lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.09.2008 Il vittimismo e la doppiezza di Tariq Ramadan, la confusione tra antisemitismo e "islamofobia"
Pierluigi Battista recensisce il libro "Islam e libertà", Lucetta Scaraffia commenta un sondaggio

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 settembre 2008
Pagina: 1
Autore: Pierluigi Battista - Lucetta Scaraffia
Titolo: «L'ambigua autodifesa di Tariq Ramadan - Antisemitismo e non solo»

Dal CORRIERE della SERA del 23 settembre 2008:

Ramadan ha scritto un libro per Einaudi, Islam e libertà,
come «opera di chiarificazione» allo scopo di rintuzzare, a suo dire, un malevolo complotto mediatico che vorrebbe squalificare uno dei più noti intellettuali musulmani come un maestro del «doppio linguaggio», un acrobata dell'ambiguità e della dissimulazione. Giacché Ramadan è molto addestrato nei chiaroscuri delle parole e dei concetti, in realtà non scrive «complotto», ma «abile manovra». Ma resta il presunto disegno attribuito ai suoi detrattori.
E cioè la deformazione sistematica di un pensiero, il suo, che vuole accreditarsi come «ponte di congiunzione» tra la civiltà occidentale e quella islamica, una «mediazione» che permetta di portare a sintesi gli opposti, il dialogo al posto della reciproca scomunica, la convivenza invece della guerra. La messa a punto einaudiana di Ramadan, tuttavia, lascia aperti tutti gli interrogativi sul conto del suo autore. Il ponte di congiunzione appare vacillante, tarlato, privo di fondamenta stabili e l'identità del pontiere tutt'altro che rassicurante. Un'occasione perduta.
Ramadan, accusato di parlare con un «doppio linguaggio», gode certamente di una doppia e contrastante fama. Da una parte la fama del pontiere, consacrata dall'invito con cui l'allora governo Blair lo gratificò di un'autorevole consulenza all'indomani degli attentati a Londra del luglio 2005. Oppure la fama dell'intellettuale islamico tormentato e generoso che piace molto alla sinistra abbacinata dalla mitologia «multiculturalista». Dall'altra la fama del militante islamista cui non è permesso di entrare negli Stati Uniti per aver finanziato organizzazioni legate ad Hamas, che si prefiggono l'annientamento dello Stato d'Israele; del polemista che accusò la cultura francese di essere succube dei suoi intellettuali «ebrei»; del pensatore che suggerì non di condannare senza mezzi termini, bensì di «contestualizzare» l'ondata terroristica degli attentatori suicidi che hanno seminato la morte tra i civili israeliani; dell'intellettuale che si è adoperato nel maggio scorso per imbavagliare con appositi boicottaggi gli scrittori israeliani invitati alla Fiera del libro di Torino. Nel libro in uscita oggi Ramadan si ribella a questo destino di doppiezza. Ma non ritiene di fornire spiegazioni sui fatti che gli vengono contestati. Preferisce piuttosto il registro dell'autovittimizzazione. Ce l'hanno tutti con lui. Ma chi ce l'ha con lui? Le indicazioni di Ramadan emanano la vaghezza sospettosa, la genericità minacciosa tipiche del paradigma cospirazionista. La lista dei colpevoli comprende infatti: «ideologi molto settari», «certe tendenze "laiche"», «certi ambienti "laici"», «coloro a cui questo discorso dà fastidio », «certi intellettuali e partiti politici», «fronti peraltro abbastanza identificabili». Riferimenti molto imprecisi. Ma quando poi Ramadan arriva a mettere a fuoco le sue accuse, la sensazione del «doppio linguaggio» finisce inesorabilmente per rafforzarsi.
I suoi detrattori, scrive nel libro einaudiano, sono molti. Prima di tutto i «fautori di un'ideologia della laicità antireligiosa». Poi «l'estrema destra», che «spesso sconfina nel razzismo». Poi «le correnti femministe» malate di «eurocentrismo», che esagerano la portata dell'oppressione femminile nell'universo islamico. Poi «le vere e proprie lobby di omosessuali e lesbiche», che intervengono «sia a livello politico che mediatico». Per finire le due categorie peggiori e più insidiose: gli ebrei e gli apostati della fede musulmana. Ramadan, è ovvio, non li definisce così. Ma gli ebrei sono indicate come le «lobby pro-israeliane » dedite alla «manipolazione», che si avvalgono delle «manovre di certi intellettuali (ebrei e non ebrei)», premiate dalla «notevole influenza degli evangelisti sionisti» che hanno artatamente dilatato la portata di un «presunto, e pericoloso, antisemitismo». Gli apostati invece sono chiamati «musulmani moderati » o «ex musulmani » che sono «strumentalizzati politicamente» e «si prestano al gioco con un certo compiacimento», non foss'altro perché «dalla loro posizione ricavano riconoscimenti, celebrità e qualche vantaggio finanziario».
Inutile dire che gli apostati denigrati da Ramadan con i procedimenti diffamatori tipici della delegittimazione demonizzante, dalla loro scomodissima posizione ricavano soprattutto minacce, vite blindate, persecuzioni e campagne di terrore, come dimostra il caso di Ayaan Hirsi Ali, braccata in Olanda (e non solo) come infame «traditrice » della religione islamica. Ma il «doppio linguaggio» di Ramadan, malgrado l'accorata autodifesa del suo artefice, consiste esattamente in questo duplice movimento: da una parte l'enfatizzazione di ogni aspetto che confermi l'immagine di un Islam discriminato in Europa e in Occidente; dall'altra la grottesca minimizzazione di ogni evento destinato a smentire la natura intrinsecamente pacifica e conciliatrice dell'islamismo ingiustamente messo sotto accusa dalle varie «lobby» della manipolazione antimusulmana. È stupefacente che (pagina 49 del volumetto einaudiano) gli attentati terroristici di matrice islamica siano derubricati a «notizie ad effetto » o addirittura ad «aneddoti piccanti riportati dai media» per ingigantire i pericoli attribuiti all'Islam. Questa degli «aneddoti» è poi una vera ossessione. «Per gettare il sospetto sui musulmani nel loro complesso » chi fa leva sulla paura ricorre secondo Ramadan all'abuso «di aneddoti scioccanti ». La vicenda delle «vignette danesi» non è il sintomo della libertà di stampa e di opinione minacciata, ma una provocazione alla religione islamica nel suo complesso. E parlando dell'«aneddoto » del discorso di Ratisbona del Papa, Ramadan non fa il minimo cenno alle manifestazioni cruente che in tutte le capitali islamiche diffusero un messaggio intimidatorio e violento. Il cuore del ragionamento di Ramadan, del resto, è che solo un'infima minoranza di islamici in Europa sia tentata dal messaggio della violenza estremista e del terrorismo, essendo la maggioranza dedita all'esclusiva «ricerca di senso» animata da una nuova tensione religiosa. Una chiave autoinnocentizzante che imputa all'Occidente persino le tentazioni terroristiche: «Il terrorismo colpisce dall'interno perché gli autori degli attentati, nella maggior parte dei casi, sono nati e cresciuti in Europa, quindi impregnati della cultura occidentale».
Beninteso, in questo libro Ramadan scrive anche cose molto sensate e moderate. Sono interessanti le sue distinzioni tra «credo», «cultura» e «costume» per recidere il legame che sembra unire la lettura dogmatica del Corano e la pratica dell'intolleranza. O quando perora la causa di una nuovo senso di «cittadinanza » che dovrebbe includere gli islamici negli ordinamenti europei. Ma il «doppio linguaggio » si nutre inesorabilmente di omissioni. Quando parla di «princìpi democratici », «modelli democratici», «diritti dell'Uomo », Ramadan fa galleggiare questi concetti nel vuoto, come se non fossero il frutto della vicenda storica e culturale che si è soliti definire «Occidente». E mai, in tutto il libro autodifensivo, sembra accorgersi della sistematica negazione dei diritti fondamentali conosciuta nelle nazioni schiacciate dal dominio totalitario della Sharia (solo generici riferimenti, politici e non politico-religiosi, alle «dittature»): è il «terzo linguaggio», quello del silenzio reticente.

A pagina 51, insieme alla prosecuzione dalla prima del pezzo di Battista, il CORRIERE pubblica un articolo di Lucetta Scaraffia che confonde due fenomeni incomparabili: l'antisemitismo e l'ostilità verso l'islam.
Certo, il pericolo della confusione tra islam e islamismo, ovvero tra la religione musulmana e il fondamentalismo islamico che persegue un progetto politico totalitario, anche attraverso mezzi violenti, tra i quali il terroismo, è reale. Ma tale rischio non toglie che l'islamismo sia un pericolo concreto. E sia la causa principale della diffusione di atteggiamenti di intolleranza che certamente devono essere combattuti, ma che non possono essere assimilati all'antisemitismo. Che è interamente un prodotto del pregiudizio  e della propaganda d'odio, senza alcun rapporto con la realtà.
Ecco il testo:
Un rapporto del Pew Research Center di cui ha dato notizia l'Herald Tribune mette a confronto l'antisemitismo e l'ostilità antislamica in vari Paesi del mondo.
Rivelando una realtà interessante e per certi versi imprevista: in tutti i Paesi l'ostilità antiebraica è accompagnata dall'ostilità antislamica, quasi sempre più forte dell'altra. Ed è un'ostilità che non dipende, a quanto risulta, dalle dimensioni della presenza ebraica o islamica, ma piuttosto dal ceto sociale, dalla cultura, dall'età di chi la esprime.
Come scrive Anna Foa, che commenta la notizia sul sito dell'unione delle comunità ebraiche, il pregiudizio etnico «è un problema della società, non degli ebrei o degli islamici». In sostanza, si cancella una volta per tutte l'ipotesi secondo la quale a maggior presenza corrisponda maggior paura. Ma anche quella che il mondo si divida in filoebrei e filoislamici.
A noi sembra strano, ma se si allarga lo sguardo al mondo molti luoghi comuni si ridimensionano, e arriviamo a capire che siamo solo una piccola parte dell'umanità.
Per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera cliccare sul link sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT