Bombe e fatwe di morte così l’islamismo britannico ha accolto “The Jewel of Medina", il libro rifiutato per paura dall'editrice americana Random House
Testata: Il Foglio Data: 30 settembre 2008 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «“Uccidete l’editore”, fatwa islamista per bloccare il libro sulla moglie del Profeta»
Da Il FOGLIO del 30 settembre 2008:
Roma. Bombe artigianali, editori sotto protezione e una serie di fatwe di morte. E’ così che l’islamismo britannico ha accolto “The Jewel of Medina”, il controverso saggio della giornalista americana Sherry Jones sulla vita della terza moglie di Maometto, un libro censurato e rifiutato dalla mitica Random House al termine di un’ambiziosa campagna promozionale per paura di ritorsioni e di attentati. Una bomba molotov è stata lanciata contro l’abitazione del proprietario della casa editrice Gibson Square, che ha acquistato i diritti del romanzo. L’editore, Martin Rynja, aveva lasciato la sua casa a Lonsdale Square dopo un avvertimento della polizia, come è accaduto in Olanda al pittore musulmano Rachid Ben Ali, evacuato di notte a causa delle minacce. Tre uomini sono stati arrestati con l’accusa di terrorismo in relazione all’attacco a Rynja. La trama del libro è imperniata sulla vita di Aisha, che sposò Maometto a soli sei anni quando lui ne aveva 50, diventando la sua terza moglie e “la prediletta”. Rynja ne aveva comprato i diritti all’inizio del mese, dopo che la censura della Random House era stata attaccata come “un precedente pericolosissimo”. “Jewel of Medina è diventato un importante barometro dei nostri tempi”, ha detto Rynja motivando la decisione di pubblicarlo, “come casa editrice indipendente, crediamo di non dover avere paura delle conseguenze del dibattito”. Rynja non ignorava i rischi della scelta, conosceva bene le conseguenze della fatwa iraniana contro Salman Rushdie: a Tokyo venne ucciso a pugnalate il traduttore giapponese Hitoshi Igarashi, il norvegese William Nygaard si è preso un paio di pallottole e trentasette ospiti di un albergo a Sivas (Turchia) sono stati uccisi nei tentativi di linciaggio del traduttore turco Aziz Nesin. Igarashi non aveva preso precauzioni particolari, aveva continuato a insegnare, dimentaticato dai giornali e dalle reti radiotelevisive. Dopo l’attentato contro Rynja, alcuni imam radicali del Regno Unito annunciano nuove implacabili violenze se la casa editrice pubblicherà il libro a novembre. Il predicatore Anjem Choudary ha affermato che il romanzo è “un insulto al Profeta” e chi si assumerà la colpa della circolazione sarà passibile di morte. “E’ chiaro nella leglegge islamica che ogni attacco al suo onore comporta la pena di morte. Si devono temere le conseguenze della pubblicazione. La gente ama il Profeta più dei propri figli”. Dal Libano si fa sentire l’imam fondamentalista Omar Bakri, legato agli ambienti del jihadismo: “Se qualcuno attaccherà quell’uomo (Rynja, ndr), io non lo condannerò”. Si tratta del via libera per aggressioni contro chi sta lavorando al romanzo di Sherry Jones. Intanto dalla scorsa notte Rynja è sotto protezione della polizia e in una località segreta. Lui replica così alle bombe: “In una società aperta, deve esserci accesso alla letteratura, a dispetto della paura”. Quando Khomeini emanò il suo verdetto, il filosofo musulmano Shabbir Akhtar disse che “quando Rushdie pubblica sull’islam non è più soltanto affar suo. Ma è affare di tutti”. Aveva ragione. Ora l’Inghilterra scopre di avere molto in comune con l’Olanda di Ayaan Hirsi Ali, la Danimarca delle vignette e la Francia di Robert Redeker. Con la motivazione della paura, infatti, anche l’artista inglese Grayson Perry ha confessato di essersi autocensurato per paura di fare la fine di Theo van Gogh, il regista assassinato nel 2004 per aver girato un filmdenuncia della condizione della donna nell’islam. La celebre Tate Gallery inglese ha ritirato l’opera “God is great” di John Latham. Mostrava la Bibbia, il Corano e il Talmud tranciati di netto da una lastra di vetro. Il critico d’arte Richard Cork ha accusato l’establishment culturale di aver svenduto la libertà: “Quando si inizia a pensare così, il cielo è il solo limite”. Lo scrittore canadese Mark Steyn, sottoposto a processo in Canada per le accuse di islamofobia rivolte contro il suo best seller “America alone”, fa notare che nelle piazze europee si bruciavano i libri di Rushdie perché non potevano bruciare lui. “Se avessero preso la moglie e il figlio, sarebbero stati contenti di dargli fuoco. Come la folla era stata felice di bruciare i 37 turchi che avevano avuto la sfortuna di trovarsi nello stesso hotel a Sivas di uno dei traduttori dello scrittore. In due decenni ciò che è successo a Rushdie è diventato metastasi, a causa della debole risposta nei primi mesi”. La principale accusata in questo caso si chiama Random House.
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