Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
I talebani uccidono la poliziotta simbolo del nuovo Afghanistan e della difesa delle donne
Testata: Corriere della Sera Data: 29 settembre 2008 Pagina: 17 Autore: Cecilia Zecchinelli Titolo: «I talebani uccidono la poliziotta simbolo»
Dal CORRIERE della SERA del 29 settembre 2008:
Quarantatré anni, sei figli, cinque fratelli, nove anni di autoesilio in Pakistan quando nella sua terra imperavano i talebani: i numeri che scandivano la storia di Malalai Kakar sono simili a quelli di tante donne afghane. Non tutti: i quattordici anni passati in uniforme, magari nascosta insieme al kalashnikov sotto a un burqa, sono speciali. Ieri le sono costati la vita. La poliziotta più famosa d'Afghanistan, prima donna diplomata all'Accademia di Kandahar, promossa poi a capitano, è stata uccisa davanti a casa da un colpo alla testa. Uno dei figli (un uomo di famiglia l'accompagnava sempre al lavoro, non per «decenza islamica», ma per sicurezza) è stato ferito gravemente. Un'operazione facile, seguita da una scarna rivendicazione: «Kakar era uno dei nostri obiettivi, l'abbiamo eliminata », ha detto alla France Presse un portavoce dei talebani. Gli «studenti di Dio», che proprio a Kandahar ebbero la loro capitale e che ora vi spadroneggiano di nuovo (e non solo lì), la minacciavano di morte da tempo, per il suo doppio «peccato»: lavorare per un governo «nemico», essere donna e avere una professione. Era diventata un mito Malalai, che portava lo stesso nome di un'altra donna afghana speciale, la deputata Malalai Joya, una delle voci più critiche contro i signori della guerra e la corruzione del suo Paese. A soli 15 anni, per convinzione sua e volere del padre poliziotto (come i fratelli), Malalai Kakar si era iscritta all'accademia di polizia, si era diplomata, aveva lavorato in divisa per sette anni fino alle minacce di morte del nuovo regime. E così la fuga in Pakistan, l'incontro del marito (un dipendente Onu e un «uomo moderno», lo definiva lei), la nascita dei primi figli, il ritorno a casa. E all'amato lavoro. A capo, questa volta, di un'intera squadra femminile che lei stessa aveva reclutato, girando di casa in casa. «Le convincevo minimizzando i rischi ed esagerando il salario — ricordava Malalai in una recente intervista —, ma dovevo farlo, questo lavoro è importante per noi ma ancor più per tutte le donne che finalmente aiutiamo». Perché anche nell'Afghanistan «liberato», le donne sono quasi sempre ignorate dai poliziotti maschi: lasciate in fin di vita sul luogo degli incidenti, inascoltate come vittime o testimoni, trasparenti. E accanto alle azioni più eroiche (conflitti a fuoco con talebani, arresti di criminali), Malalai era famosa per avere liberato varie donne-schiave: vedove incatenate in gabbie da suoceri e cognati per questioni di denaro, ragazze prigioniere per odio o interesse. Una di loro, coperta di cicatrici ma finalmente libera e al sicuro, è stata assunta come domestica proprio nell'ufficio delle poliziotte, fa parte della «squadra» ormai. «I talebani mi detestano, ma donne e bambini mi adorano», diceva Malalai. Ieri l'hanno pianta in molti, a partire dal presidente Hamid Karzai. E molti hanno ricordato che solo tre mesi fa un'altra poliziotta, la prima nella storia dell'Afghanistan, era stata uccisa a Herat: Bibi Hoor, 26 anni, freddata da due uomini in moto. Con loro, dall'inizio dell'anno, sono già morti 750 colleghi maschi. Tantissimi.
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