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Nel fiore degli anni S.Y. Agnon
Traduzione di Ariel Rathaus
Adelphi Euro 10
Per i primi tre giorni, è come una spada che minacci alle spalle chi ha appena perduto una persona cara. Per un’intera settimana gli tende invece agguato da un angolo della stanza, per un mese lo sfida in strada e per un anno può assalire chiunque appartenga alla famiglia. Così viene descritto il lutto nel Talmud, quasi si trattasse di un demone malvagio. E proprio questo soffio spettrale del cordoglio pervade il racconto lungo “Nel fiore degli anni”, composto da Agnon nel 1922, e ora proposto da Adelphi nella traduzione di Ariel Rathaus.
Agnon – il cui vero nome era Yosef Czaczkes – fu forse il primo grande narratore nella rinnovata lingua ebraica. Nato in Galizia nel 1888, nel 1924 emigrò definitivamente in Palestina, da dove seppe cantare il giudaismo della sua Europa orientale, con una commistione di lirismo e nostalgia. Anche in questo racconto, gli animi dei personaggi si riflettono nei paesaggi malinconici della Galizia, venati di colori crepuscolari e ovattati di silenzi. La voce narrante è quella di una donna, anzi di una ragazza “nel fiore degli anni”, alle prese con la scomparsa precoce della madre. In realtà, tutta la vicenda è virata al femminile, e gli uomini paiono, una volta tanto, quasi solo proiezioni dei desideri e delle paure di donne timidamente passionali.
Le religione, con le sue consuetudini dolci e ripetitive, fa da sfondo all’educazione al dolore di Tirza, e Agnon gioca abilmente con i malintesi. Il giudaismo, con i riti che si ripetono immutati da secoli e secoli, è come una vecchia casa accogliente oppure è una prigione? E quale è la parte che tocca alle donne, in una società ancora avvezza ai matrimoni d’interesse e a una rigida distinzione di ruoli?
“L’inverno in cui morì mia madre, la nostra casa fu sette volte più silenziosa” – scrive Tirza – e tutto il suo diario successivo non è altro che una lotta tra il desiderio di abbandonarsi anche lei a quel silenzio e il tentativo di uscirne. Ma se un figlio maschio potrebbe per esempio tuffarsi nello studio dei precetti e nobilitare così la propria solitudine, alla ragazza non rimane che la più tradizionale delle ribellioni: un amore proibito.
Agnon indulge forse troppo al patetico, ma il suo messaggio espressivo è chiaro: al rinnovamento dell’ebraismo che per lui, sionista convinta, è ormai inevitabile, potranno contribuire tutti, e anche una ragazza in fiore come Tirza non dovrà aver vergogna del proprio disagio emotivo.
Il lettore che affronti il racconto ignaro di ebraico, farà bene a tener conto del messaggio nascosto nel nome del fascinoso Mazal, attorno a cui ruotano i turbamenti di più donne. Mazal significa infatti “fortuna” o “sorte”, e, in effetti, quel maestro di scuola in lotta con se stesso, a un tempo poeta e mistico, è allegoria del volgersi inarrestabile dei desideri. Mazal, col suo profilo di rubacuori proprio malgrado, è uno dei caratteri fatali di Agnon, e sarà costretto a scontare il suo talento particolare, ovvero quello di gettar scompiglio nelle norme della buona borghesia.
Per chi poi sia disposto a seguire il rabdomante Agnon nella sua ricerca di misteriose sorgenti dell’ebraico, diremo che Tirza significa “colei che piace”, anche se a portare il nome è una ragazza che ancora non lo sa.
Giulio Busi
Il Sole 24 Ore
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