Intervento di Benedetto XVI in difesa di Pio XII, in contemporanea all'uscita sulla rivista dei gesuiti " La Civiltà Cattolica" di un articolo dello storico Giovanni Sale molto più critico. A proposito dell'azione di Eugenio Pacelli come segretario di Stato vaticano circa le leggi razziali italiane, volta a proporre al regime fascista "come criterio discriminatorio non il dato biologico razziale, ma quello religioso" Sale nota che : "Appare oggi imbarazzante per lo storico cattolico, soprattutto dopo le aperture del Concilio Vaticano II in tale materia, giustificare con categorie morali o religiose tale impostazione di pensiero e tal modo di procedere" .
Di seguito, dal CORRIERE della SERA del 19 settembre 2008, la cronaca di Dino Messina, che si conclude con la citazione dell'attacco al museo di Yad Vashem da parte del postulatore della causa di beatificazione di Pio XII.
Su quanto affermato da padre Gumpel l'unica cosa che notiamo in tutta questa ostinazione a voler batificare chi fu campione di silenzi è il cognome dell'esimio padre, che può forse spiegare tanto zelo ( a buon intenditor poche parole... )
Per una casuale e creativa coincidenza, ieri mentre Papa Ratzinger sottolineava la sapiente prudenza di Pio XII nella difesa degli ebrei perseguitati, un articolo di padre Giovanni Sale scritto per la rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica evidenziava quanto quella prudenza sia incomprensibile a una sensibilità moderna. Le due posizioni non sono in contrasto tra loro, ma certamente pongono un problema interpretativo, tanto più che ogni articolo pubblicato dalla Civiltà Cattolica
ottiene preventivamente l'approvazione della Santa Sede.
Benedetto XVI, ricevendo una delegazione dei partecipanti al convegno su Papa Pacelli organizzato dalla «Pave the Way Foundation», composta da studiosi ebrei e cattolici, ha invitato ad accostarsi a questa «nobile figura senza pregiudizi ideologici ». «Oltre ad essere colpiti dal suo alto profilo — ha detto Papa Ratzinger — si rimane conquistati dall'esemplarità della sua vita e dalla straordinaria ricchezza del suo insegnamento. Si apprezza la saggezza umana e la tensione pastorale che lo hanno guidato nel suo lungo ministero e in modo particolare nell'organizzazione degli aiuti al popolo ebraico». Eugenio Pacelli (1876-1958), di cui il 9 ottobre ricorre il cinquantesimo dalla scomparsa, che verrà celebrato con una messa, deve essere ricordato dunque non per le sue supposte omissioni, ma per la capacità con cui seppe aiutare gli ebrei. «Papa Pacelli — ha detto Benedetto XVI — non risparmiò sforzi, ovunque fosse possibile, per intervenire direttamente oppure attraverso istruzioni impartite a singoli o ad istituzioni della Chiesa cattolica». Le azioni in difesa degli ebrei perseguitati spesso vennero «compiute in modo segreto e silenzioso proprio perché, tenendo conto delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, solo in tale maniera era possibile evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei». Benedetto XVI ha anche ricordato l'incontro che Pio XII ebbe il 29 novembre 1945 con ottanta reduci dai campi di concentramento nazisti, i quali vollero ringraziarlo «per la generosità dimostrata verso di loro».
In un lungo articolo sui primi provvedimenti antiebraici del fascismo padre Giovanni Sale, dopo aver ricordato la frase di Pio XI, «spiritualmente siamo tutti semiti», scrive così a proposito della posizione della segreteria di Stato retta nel 1938 dal cardinale Pacelli, futuro Pio XII: «Su questa materia la segreteria di Stato assunse un atteggiamento piuttosto prudente, pensando che in tal modo si potesse ottenere qualcosa di concreto a vantaggio degli ebrei, in particolare di quelli convertiti al cattolicesimo».
Una nota della segreteria di Stato, ricorda ancora padre Sale, suggeriva a padre Tacchi Venturi, fiduciario del Papa presso Mussolini, «di attirare l'attenzione dell'autorità governativa soprattutto sugli ebrei battezzati e convertiti al cattolicesimo». Cioè si chiedeva al governo fascista «di utilizzare come criterio discriminatorio non il dato biologico razziale, ma quello religioso». Commenta padre Sale: «Appare oggi imbarazzante per lo storico cattolico, soprattutto dopo le aperture del Concilio Vaticano II in tale materia, giustificare con categorie morali o religiose tale impostazione di pensiero e tal modo di procedere».
Nell'animata giornata degli storici vaticani c'è infine da registrare l'uscita di padre Peter Gumpel, relatore della causa di beatificazione di Pio XII, che in un'intervista a Radio Vaticana ha accusato il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme di «ostinarsi a falsificare la storia», dando un giudizio di Pacelli come di un Pontefice «che non ha fatto niente » per salvare gli ebrei. D'accordo con Gumpel monsignor Antonio Franco, delegato apostolico di Gerusalemme e Palestina: le iscrizioni nello Yad Vashem su Pio XII «sono ingiuste e offensive dei sentimenti cattolici ma soprattutto della storia e della verità ».
Un episodio inedito circa i rapporti tra Pio XI e il segretario di Stato vaticano Pacelli, futuro Pio XII, e i loro diversi atteggiamenti nei confronti verso la politica razziale fascista, ricostruito dalla Civiltà Cattolica.
Di seguito, l' articolo di Dino Messina:
La scena madre si svolge in Vaticano la sera del 15 novembre 1938. L'Osservatore Romano
ha appena pubblicato un articolo riguardante la posizione della Chiesa cattolica sulle leggi razziali e in particolare una sintesi della nota che Pio XI ha inviato all'ambasciatore del governo italiano e a re Vittorio Emanuele III. L'intervento del Pontefice è molto duro. Soprattutto a proposito dei matrimoni misti, Papa Achille Ratti crede che l'articolo 6 di quella che il 17 novembre sarebbe diventata la cosiddetta legge sulla difesa della razza vada contro la lettera e lo spirito del Concordato. La Chiesa cattolica ha sempre avversato il razzismo biologico e Pio XI, che ha da poco affidato all'americano padre John LaFarge l'enciclica contro il razzismo che non vedrà mai la luce, impegna le sue forze residue — è malato e prossimo alla morte — per contrastare l'ignobile svolta del fascismo.
Come per l'enciclica antirazzista, gli sforzi del Papa spesso non riescono ad andare a buon fine. Ha chiesto e dato disposizione di far pubblicare dall'Osservatore
Romano il testo integrale della sua nota antirazzista e la risposta che il re gli ha inviato «con sovrana cortesia». Mussolini non si è invece degnato di rispondergli. Il Pontefice si stupisce quindi di vedere pubblicata sul giornale vaticano una sintesi ammorbidita delle sue posizioni e non nasconde il proprio disappunto all'«Eminentissimo cardinale Segretario di Stato». A raccontare la scena è una nota inedita di monsignor Domenico Tardini, addetto presso la segreteria di Stato retta in quel periodo da Eugenio Pacelli, che alla morte di Pio XI, avvenuta il 10 febbraio 1939, sarebbe stato eletto pontefice con il nome di Pio XII.
L'appunto inedito di monsignor Tardini fa parte della serie di documenti, custoditi presso l'archivio vaticano e appena desecretati, che lo storico gesuita Giovanni Sale sta utilizzando nella serie di articoli in uscita sulla Civiltà Cattolica per il settantesimo delle leggi razziali in Italia.
Tornando a quella scena madre in Vaticano, monsignor Tardini scrive che «l'Eminentissimo cardinale » aveva fatto notare al Papa che «non è consuetudine pubblicare il testo intero di documenti diplomatici... Il Santo Padre annuì, e così fu fatto. Purtroppo però sua Santità dovette dimenticare l'autorizzazione data. Sicché ognuno può immaginare la sua sorpresa e il suo rammarico quando, leggendo L'Osservatore Romano come faceva sempre puntualissimamente si avvide che il testo dell'articolo non corrispondeva a quello della Nota. Particolarmente a lui dispiacque il non trovarvi l'accenno alla risposta inviata dal Re».
A questo punto è interessante svelare che l'autore dell'articolo tanto sgradito al Papa, che senza considerare la cortese risposta del re sembrava un monologo politicamente sterile, era lo stesso monsignor Tardini: «Il Santo Padre non si quieta. Trova che l'articolo è un lungo monologo. Vi si dice, infatti, che si può forse sperare in opportune intese: "Ma chi vi dà queste speranze? Le vostre considerazioni! Dunque è un monologo! E invece le speranze sono fondate sulla risposta del Re». Il papa riponeva speranze nel sovrano, che invece firmò le leggi razziali.
Dopo qualche giorno, riavutosi da una crisi del suo male, «il Papa — racconta Tardini — chiese: "Chi ha fatto l'articolo?" Ed io subito: "Io, Santità". E il Santo Padre: "Proprio mi rallegro". Ma l'Eminentissimo intervenne: "Santità, io ho rivisto l'articolo e me ne prendo tutta la responsabilità"». Era il 28 novembre 1938. Monsignor Tardini, dopo aver registrato il parere del medico su Pio XI («può morire da un giorno all'altro»), prosegue: «L'intervento così pronto e così generoso dell'Eminentissimo rende meno turbato il Santo Padre che, a un certo punto, incomincia a dettarmi un comunicato da pubblicare la sera stessa sull'Osservatore Romano. (...) Sua Santità riferiva testualmente le parole della risposta reale. L'Eminentissimo riuscì a impedirlo».
Quest'episodio svela chiaramente, se mai ve ne fosse ancora bisogno, il diverso atteggiamento verso il fascismo e la sua politica razziale tenuto dai due pontefici: l'appassionato Pio XI, di temperamento volitivo e combattivo, commenta Giovanni Sale, «fu rattristato dai provvedimenti razziali assunti dal governo a partire da settembre» e rimase «in penosa tensione sino alla fine dei suoi giorni», pronto ad alzare la voce. Diplomatico per temperamento e formazione, Eugenio Pacelli, la personalità leader del Vaticano già dagli ultimi mesi di vita di Papa Ratti, cercava di tenere aperto il dialogo con il regime. E tutte le azioni del nunzio in Italia, monsignor Francesco Borgongini Duca, erano ispirate alla prudenza pacelliana: «È ovvio — annotava monsignor Tardini — che la grande preoccupazione dell'Eccellentissimo Nunzio era quella di evitare un dissidio tra la Santa Sede e il Governo italiano. E siccome qualunque dichiarazione o protesta della Santa Sede per quanto attenuata avrebbe potuto essere sfruttata dai nemici del fascismo all'interno e specialmente all'esterno per provocare un contrasto, il Nunzio cercava di studiare il modo — con qualche opportuna modifica della legge — di evitare qualsiasi protesta della Santa Sede».
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