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Il castello alto Stanislaw Lem
Traduzione di Laura Rescio
Bollati Boringhieri Euro 15
Chi cercasse in questo libro il famoso scrittore di fantascienza resterà un po’ deluso, perché ne “Il castello alto” Stanislaw Lem non indaga il significato della vita umana tra le macchine superintelligenti o le frustrazioni della comunicazione con gli alieni, come in Solaris e ne Il congresso di futurologia; qui l’autore tenta una ricostruzione della propria infanzia.
Ricostruzione in senso letterale perché Lem non si nasconde le difficoltà, i conflitti e le discrepanze in cui uno s’imbatte quando si avventura nel confronto con la memoria. Ebreo polacco nato a Leopoli nel 1921, Lem ripercorre il proprio cammino dal grembo protettivo della famiglia – una agiata famiglia di medici – alla scuola e nella società, la ricerca del posto che dovrà prendere nella vita, lo sforzo di capire il tempo in cui è nato.
Prova a decifrare le tracce scomparse che ne hanno fatto l’uomo che è. Ne viene fuori un affascinante viaggio tra riflessioni su di sé e raffinate notazioni psicologiche e filosofiche, in cui s’intravede la vena zampillante di quella straordinaria immaginazione che ne fece uno scrittore geniale. Chi ama ripensare a minimi episodi dell’infanzia che hanno poi plasmato la vita adulta più di quanto non si potesse immaginare, troverà questo libro delizioso.
Il Castello alto era il castello costruito da un re ruteno sopra Leopoli, la città che come capitale della Galizia era stata nell’impero asburgico una piccola metropoli e un centro di cultura ebraica.
“La città dai confini scomparsi”, l’aveva definita Joseph Roth negli anni Venti, che gli sconvolgimenti del ventesimo secolo colpirono in modo violento. Stanislaw Lem stava iniziando gli studi di medicina quando i tedeschi occuparono la città. Sfuggì agli eccidi e ai pogrom che fecero più di 100 mila vittime tra gli ebrei e con documenti falsi sopravvisse durante la guerra come meccanico di automobili. Dovette poi lasciare Leopoli, come la maggioranza dei polacchi, dopo l’occupazione russa alla fine della guerra e si trasferì a Cracovia.
Vanna Vannuccini
Almanacco dei Libri – La Repubblica
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