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La Stampa Rassegna Stampa
22.09.2008 Domande tendenziose, risposte sconcertanti, titolo falso
l'intervista di Farian Sabahi ad Abaraham B. Yehoshua

Testata: La Stampa
Data: 22 settembre 2008
Pagina: 5
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «“L’Iran non è un pericolo per Israele"»

Da La STAMPA del 22 settembre 2008 riportiamo un'intervista di Farian Sabahi ad Abraham B. Yehoshua: "L’Iran non è un pericolo per Israele" è il titolo a effetto, che non corrisponde a quanto si legge nel testo.

"L’Iran rappresenta una minaccia molto limitata per lo Stato ebraico" avrebbe dichiarato Yehoshua. Posto che il pensiero dello scrittore israeliano sia stato ben compreso e riferito, una "minaccia molto limitata" non equivale a "nessuna minaccia".

In ogni caso, mimimizzare la minaccia iraniana verso Israele è un errore enorme, potenzialmente tragico. Se davvero Yehoshua ha dichiarato che "Ahmadinejad non è Hitler perché non ha altrettanto potere ed è ben consapevole che Israele può distruggere l’Iran", bisognerebbe ricordargli che Hitler non viveva nell'era atomica, quando anche il tiranno di una nazione arretrata, entrato in possesso della bomba, è in grado di uccidere centinaia di migliaia, o milioni, di persone schiacciando un bottone. E che  per contro anche Hitler, con la sua guerra di conquista dell'Europa, condusse la Germania alla distruzione.

Così come il titolo, la conduzione dell'intervista da parte di Farian Sabahi è tendenziosa: chiede  per esempio a Yehoshua  di commentare le veline di Teheran: "Che cosa pensa del programma nucleare che, secondo Teheran, dovrebbe avere scopi soltanto civili?" e, concludendo l'intervista, accenna persino a metterlo sotto accusa per le sue moderatissime opinioni circa la risposta che la comunità internazionale dovrebbe dare all'aggressività iraniana: "Quando fa riferimento alle sanzioni pensa alle conseguenze che potrebbero avere sulla popolazione civile?".

Ecco il testo completo:

Ahmadinejad non è Hitler perché non ha altrettanto potere ed è ben consapevole che Israele può distruggere l’Iran», osserva lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua, autore di numerosi romanzi di successo tra cui «Fuoco amico» pubblicato recentemente da Einaudi. E aggiunge: «L’Iran rappresenta una minaccia molto limitata per lo Stato ebraico, mentre lo è in misura maggiore per i Paesi del Golfo: se si procurasse davvero l’atomica potrebbe fare pressione affinché accondiscendano alle politiche decise a Teheran. Non dimentichiamo inoltre che il Golfo su cui si affacciano l’Iran e questi Paesi arabi è il baricentro della produzione di greggio».
Che cosa pensa del programma nucleare che, secondo Teheran, dovrebbe avere scopi soltanto civili?
«Ho l’impressione che gli iraniani non vogliano soltanto le centrali per produrre elettricità ma anche la bomba atomica: temono che gli Stati Uniti li aggrediscano come hanno già fatto con l’Iraq, per il petrolio e per altri motivi strategici. Vogliono quindi ribadire al presidente americano George W. Bush che non può continuare a invadere i Paesi del Medio Oriente con il pretesto di esportarvi la democrazia».
Come si sente quando Ahmadinejad dichiara che Israele sparirà dalle carte geografiche?
«Il modo in cui Ahmadinejad parla di Israele è inaccettabile! L’Occidente deve occuparsi del problema iraniano ma finora non ha fatto abbastanza. La Russia, in particolare, sottovaluta il pericolo iraniano: non si rende conto che attorno a Teheran orbitano ormai i Paesi islamici dell’Asia centrale che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica».
E’ favorevole ad un attacco preventivo nei confronti dell’Iran con l’obiettivo di fermare il programma nucleare?
«Dobbiamo fare in modo che il mondo risolva la questione, ma non possiamo mandare la nostra aviazione ad attaccare le installazioni iraniane. L’Iran non è affar nostro, non è nostro dovere bombardare l’Iran e non possiamo permetterci di lasciarci coinvolgere in una guerra, soprattutto non per primi. Una simile azione creerebbe un “nemico attivo”: ora gli iraniani sono nostri nemici ma non sono ancora “attivi”. Un giorno potrebbero diventarlo, con il rischio che siano animati per secoli dal desiderio di vendetta. E’ nell’interesse di Israele evitare la guerra e sostenere invece le sanzioni».
Quando fa riferimento alle sanzioni pensa alle conseguenze che potrebbero avere sulla popolazione civile?
«Sì, e sono anche consapevole del fatto che il regime iraniano non è popolare al suo interno. Vi è un’opposizione decisa ma non forte. Le sanzioni saranno sufficienti a far cambiare idea alla leadership. Nel frattempo noi israeliani possiamo impegnarci in esercitazioni militari in varie parti del Medio Oriente. Ma mandare i nostri aeroplani a bombardare l’Iran implicherebbe una lunga guerra con Hezbollah e Hamas proprio nel momento in cui stiamo invece cercando di portare la calma nella regione. Non dobbiamo buttare benzina sul fuoco e non dobbiamo fare come negli anni Settanta, al tempo dello scià, quando collaboravamo con i suoi servizi segreti, e non soltanto nel campo dell’agricoltura e dell’istruzione. Questo è stato un errore che non dobbiamo ripetere. Né in Iran né altrove».

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