Blandire Damasco e Hezbollah è controproducente e rafforza l'Iran
Testata: Il Foglio Data: 16 settembre 2008 Pagina: 3 Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: «Sulla via di Damasco non si salva il Libano né si ferma l’Iran»
Da Il FOGLIO del 16 settembre 2008:
Bruxelles. Quattro giorni fa Hisham el Badni, assistente personale di Khaled Meshaal, capo dell’ufficio politico di Hamas con base a Damasco, è stato fatto scendere dalla sua auto e freddato a colpi d’arma da fuoco in una strada della città di Homs, a nord della capitale siriana. E’ l’ultimo episodio di una serie oscura che ha visto anche l’assassinio a Damasco del comandante militare di Hezbollah, lo scorso febbraio. Intanto il ministro degli Esteri siriano Walid Moallem, in visita a Roma la settimana scorsa, ha promesso al nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, che la Siria rispetta il principio di non ingerenza negli affari interni del Libano. Frattini gli ha risposto che “apprezza” il ruolo di Damasco in medio oriente, auspicando una più intensa cooperazione. La visita di Moallem a Roma è arrivata pochi giorni dopo la visita del presidente francese, Nicolas Sarkozy, a Damasco – a dimostrazione che l’Europa sta mantenendo gli impegni presi in cambio della fine del veto siriano alla risoluzione della crisi istituzionale in Libano. In cambio, la Siria aveva ricevuto la promessa dell’emiro del Qatar che le porte dell’Europa le si sarebbero riaperte. Il Qatar ha fatto quanto promesso e gli europei pure: a Beirut c’è un presidente addomesticato, Hezbollah ha un veto su tutte le decisioni interne del governo, ha il permesso di continuare a rafforzare la sua presenza militare nel sud del Libano in barba all’Unifil. E l’inchiesta sull’assassinio del premier libanese Rafiq Hariri langue, l’attuazione delle risoluzioni dell’Onu 1.559 e 1.701 rimane irrealizzabile, continuano come ieri gli attentati che rendono ancora più fragile la cosiddetta pax siriana. Mentre a Roma si accoglieva Moallem, a Bruxelles si cerca di far approvare al Parlamento europeo una mozione che invita l’Ue a mettere Hezbollah sulla lista delle organizzazioni terroristiche. A dispetto di chi sostiene che Hezbollah sia un’organizzazione popolare libanese con radici nel paese, il Partito di Dio è un’estensione iraniana. La milizia di Hezbollah è addestrata e comandata dalle Guardie rivoluzionarie iraniane. Le loro armi e la loro dottrina di combattimento vengono dall’Iran. Gli interessi che stanno a cuore a Hezbollah sono iraniani, non libanesi. In Europa ci si illude che in Libano si stia giocando una partita libanese e che la Siria possa essere in qualche modo convinta a giocare un ruolo più costruttivo se soltanto la si potesse allontanare da Teheran in cambio di incentivi. Così si finisce con il non toccare Hezbollah per non fare dispetto a Damasco. E’ un bel ragionamento, perché evita all’occidente di pagare il prezzo politico di imporre i termini delle risoluzioni 1.559 e 1.701 a una milizia ben armata che non intende rispettarli. Ma è un errore che ci costerà caro. Hezbollah sta costruendo bunker e accumulando armi sotto il naso di Unifil né per difendere il sud del Libano né per “liberare” le fattorie di Sheeba – Hassan Nasrallah dice che continuerà a combattere Israele finché lo stato ebraico esisterà. La vera funzione di Hezbollah è, come l’ha descritta il leader druso Walid Jumblatt, difendere Bushehr – il reattore nucleare iraniano. Siria e Hezbollah sono entrambe concentrate a distrarre e impegnare i nemici di Teheran mentre l’Iran avanza verso la bomba atomica. Ci si chiede spesso che cosa può fare l’Europa per fermare la sua corsa al nucleare. Intanto potremmo indebolire e isolare quegli strumenti che l’Iran usa per accampare pretese egemoniche. Uno è la Siria – e srotolare il tappeto rosso per riceverne i rappresentanti è controproducente. Il secondo è Hezbollah: inserire l’organizzazione nella lista terroristi e prendere sul serio i termini delle risoluzioni 1.559 e 1.701 che ne impongono il disarmo è imperativo. Finora, l’esitazione in Libano e l’amicizia con la Siria non hanno fatto altro che il gioco dell’Iran.
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