Dal supplemento veneto del CORRIERE della SERA del 4 ottobre 2008:
Hannah Arendt, scrittrice tedesca di origine ebraica, un giorno affermò: ≪Si può dire un sì o un no≫. Sintesi ideale, nelle parole di uno dei tanti letterati europei costretti ad emigrare negli Stati Uniti per sfuggire allo sterminio nazista, del concetto etico di scelta. Pensiero guida, lungo la vita di una donna scampata alla follia disumana della Seconda Guerra Mondiale, che ha ispirato pure il Comune di Padova. Quando, nel 2000, ideò il progetto del Giardino dei Giusti del Mondo, dedicato a tutte le persone che, nel corso del Novecento, si fossero battute, fino anche a perdere la propria vita, contro ogni tipo di genocidio e sterminio di massa. Domattina, otto anni dopo, quel piano ambizioso vedrà finalmente la luce. Primo esempio del genere nel Veneto. Custodito per sempre in un prato verde giù dall'argine del fiume Piovego. Grazie, per cominciare a dieci giovani alberi, simbolo di altrettanti Giusti oppostisi, anima e corpo, a quattro diversi olocausti: dalla Shoah alle varie pulizie etniche compiute, nel secolo scorso, in Armenia, in Bosnia e in Ruanda. Per non dimenticare, ancora guidati dal monito della Arendt: ≪There is always an option to say yes or no≫, così come sta scritto all'ingresso del Giardino padovano.
Il progetto
Nella città del Santo, l'idea di realizzare il Giardino dei Giusti del Mondo nacque nel 2000. ≪Riprendendo, in senso laico, lo spirito del Giubileo, come riconciliazione dell'uomo con l'uomo – spiega il vero padre del progetto Giuliano Pisani, all'epoca assessore comunale alla Cultura, docente di Latino e Greco al liceo classico Tito Livio di Padova, oggi passato da Forza Italia al Partito Democratico – Con la loro azione, i Giusti hanno interrotto la catena dell'odio e sono assurti a simbolo universale. Dimostrando che, anche nelle realtà più infami, c'è spazio per affermare la libertà etica del pensiero e la virtù del coraggio. Gli obiettivi erano due: far emergere il concetto di giusto come concetto universale, indipendentemente dal particolare contesto storico o geografico; e rendere omaggio agli uomini e alle donne che si erano opposti ai crimini contro l'umanità perpetrati nel ventesimo secolo≫. Sostenuto tanto dal sindaco di allora, Giustina Destro (FI), quanto da quello di oggi, Flavio Zanonato (Pd), il Giardino verrà inaugurato domattina alle 11.30, costruito non a caso di fronte al Tempio dell'Internato Ignoto (zona Terranegra), già insignito della mmedaglia d'oro al valor militare dalla Presidenza della Repubblica: ≪Un santuario voluto da don Giovanni Fortin – ricorda il professor Pisani – Un sacerdote che, per l'aiuto prestato ad alcuni prigionieri inglesi allo sbando in seguito all'occupazione nazista dell'Italia, alla fine del 1943 venne arrestato e internato nel campo di concentramento di Dachau. Un prete coraggioso che, fuggito dal lager tedesco, decise di dedicare la nuova chiesa parrocchiale di Terranegra all'umanità straziata dale orribili teorie di Adolf Hitler≫. La cerimonia d'apertura avrà, nel pomeriggio, un'appendice nella splendida sala del palazzo della Ragione e, nelle prossime settimane, in parecchie scuole superiori del Veneto, dove l'esempio dei Giusti spiegherà ai giovani il senso della memoria. ≪Il luogo che ospita il Giardino – conclude Pisani – confina con un argine: ci piacerebbe continuare l'opera salendo in cima con altri alberi e proseguire fino all'incrocio con il fiume, arrivando idealmente fino al mare. Così da creare una sorta di Via dei Giusti fino all'Adriatico≫.
Gli ≪eroi≫
Le dieci piante del Giardino di Padova sono intitolate ad altrettante persone che, nel secolo scorso, hanno combattuto in nome della verità e, specialmente della giustizia. Pronte anche a morire, come successe a molte di loro, per difendere le vittime dei genocidi sparse per il globo. Un monumento, quindi, dedicato ai Giusti d'ogni sterminio, senza alcuna distinzione: particolarità che, a differenze di quelli celebri sorti a Gerusalemme, ad Erevan e a Sarajevo, lo rendono un Giardino unico al mondo. Tra gli altri, ecco allora, simbolo della vita che continua, l'albero che racconta la storia di Carlo Angela (padre di Piero), medico piemontese che prima,negli anni Venti, si oppose strenuamente al regime fascista e poi, dopo l'8 settembre del 1943, diede rifugio a centinaia di ebrei in una clinica da lui diretta sulle colline di Torino. Oppure l'arbusto che porta il nome di Jacqueline Mukansonera, oggi 45enne, scampata al genocidio ruandese e testimone vivente di quanto successe nella regione africana nella primavera del 1994: quasi un milione di innocenti massacrati in poco più di quattro mesi. Giusti, per non dimenticare.
Davide D'Attino
Carlo Angela
1875-1949
Placide Cortese
1907-1944
Pierantonio Costa
(oggi ha 69 anni)
Giacomo Gorrini
(1859-1950)
Lazar Manojlovic
(oggi ha 74 anni)
Jacqueline Mukansonera
(oggi ha 45 anni)
Giovanni Palatucci
(1909-1945)
Giorgio Perlasca
(1910-1992)
Armin Theophil Wegner
(1886-1978)
Ayse Nur Zarakolu
(1946-2002)
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