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Informazione Corretta Rassegna Stampa
24.09.2008 Gli ebrei al centro dell’attenzione, nel bene (raramente) e nel male (spesso)
tre esempi analizzati da Federico Steinhaus: la disputa sul "male assoluto", il pamphlet di Ariel Toaff, una prefazione de "I sommersi e i salvati"

Testata: Informazione Corretta
Data: 24 settembre 2008
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus - Francesco Perfetti
Titolo: «Gli ebrei al centro dell’attenzione, nel bene (raramente) e nel male (spesso) - Ariel Toaff rilegge la Shoah: un alibi per evitare la storia»

Un editoriale di Federico Steinhaus:

Da qualche tempo gli ebrei italiani si interrogano nuovamente sul ruolo che viene loro assegnato dai media e dall’opinione pubblica, anche da quella informata e culturalmente ben strutturata. E sono risultati sconfortanti, quelli che risultano più evidenti.

Sono tre, ma potrebbero essere di più, gli esempi ai quali vogliamo accennare.

Primo esempio. La disputa tutta politica sul “male assoluto” (fascismo o shoah?) che era in realtà insignificante, banale, strumentale a tesi ideologiche ma nulla più di questo, è subito diventata qualcosa di diverso quando i media ed i politici hanno loro malgrado coinvolto gli ebrei. Chiediamo agli ebrei cosa ne pensano, questa è stata per diversi giorni la parola d’ordine. Non “chiediamo agli italiani” oppure “chiediamo agli antifascisti” oppure “chiediamo a chi ha combattuto coi partigiani”. No, erano gli ebrei che dovevano dire la loro opinione su qualcosa che in realtà riguardava da vicino tutti.

Il secondo esempio si collega al nome oramai troppo noto e manipolato  di Ariel Toaff. Il quale ha appena pubblicato un pamphlet,   un libretto di autodifesa nel quale espone opinioni personali, controverse ed estreme come è nel suo stile, ma legittime in quanto presentate come           tali.

La concatenazione degli avvenimenti per la quale citiamo questo esempio è semplice:  esce un libro di Ariel Toaff che accusa gli ebrei del Medioevo di aver realmente ucciso bambini cristiani ed utilizzato per riti pseudoreligiosi il sangue umano – le istituzioni ebraiche e tutti i più accreditati storici medievalisti insorgono per denunciare quella tesi come artefatta e senza reali riscontri – Toaff ritira il libro – la colpa è degli ebrei che vengono accusati di aver complottato contro la Verità con la V maiuscola e contro la Libertà di Pensiero con le iniziali maiuscole – Toaff scrive una seconda edizione di quel libro in cui fa una vistosa marcia indietro spiegando che effettivamente le sue sono ipotesi senza supporto storiografico – il libro non ottiene nei media la sperata pubblicità – di nuovo la colpa è degli ebrei, accusati di averlo boicottato – Toaff scrive un pamphlet in cui accusa gli ebrei di volergli male e di essere malvagi – il pamphlet viene utilizzato da alcuni (non da molti per fortuna) per sputare veleno contro gli ebrei.

E’ Francesco Perfetti su “Libero” del 24 settembre, nelle pagine culturali, ad elogiare questo pamphlet ed a citarne i passi più pesanti nei confronti degli ebrei e contro tutto l’ebraismo in blocco “fatto di vittime invertebrate....languido e molliccio”. Accuse come si vede generiche, non provate e non calate nella realtà dei fatti e della storia; ma accuse utilizzate dal Perfetti come se fossero verità rivelate (finalmente! Non se ne poteva più di questi ebrei vittime della Shoah!) e citate con un certo grado di percepibile compiacimento.

Il terzo esempio riguarda – in questo contesto il riferimento non poteva mancare – Israele.

E’ da poco uscita per Einaudi una riedizione del libro di Primo Levi “I sommersi e i salvati”. La prefazione di Tzvetan Todorov è esemplare e splendidamente emotiva, ma poi scivola nella banalità della retorica politica di moda quando pretende di adattare all’attualità il ragionamento di Levi inserendolo nei  conflitti contemporanei, allo scopo di dimostrare che non solo i regimi totalitari sono malvagi. Parte dalle violenze terribili subite dalle popolazioni delle colonie francesi in Africa per planare con accenti anti-americani su Guantanamo ed Abu Ghraib, passando però ovviamente anche da Israele. Israele che “perseguita” i palestinesi pur sapendo che così facendo  si colloca su una linea di condotta non diversa da quella dei nazisti: è un classico dei miti anti-israeliani con ricadute nell’antisemitismo, pertanto ritrovarlo nel contesto di una prefazione al libro di Primo Levi costituisce una ferita culturale ed emozionale profonda.

Perché mai gli ebrei vengono chiamati in causa a proposito ed a sproposito con una sovraesposizione mediatica che spesso  li usa solo per aggiungere un pò di pepe alle notizie? E’ una domanda alla quale non si possono dare risposte chiare e documentabili, ma è un dato di fatto che gli ebrei non gradiscono questa situazione che crea qualche imbarazzo e qualche disappunto.

 

 

Di seguito, l'articolo di Francesco Perfetti (che difende persino "Pasque di sangue", libro ritenuto dagli storici non documentato e scorretto) cui fa riferimento Federico  Steinhaus
Da LIBERO del 24 settembre 2008:


Gli ebrei della diaspora hanno inventato un «ebraismo virtuale», ormai divenuto di moda, un ebraismo che porta in sé, incorporata, l’aureola della santità: un ebraismo oleografico, «fatto di vittime invertebrate e di martiri innocenti, languido e molliccio». Questo «ebraismo virtuale» ha sostituito l’immagine «vera e reale di un popolo di gente in carne e ossa, che tra mille contraddizioni ed errori, tra eroismi e viltà, ha saputo sopravvivere lasciando traccia indelebile di sé nella storia». Esso, «un ebraismo senza macchia ma con molta paura», è frutto, in sostanza, di una sorta di «complesso di colpa» nutrito dagli ebrei della diaspora nei confronti dello Stato di Israele per averlo lasciato a se stesso «senza affrontare la scomoda e pericolosa alternativa del sionismo realizzato». Questa tesi, in apparenza sconcertante e provocatoria, costituisce, in sostanza, il punto di partenza di un saggio, agile e intelligente, dal titolo Ebraismo virtuale (Rizzoli, pp. 144, euro 12) scritto da Ariel Toaff, uno studioso di valore che insegna in Israele.

Autore di importanti studi sulla cultura, sulla storia e sulle tradizioni ebraiche, Ariel Toaff è stato al centro di un clamoroso caso politico-editoriale a seguito della pubblicazione, nel 2007, del volume Pasque di sangue (il Mulino). Il libro affrontava il tema scottante dei possibili omicidi rituali di infanti cristiani che sarebbero stati compiuti in alcuni circoli ebraici estremistici ashkenaziti tra Medio Evo ed Età moderna. Scoppiò, prevedibilmente e a livello internazionale, il pandemonio. Si discusse sull’attendibilità delle fonti utilizzate dallo studioso - a cominciare dai documenti processuali degli inquisitori ritenuti viziati perché contenenti confessioni estorte sotto tortura - ma anche sulla stessa liceità di trattare un argomento che avrebbe portato acqua al mulino dell’antisemitismo.

Le polemiche furono talmente forti da sollecitare il ritiro dalle librerie del volume e da spingere persino la commissione per l’educazione della Knesset dello Stato di Israele a riunirsi per valutare la possibilità di processare l’autore come un antisemita e additarlo come un «falsario manipolatore» della storia ebraica. Toaff, nella seconda edizione del volume ripubblicato da poco in Italia per il Mulino, ha effettuato alcune modifiche e integrazioni che intendono chiarire il suo pensiero e cercano di rispondere ai suoi critici, storici e non, soprattutto dal punto di vista metodologico.

Indipendentemente dalla discussione sul volume e sul suo contenuto, la vicenda è, tuttavia, molto importante. E lo è non solo perché ha finito per investire il problema della libertà di ricerca e la precisazione del ruolo dello storico, ma anche perché essa ha offerto a Toaff lo spunto per una riflessione - quella, appunto, consegnata alle belle e intense pagine di Ebraismo virtuale - che sfiora un tasto assai sensibile della storiografia sull’ebraismo, il problema, cioè, dell’insistenza sull’Olocausto e della sua centralità nella storia ebraica. Una questione che, a ben vedere, starebbe, proprio, all’origine dell’ostracismo imposto a Pasque di sangue.

Secondo Toaff, la paura ossessiva dell’antisemitismo e di un suo possibile ritorno - una paura nutrita dagli ebrei della dispora e collegata, in certo senso, al loro «complesso di colpa» nei confronti di Israele e alla loro «doppia lealtà» nei confronti di Israele e dello Stato nel quale vivono - ha finito per spingere verso una storiografia di tipo apologetico e oleografico, affidata esclusivamente agli storici dell’antisemitismo. Questa storiografia, a parere di Toaff, conduce a tratteggiare «un affresco della storia del popolo ebraico uniforme, prevedibile e sempre uguale a se stesso»: un affresco, autoreferenziale e inattendibile, che riduce la vicenda del popolo ebraico a un vero e proprio mito. Sembra, in questo affresco, che non esista storia né prima né dopo la Shoah.

Osserva, in proposito, Toaff che la memoria della Shoah, «sempre più ingigantita, onnipresente e clamorosa», ha finito per paralizzare «il dibattito nel mondo ebraico» e di fatto ha trasformato «la sua storia in mito edificante, dove i confini tra terra e cielo sono ormai irrilevanti e le scansioni cronologiche inesistenti». La centralità dell’Olocausto e la sua memoria, insomma, starebbero di fatto uccidendo la storia ebraica vera. E, a ben vedere, non darebbero neppure un contributo efficace alla lotta contro il pericolo sempre ricorrente dell’antisemitismo dal momento che, osserva Toaff, «gli antisemiti non hanno mai avuto bisogno dei libri di storia per rafforzare le loro convinzioni».

La storiografia basata sul vittimismo consolatorio è, secondo l’autore, prevalente in Occidente negli ambienti della diaspora, ma trova un controaltare efficace proprio in Israele, dove nuove correnti storiografiche non esitano a esaminare criticamente i momenti più controversi della storia del popolo ebraico, del sionismo, dello stesso Stato di Israele. Esse, in fondo, rigettando l’idea di una storia edificante e «maestra di vita», consentono di ricostruire il passato e, al tempo stesso, di comprendere il presente.

Ebraismo virtuale non è affatto un pamphlet. Né, tanto meno, un’autodifesa. È invece una riflessione profonda, dettata dal sincero amore di uno studioso ebreo per la vera storia del popolo ebraico. È, infine, un omaggio alla libertà di ricerca, a una storiografia libera dai pregiudizi. Come, chiaramente, dimostrano queste parole dell’autore: «Oggi mi fanno paura quegli storici che sanno di avere sempre ragione e che pretendono di mettere il chiavistello e il sigillo di ceralacca a ricerche considerate tabù, i cui risultati considerano ormai da tempo assodati per il bene di tutti».

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