lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.09.2008 Se esplode il problema Pakistan
l'analisi di Christopher Hitchens

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 settembre 2008
Pagina: 1
Autore: Christopher Hitchens
Titolo: «Obama e il fronte pakistano»
Da L'OPINIONE del 18 settembre 2008:

Un eccellente articolo di Fraser Nelson, apparso sullo Spectator di Londra a luglio, ha abbozzato la questione in termini quanto mai stringati: «Durante un dinner party all'ambasciata britannica di Kabul, uno degli invitati ha accennato alla "guerra afghano-pakistana". Tutti i commensali sono improvvisamente ammutoliti. Ecco la verità che non osa pronunciare il proprio nome. Sono in pochi a voler accettare che la guerra si stia estendendo; e che ormai coinvolge il Pakistan, un Paese con un governo instabile e armi nucleari».
«Non nominare la guerra», insisteva Basil, colto da un raptus isterico, nella celebre sit-com britannica Fawlty Towers. E allo stesso modo, quando si discute della sempre più grave crisi afghana, tutti (o quasi) sembrano voler evitare l'utilizzo di espressioni rivelatrici come «aggressione pakistana» o, meglio ancora, «colonialismo pakistano». La verità è che il regime dei talebani (e le cellule di Al Qaeda ad esso affiliate) fu originariamente imposto in Afghanistan dall'esterno, come propaggine del potere pakistano. I circoli del potere pakistani non hanno mai rinunciato all'ambizione di assumere il controllo dell'Afghanistan quale Stato satellite, vassallo o fantoccio, e questa mentalità coloniale è ben radicata soprattutto tra gli ufficiali superiori dell'esercito e in seno ai servizi segreti del Paese (Isi).
E dire che eravamo stati avvisati, tanti anni fa. Quando l'amministrazione Clinton puntò i suoi missili da crociera contro l'Afghanistan, in rappresaglia agli attentati alle ambasciate Usa in Africa orientale, gli ordigni mancarono Osama Bin Laden ma uccisero, se ben ricordate, due agenti dell'Isi. Ma la domanda cruciale è rimasta in sordina: cosa diavolo ci facevano questi signori, tanto per cominciare, in un campo di Al Qaeda? In quegli anni, come pure nei precedenti, furono pochissimi gli interrogativi scomodi rivolti al Pakistan. Soltanto dopo l'11 settembre 2001 abbiamo osato fare i conti con il fatto che almeno due dei più importanti scienziati nucleari pakistani, Mirza Yusuf Baig e Chaudhry Abdul Majid, erano stati fermati per alcuni «interrogatori » sui presunti stretti legami con i talebani. In quei giorni, dopo tutto, eravamo troppo indifferenti anche per prendere nota del fatto che il «padre» del nucleare in Pakistan, Abdul Qadeer Khan, aveva messo in piedi un «supermercato atomico» e vendeva i suoi prodotti micidiali a regimi come la Libia e la Corea del Nord, talvolta utilizzando i velivoli dell'aeronautica pakistana per sbrigare le consegne.
Ma la natura del problema è scritta nel nome stesso dello Stato, Pakistan. Il quale non denota un Paese o una nazione veri e propri, bensì rappresenta un acronimo ideato, negli anni '30 del secolo scorso, da un musulmano fervente sostenitore della spartizione territoriale, tale Chaudhary Rahmat Ali. E che sta per Punjab, Afghania, Kashmir e Indus-Sind. Il suffisso stan vuol semplicemente dire «terra». In lingua urdu, l'acronimo risultante significa «terra dei puri». Come si vede, il nome stesso esprime tendenze espansioniste e, al contempo, cela intenti discriminatori. Il Kashmir, ad esempio, fa parte dell'India. Gli afghani sono musulmani, ma non fanno parte del Pakistan. Anche il Punjab è prevalentemente indiano. È assai curioso, poi, che la lettera "b" non compaia nel nome composto, nonostante il Paese comprendesse originariamente la regione orientale del Bengala (oggi Bangladesh, dopo una guerra d'indipendenza contro la repressione genocida dei pakistani) e contenga tuttora il Baluchistan, la provincia irrequieta e dimenticata che da decenni porta avanti una lotta secessionista «a bassa intensità». La lettera «p» occupa il primo posto soltanto perché il Pakistan è sostanzialmente proprietà della casta militare punjabi (che aveva in odio Benazir Bhutto, ad esempio, perché originaria del Sindh). Il nome del Paese può benissimo essere modificato in «Akpistan» o «Kapistan», a seconda che si sposti l'accento sulla lotta per il controllo dell'Afghanistan o del Kashmir.
Il primo movente per l'annessione e il controllo del Pakistan sull'Afghanistan, infatti, risiede proprio nell'acquisizione di una «profondità strategica» nell'infinito braccio di ferro con l'India sul Kashmir. E mentre noi stavamo a guardare, i due Paesi sono scivolati in un conflitto termonucleare latente. Una delle più apprezzabili (e trascurate) svolte nella politica estera dell'amministrazione Bush post-11 settembre, è consistita nel ridimensionamento della pericolosa dipendenza dell'America, in questa regione, dall'infido Pakistan, e nella promozione di un ben più generoso riavvicinamento all'India, l'altro grande Stato federale, democratico e multietnico del pianeta.
Il senatore Barack Obama è stato, se non altro, il più combattivo dei due candidati alla Casa Bianca nel mettere in evidenza i rischi che questa regione pone, e la necessità di agire senza troppi sentimentalismi nei confronti del nostro «alleato » di Islamabad. Egli ha iniziato a battere su questi tasti quando era infinitamente più semplice contrapporre la guerra «giusta» in Afghanistan a quella «sbagliata » in Iraq, d'accordo. Ma in questo momento ciò è irrilevante; Obama si è seriamente impegnato, e in via preventiva, a proiettare la potenza americana per colpire al cuore il nemico più insidioso dell'America. E questa è un'altra delle ragioni, a parer mio, per cui vi è così tanta riluttanza a descrivere in termini realistici lo scontro che si va profilando tra Afghanistan e Pakistan: i liberal americani proprio non riescono a rassegnarsi al fatto che, se il loro uomo vincerà le elezioni del prossimo novembre, e se tutte le sue parole contengono almeno un briciolo di verità, è evidente che cosa ci aspetta: ancora un'altra guerra, a per giunta ancor più dura e prolungata. Non il contrario

Per inviare una e-mail alla redazione dell'Opinione cliccare sul link sottostante

lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT