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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Kader Abdolah La casa della moschea 01/10/2008

La casa della moschea  Kader Abdolah
Trad. di E. Salvuto Moreolo
IPERBOREA PP. 446, e 18,15

Mai il potente e onorato Aga Jan avrebbe immaginato di vagare invano di villaggio in villaggio in cerca di una sepoltura per il figlio ucciso. Nonostante gli spintoni, le umiliazioni, i rifiuti, con il Corano in mano, procede. Sa di essere nel giusto, anche se la sentenza è stata emessa dal giudice di Allah in un macello. Ormai, ad aggirarsi sui monti nelle gelide sere iraniane ci sono soltanto gli oppositori di Khomeini, i fuggitivi o i padri con una salma in macchina alla ricerca di un cimitero che l'accolga. A questo si è giunti. E Aga Jan lo aveva previsto. Mesi prima aveva detto alla moglie: «Non è solo un rovesciamento politico, si è capovolto qualcosa nella testa della gente». Eppure, non erano trascorsi più di dieci anni da quando una sura del Corano bastava ad allontanare le formiche dal suo uscio e i colori degli uccelli migratori donavano prosperità all'intera famiglia. All'ombra dei minareti, nel giardino di Aga Jan s'annodavano tappeti, preghiere e matrimoni, mentre l'imam preparava la predica nella biblioteca della grande casa.
Un velo fiabesco avvolge il passato nella Casa della moschea. È l'incanto dell'infanzia persiana di Kader Abdolah. E lui lo ricrea nel suo romanzo più maturo. Gli sono occorsi vent'anni di esilio per far sedimentare la rabbia e trasformare il dolore in un'efficace macchina narrativa. La storia che pubblica è in larga parte la sua storia, ma riesce a raccontarla senza che il lettore sospetti l'autobiografia. L'ha scritta in olandese, che è la sua lingua d'adozione dopo le persecuzioni dello scià e la fuga dagli scherani di Khomeini. Ha scelto di narrare le vicende politiche e religiose dell'Iran attraverso la vita dell'antica casa e della sua moschea. La modernizzazione voluta dallo scià, la sua caduta, l'arrivo da Parigi di Khomeini, il regime, la guerra con l'Iraq diventano un'epopea: quella di Aga Jan e dei suoi congiunti. Il dramma della famiglia è il dramma del Paese intero.
Il velo fiabesco si strappa nella ricostruzione delle prediche degli imam esaltati, dei processi sommari, delle esecuzioni, delle stragi del regime. Abdolah è abile nel raccontare il progressivo sconvolgersi delle relazioni umane e dei valori nell'antica comunità. Lo scompiglio portato dallo scià si trasforma via via in sconquasso sotto il governo degli ayatollah.
All'insediamento di Khomeini, l'intera famiglia esplode. Ogni componente viene spinto dentro la Storia e finirà per svelarne un aspetto. La rivoluzione iraniana trasformerà tutti in vittime o strumenti del regime. C'è chi entrerà nei gruppi clandestini di sinistra, chi verrà accusato di connivenza con i servizi dello scià, chi avrà potere di vita o di morte, chi si metterà a disposizione degli imam come guardiano della morale e chi, come il fratello di Aga Jan, diventerà il fotografo della dittatura. È attraverso le sue gesta che Abdolah propone un ritratto particolarmente vivido di Khomeini.
Aga Jan, perduto il ruolo di capo del bazar, espropriato della moschea, rimarrà a custodirne la memoria. Continuerà ad annotare in un diario gli eventi ruotati attorno al luogo di culto. Saldo nell'occhio del ciclone, l'ex mercante di tappeti rappresenta l'islam moderato. Il suo equilibrio e la sua saggezza pervadono l'intero romanzo.
Non si farà piegare dal dolore, accetterà il destino che Allah gli manda, agirà e si rialzerà. Finché, un giorno, morto Khomeini, gli arriverà una lettera col francobollo olandese. È l'autore che s'affaccia nel finale specchiandosi in uno dei figli della casa della moschea. «Mio carissimo zio, continuo a scrivere... l'ho fatto per voi e per il nostro Paese. Scrivo in un'altra lingua, adesso, e non so se esserne contento o scusarmi con voi... è stato l'unico modo per dare voce al vostro dolore e al dolore della nostra terra... Scrivo in un'altra lingua ma cerco sempre di trasmettere lo spirito poetico della nostra». Due paginette per raccontare se stesso, chiamato dall'esilio a testimoniare con un romanzo il dramma del suo popolo
Cinzia Fiori
Corriere della Sera


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