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La Stampa Rassegna Stampa
01.10.2008 La guerra al terrorismo in Afghanistan
intervista al generale David Petraeus

Testata: La Stampa
Data: 01 ottobre 2008
Pagina: 17
Autore: ULLRICH FICHTNER E GERHARD SPÖRL
Titolo: «A Kabul ? Sarà più dura che in iraq»
Da La STAMPA del 1 ottobre 2008

Il 31 ottobre David Petraeus assumerà la guida del Central Command (Centcom) degli Stati Uniti. Dopo gli importanti successi ottenuti in Iraq, ora il generale a quattro stelle sarà responsabile del più intricato scacchiere al mondo, una regione che comprende Paesi come Afghanistan, Iraq, Iran, Pakistan, Egitto, Libano, un paio di guerre su larga scala in corso e i maggiori santuari del terrorismo nel mondo.
Generale, pensa che la ricetta da lei usata in Iraq possa funzionare anche per la lotta al terrorismo negli altri Paesi della regione del Centcom?
«In Iraq abbiamo ottenuto sostanziali progressi, è vero: il livello di violenze è calato dell’80 per cento, i morti civili della stessa percentuale. Ma non dimentichiamo che i risultati raggiunti sono ancora molto fragili, e reversibili. Un dato positivo, sul lungo termine, è l’approvazione della legge elettorale per le province. L’assetto costituzionale, per quanto complesso e condizionato dalle divisioni tra le tre etnie, sta prendendo corpo».
I progressi in Iraq sono comunque riconosciuti praticamente da tutti. Sarà possibile ripeterli in Afghanistan?
«La prima lezione della dottrina anti-insurrezionale è che ogni situazione è unica, ogni contesto è unico. Diciotto mesi fa, in Iraq, invidiavo i comandanti in Afghanistan. Ora l’Iraq è passato dall’orlo del precipizio alla via per la guarigione. Di per sé ha qualche vantaggio: enormi riserve di petrolio e gas, una popolazione più secolarizzata e infrastrutture abbastanza sviluppate».
Cosa che non si può dire dell’Afghanistan.
«In Afghanistan non si tratta di ricostruire, ma di costruire. Le infrastrutture sono quasi inesistenti e il territorio molto più impervio, con il deserto nel Sud e montagne così alte al Nord che in alcuni casi gli elicotteri non possono arrivarci. Il livello di analfabetismo è spaventoso, uno dei lasciti del regime dei taleban. Anche il sistema politico è in via di sviluppo, malgrado i molti progressi. E poi ovviamente c’è il problema degli insorti: Al Qaeda, taleban, altri gruppi estremisti, molti dei quali provengono dalle aree confinanti in Pakistan: zone tribali e anche Beluchistan. Il comandante dell’Isaf, il generale David McKiernan, li chiama "un cartello", come quelli della droga in Sud America».
Il governo del Pakistan sta facendo il suo dovere nella lotta al terrorismo?
«La prima dichiarazione del presidente Asif Ali Zardari, appena è stato eletto, è stata ferma e decisa. Occorre considerare che il Pakistan è una democrazia appena rinata, ovviamente».
Ma è più importante la stabilità o la democrazia, per un Paese come il Pakistan?
«Entrambe le cose sarebbero l’ideale, naturalmente. Ho incontrato il generale pakistano Kayani e ho avuto l’impressione che quel Paese stia capendo sempre più che la presenza degli estremisti nelle province occidentali al confine con l’Afghanistan è una minaccia esiziale. L’esercito pachistano ci tiene a condurre le operazioni di contrasto per suo conto. Da parte americana c’è la massima disponibilità a offrire tutta l’assistenza necessaria per fare in modo che le forze armate pachistane possano raggiungere i loro obbiettivi».
Le forse aeree statunitensi hanno condotto numerosi raid contro basi di terroristi in Pakistan. Avete il permesso del governo di Islamabad?
«C’è il riconoscimento di entrambe le parti che la minaccia degli estremisti sta causando molti problemi, compreso l’attacco all’Hotel Marriott. C’è un rinnovato impegno e un dialogo ravvicinato con il nuovo governo per agire contro i terroristi».
Il problema è che non avete abbastanza truppe in Afghanistan.
«È vero. Nonostante le forze americane siano salite da 21 mila a 31 mila negli ultimi due anni e numerosi Paesi della coalizione abbiano accresciuto il loro contributo, non abbiamo ancora abbastanza truppe».
L’ex comandante dell’Isaf, Dan McNeill, che ha guidato le truppe fino a quest’estate, ha detto che ci vorrebbero 400 mila uomini per portare la pace in Afghanistan.
«La domanda è come ottenere il numero di truppe di cui si ha bisogno. Non debbono essere tutte della coalizione. Dobbiamo incrementare il programma di addestramento dell’Afghan National Army (Ana) e della polizia nazionale. Il segretario della Difesa americano, Robert Gates, ha già annunciato l’impegno per rafforzare l’esercito afgano».
Che impatto avranno le elezioni presidenziali americane su questi sviluppi?
«Non dobbiamo dimenticare che abbiamo interessi nazionali di vitale importanza, qui in Afghanistan».
Quali?
«Prima di tutto se non ricostruiamo e stabilizziamo questo Paese ci ritroveremo con un santuario del terrorismo che potrà esportare quel tipo di violenza che abbiamo sperimentato con l’attacco alle World Trade Center l’11 settembre. Abbiamo cominciato questa guerra per quel motivo. E non la stiamo combattendo da soli, abbiamo 40 alleati che la pensano come noi».
Quanto durerà?
«Ne parlai con Donald Rumsfeld, quando era segretario di Stato, nel 2005. Gli dissi che quella in Afghanistan sarebbe stata la campagna più lunga nella “lunga guerra” al terrorismo. La penso ancora così».
Copyright Der Spiegel

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