figli (“per le stesse ragioni di mia madre, per proteggerli. Ma poi mi sono vergognata di avere avuto paura in quel modo”).
Quando ha curato Suite francese ha iniziato a venire regolarmente qui alla Denoel, nel quartiere latino. Passava davanti all’Hotel Lutetia, un isolato piů in lŕ. “Ma rivolgevo lo sguardo dall’altra parte”. Lei ed Elisabeth, ancora piccole, alla fine della guerra, andarono alla stazione ferroviaria, la Gare de l’Est, ad aspettare i convogli dei deportati sopravvissuti all’Olocausto. Nella speranza di vedere scendere Irčne e Michel. Inutilmente. Poi si spostarono, come altri familiari di ebrei scomparsi, all’Hotel Lutetia. Denise ed Elisabeth mostravano un cartello con i nomi dei genitori. Ancora inutilmente.
Gli anni sono trascorsi e curare Suite francese per Denise ha rappresentato una sorta di terapia. “Ora passo su quel marciapiede e posso guardare dentro all’albergo”. Sopravvivere. Ma soprattutto vivere.