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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Una pace sempre più lontana 22/09/2008

Malgrado la soluzione del rapporto con i palestinesi continui ad essere in primo piano nella politica israeliana, le previsioni di un accordo fra le parti appare sempre più evanescente. Le dichiarazioni ottimiste fanno parte del linguaggio ufficiale, ma è sufficiente un esame serio della situazione per vedere quanto poco affidabile sia la strada da percorrere. La controparte israeliana, quella rappresentata dall'Anp di Abu Mazen, riesce a mala pena, e con sempre maggiori difficoltà, a reggere il governo della Cisgiordania, dove le forze vicine ad Hamas avrebbero già occupato il potere se non ci fosse la presenza di Tzahal ad impedirlo. La scomparsa fisica di Arafat non ha modificato le regole sulle quali si regge l'Anp. Stessa corruzione, nulla che lasci pensare ad uno Stato in fieri, in grado di svilupparsi accanto a quello ebraico. Se non ci fosse l'avversario Hamas, che di fatto governa a Gaza,  sarebbe difficile cogliere  le differenze tra i comportamenti e le scelte di Abu Mazen con quelle del regime precedente. A Israele i media occidentali continuano a rimproverare, e a ricordare, che la pace si fa con il nemico, e che quindi un accordo potrà essere raggiunto solo a patto di < pesanti concessioni >. Una affermazione che, paradossalmente, il governo israeliano, non importa di quale colore politico, ha sempre fatto propria. Non si vede infatti come possa essere definita diversamente l'offerta, nuovamente reiterata, del 93% dei territori, la disponibilità a trattare la cessione di  terre in cambio di quelle diventate di fatto città abitate esclusivamente da israeliani, come Maalè Adumim, Ariel e altre, così come la definizione dei confini definitivi tra i due stati da concordare insieme  e la soluzione del problema rappresentato dalla discontinuità geografica di Gaza e Cisgiordania. Un problema serio ma risolvibile, come la definizione giuridico-legislativa di Gerusalemme est, sempre che intorno al tavolo delle trattative ci sia la volontà di concludere. Mentre continua ad verificarsi il contrario, rafforzato dal fatto che dietro ad Abu Mazen si alza minacciosa l'ombra del potere effettivo di Hamas, che vanifica i già pochi risultati che sembrano realizzarsi dopo ogni incontro tra Olmert e Abu Mazen. Israele rilascia, quale segno di buona volontà, centinaia di prigionieri dell'Anp, anche per rafforzare l'immagine di Abu Mazen , ed ecco che il portavoce di Hamas dichiara che in questo gesto non vi è altro che il rafforzamento della divisione interna palestinese. Devono essere liberati tutti i prigionieri, inclusi quelli di Hamas. Tragicamente, questo appello viene raccolto dalla stessa Anp, che nella persona del primo ministro Salam Fayyad, chiede a Israele il " rilascio di tutti i prigionieri, senza eccezione alcuna", quindi migliaia, e non  come concordato. L'esperienza recente dello scambio tra le salme di Goldwasser e Regev e il rilascio di centinaia di prigionieri, invece di avere come risultato la liberazione di Gilad Shalit, ha visto premiare la politica di Hamas contro Israele. L'aiuto verso la parte moderata palestinese, come era nelle intenzioni, è stato praticamente nullo. L'estremismo islamista sembra inarrestabile, nè il sistema democratico appare la medicina giusta da somministrare. Hamas ha preso il potere a Gaza attraverso elezioni democratiche, e lo stesso pericolo dovranno affrontare altri stati musulmani, nei quali la componente ideologica legata al terrorismo si sta organizzando, per raggiungere i suoi obiettivi attraverso ineccepibili elezioni. Eppure Israele continua, quotidianamente, a dare prova di grande pazienza e comprensione, facendo attenzione a non surriscaldare il clima politico anche quando ce ne sarebbero i motivi. Il governo, per esempio, non ha dato nessun rilievo ad un fatto che sarebbe stato giudicato gravissimo in qualunque altra nazione. All'apertura delle Olimpiadi, durante la sfilata degli atleti che rappresentano le nazioni di tutto il mondo, e che vedono lo sventolio delle bandiere insieme all'esecuzione dell'inno nazionale, il ministro israeliano dello Sport e della Cultura, Raleb Majadele, non era presente sul palco, come tutti gli altri suoi colleghi. Aveva preferito allontanarsi per non dover stare sull'attenti davanti ad una bandiera  e a un inno "che non lo rappresentano", così ha dichiarato. Majadele è un ministro arabo israeliano del governo di Israele, in qualunque altro stato ne sarebbero state chieste le immediate dimissioni. Non in Israele, dove l'obiettivo è il raggiungimento di un accordo di pace con la creazione di uno stato palestinese indipendente, per cui vale la pena far finta di niente pur di non pregiudicare un rapporto già così esile. Ciò che invece non leggiamo mai nei media internazionali, anche se la cosa non ci stupisce affatto, è un richiamo alle forze che sembrano voler tutto tranne che uno stato palestinese, che attaccano, rapiscono, uccidono, e il cui obiettivo non è costruire ma distruggere. A loro non vengono mai chieste concessioni, meno che mai "pesanti", mai una domanda che li porti a spiegare con chiarezza quali sono i loro obiettivi. La regola è la discrezione. Che usino il terrore quale strumento della loro politica, interessa poco. E' Israele che deve spiegare, dare giustificazioni, fare attenzione a non dare risposte "sproporzionate". E i risultati si vedono, la pace è lontana, gli stati canaglia aumentano, la guerra è sempre più vicina.

Angelo Pezzana
da SHALOM di settembre 2008


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