Un' occasione perduta il reportage di Alberto Stabile su Ramadan e Rosh Hashana a Gerusalemme è solo un ennesimo esempio di propaganda
Testata: La Repubblica Data: 30 settembre 2008 Pagina: 36 Autore: Alberto Stabile Titolo: «Ingorgo religioso a Gerusalemme festa doppia per ebrei e islamici»
Alberto Stabile su La REPUBBLICA del 30 settembre 2008 descrive l'incrociarsi a Gerusalemme tra la fine del Ramadan musulmano e Rosh Hashana, il Capodanno ebraico. Il tema è affascinante, ma l'articolo è un'occasione mancata. E' infatti paradossale che, in un testo dedicato alla compresenza delle due religioni vi sia un'assoluta prevalenza delle voci musulmane e palestinesi. Il loro messaggio non è certo di coesistenza: negano la veridicità storica dei Secondo Tempio e lamentano gli effetti della barriera difensiva, senza una parola di condanna per il terrorismo che l'ha resa necessaria. Tuttavia, non commentate da Stabile, queste parole d'ordine, che sono quelle della propaganda antisraeliana, possono far presa. Difficile invece che molti prestino attenzione all'unica voce ebraica riportatata: quella di un piccolo gruppo che vuole costruire il Terzo Tempio al posto della Moschea di Al Aqsa. Non è certamente rappresentativa della società israeliana, ma garantisce l'effetto voluto: descrivere i musulmani come un gruppo sulla difensiva, e gli ebrei come fanatici aggressivi .
Ecco il testo completo:
Questi sono giorni di bilancio, pentimento ed espiazione per ebrei e musulmani. Per uno scherzo delle stelle, la fine del Ramadan, il mese del digiuno islamico, coincide quest´anno con Rosh Hashana, il Capodanno ebraico. Questo vuol dire per la città santa un´extra dose di santità, un profluvio di preghiere, un ingorgo di fedeli che, a qualsiasi ora del giorno e della notte, ciascuno per proprio conto, attraversano gli antichi quartieri per correre verso i rispettivi luoghi di culto. Ma è in giornate come queste che Gerusalemme scopre anche il suo volto immutabile di città contesa. I musulmani è come se avessero vissuto tutto l´anno per i tre giorni dell´Id el Fitr, o Eid ul Fitr, la festa che conclude il Ramadan, quando il corpo, mortificato da 28 (o 29, a seconda dei Paesi e delle gerarchie religiose) giorni di digiuno, viene finalmente riammesso al banchetto della normalità. Allora i buoni credenti, per celebrare il dono del Corano da parte di Dio al profeta Maometto, sono incoraggiati a indossare i loro abiti migliori, possibilmente nuovi, a trascorrere la notte in preghiera alla Moschea Al Aqsa e a pagare l´obolo religioso, lo zakat, sotto forma di due chili di prodotti basilari o l´equivalente in danaro. Così, improvvisamente, la città vecchia rinasce. Luminarie colorate si rispecchiano sugli antichi pavimenti di pietra lisciati da secoli di viavai. I negozi del suk si riempiono come in una fiera di paese. L´aria è densa di odori accattivanti: lo zucchero bollente, il miele, lo zenzero. Bancarelle piazzate negli angoli strategici offrono gli immancabili qataief, frittelle di semolino o di farina, ripiene di un impasto a base di noci e ricoperte di miele. Gli anziani con le loro mantelle, le donne spesso velate, pochissime a volto coperto, i padri che tengono per mano i figli maschi e sotto il braccio libero portano ripiegato il tappeto per la preghiera: sembra la folla di ogni venerdì, con la differenza che durante il Ramadan ogni giorno è come il venerdì e tutti sono lì in attesa della preghiera della sera per correre a casa a consumare il pranzo che interrompe il digiuno, l´iftar. Sugli stessi antichi percorsi, a passo svelto, senza alzare gli occhi da terra, vanno gli ebrei ultra ortodossi verso il Muro del pianto. Gli uomini indossano i pastrani neri, o le vestaglie di seta, i colbacchi, o i borsalini a seconda delle diverse corti rabbiniche di provenienza e scuole di appartenenza. Le donne girano a capo coperto, le gonne lunghe fino al polpaccio. Sono giornate cruciali per chi crede, perché con Rosh Hashanà inizia un periodo di riflessione di dieci giorni che culminerà con Yom Kippur, la giornata in cui ognuno mette la sua vita nelle mani di Dio. E conta ciò che si è fatto nell´anno precedente, perché i giusti saranno iscritti nel libro della vita, i malvagi saranno spazzati via e chi sta fra i due poli, la stragrande maggioranza, si suppone, avrà occasione di meditare e di pentirsi. Ci si prepara a queste feste cruciali con le preghiere notturne (shilot) al Muro del Pianto, il massimo simbolo religioso dell´ebraismo. E sono preghiere penitenziali, che non soltanto fanno lievitare nell´aria tersa della notte i versi del Talmud, ma spesso si ode il corno suonare e gruppi di giovani cantare. Ma è come se gli uni e gli altri vivessero in due universi paralleli. I fedeli ebrei e musulmani che attraversano la città vecchia si sfiorano senza toccarsi, si vedono senza guardarsi, si incrociano senza parlarsi, ciascuno preso dal proprio diritto all´esclusività, dal primato della propria fede e ovviamente dalla totale identificazione con i luoghi santi, che a nessun altra fede possono appartenere tranne che alla propria. Poche decine di metri li separano: i musulmani stanno sopra, sulla spianata delle Moschee, gli ebrei sotto, alla base del Muro. E quanti incidenti ha provocato quest´attrito. Per fortuna, quest´anno non è successo niente. Ma la contesa non è mai cessata. Per i giovani dall´accento americano che propagandano la costruzione del Terzo Tempio, né Al Aqsa, né il Duomo della Roccia dovrebbero stare dove stanno da secoli. «È solo questione di tempo - dicono offrendo i poster che riproducono l´edificio dei loro sogni - e il Tempio risorgerà dov´era». Mentre gli uomini del Waqf, la Soprintendenza dei beni religiosi islamici, ribattono che nessuna prova archeologica è mai stata trovata dell´esistenza del Tempio di Re Salomone. È una calma tesa e obbligata, quella che vige in questi giorni di feste parallele. Ogni incrocio della città vecchia è presidiato da soldati e osservato da telecamere a circuito chiuso. Nonostante l´Id el Fitr, il governo israeliano ha deciso di sbarrare per tre giorni i territori in coincidenza con il Capodanno ebraico. Non è che negli ordinari venerdì di preghiera i musulmani della Cisgiordania possano venire a Gerusalemme, che resta per loro città proibita. Ma la chiusura vuol dire che neanche l´Id el Fitr farà eccezione. Il che, per i palestinesi in generale, inclusi i palestinesi di Gerusalemme est, è motivo di grande frustrazione. Seduto sulla soglia del suo negozio di "palestinian pottery" e vetri di Hebron, Munir sorseggia il suo caffè al cardamomo e si dice rassegnato: «Ho un fratello che vive ad Abu Dis, appena oltre il muro di separazione, che non potrà venire. Per la prima volta dopo quarant´anni, anche la periferia di Gerusalemme è chiusa, come se fosse lontana decine di chilometri. Non capiscono che noi siamo gerosolimitani da generazioni? È vero, la città vecchia è piena di gente anche di notte perché gli israeliani vanno a pregare. Si fanno buoni affari. Ma sono sempre loro che controllano la nostra vita e a noi non resta che subire». Al tramonto, un silenzio irreale avvolge la città. I musulmani stanno consumando il loro ultimo (o penultimo) iftar, gli ebrei si riuniscono attorno alla tavola per il pranzo rituale del Capodanno. Le strade di Gerusalemme sono deserte, soltanto i lampeggianti azzurri della polizia israeliana e le luminarie lungo le mura di Solimano il magnifico dicono che, per una volta, è festa per tutti.
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