Il quotidiano comunista in favore della censura e in obbedienza a Teheran
Testata: Il Manifesto Data: 12 settembre 2008 Pagina: 17 Autore: Michele Giorgio - Michelangelo Cocco Titolo: «Non piace «Matabb», la soap palestinese troppo buonista - Bombe e spazio aereo, «no di Washington a Tel Aviv»»
Un caso di censura politica, verso una telenovela palestinese non abbastanza antisraeliana, diventa sulle pagine del quotidiano comunista una questione di audience e di gusti del pubblico, che sarebbe stato indignato dai fiori regalati ai soldati israeliani ad un posto di blocco da un personaggio della serie. La telenovela Matabbè stata sospesa dopo la prima puntata: un po' troppo presto per conoscere le reazioni del pubblico alla serie. E' evidente che la decisione di sopprimerla è stata politica e autoritaria. A Ramallah qualcuno pensa di dover decidere che cosa i palestinesi possono vedere alla televisione e che cosa no. Michele Giorgio, nel suo articolo pubblicato dal MANIFESTO del 12 settembre 2008, gli dà ragione.
Ecco il testo:
È palestinese quest'anno la musalsala , la tradizionale soap opera del Ramadan, trasmessa dalla Pbc, la tv dell'Anp di Abu Mazen. Ma non Matabb (Dossi) di cui tanto si è scritto nelle passate settimane ben sì Lahon, Hilu (Sin qui, bello), ambientata a Nablus (Cisgiordania), che racconta le avventure di un gruppetto di amici poco svegli ma che si credono furbi e si cacciano ogni volta in un mare di guai. Una soap comica, senza pretese, che non riesce a sfidare la popolarissima telenovela siriana Bab el Hara , (La porta dei vicini), che dopo il successo del 2007 anche quest'anno raccoglie l'attenzione dell'intero mondo arabo. Dopo aver trasmesso la prima puntata di Matabb , la direzione della Pbc ha deciso di annullare la miniserie (composta da un totale di dieci puntate) a causa di scene giudicate poco adatte al pubblico televisivo locale. I dirigenti della tv pubblica non avrebbero gradito il tono «buonista» di Matabb , finanziata con 150mila euro dal Goethe Institute e dalla Commissione europea. Questa versione dell'accaduto tuttavia semplifica in maniera eccessiva i temi che, al contrario, sono centrali per quasi tutti i palestinesi. Matabb , i dossi come ai posti di blocco israeliani, ha spiegato il suo produttore Farid Majar, avrebbe l'intento di raccontare la vita quotidiana dei palestinesi. Secondo i critici invece presenterebbe sotto una luce non negativa l'occupazione israeliana che pure condiziona l'esistenza di oltre tre milioni di persone. C'è il ragazzo ladro di automobili, l'impiegato presso una Ong straniera (occupazione piuttosto diffusa nei Territori occupati), la madre che deve fare i conti con l'aumento dei prezzi e i soldi che non bastano mai. La soap è una finestra che permette di osservare la realtà palestinese ma dalla quale però manca, o appare in una versione edulcorata, un aspetto fondamentale di questa realtà, l'occupazione straniera, con cui i palestinesi di ogni età sono costretti a fare i conti da 41 anni. Pare che a provocare scandalo sia stata in particolare una scena di Matabb in cui una palestinese regala sorridente fiori ai soldati israeliani ad un posto di blocco. Un'immagine che forse non dispiacerebbe ad un telespettatore europeo ma che rappresenta un vero e proprio pugno allo stomaco di chi almeno due volte al giorno deve rimanere per ore in coda ai check-point. La soap ora viene trasmessa quotidianamente da una rete locale e, fa sapere qualcuno, la produzione intenderebbe modificarla, riducendo il contenuto «buonista» voluto dagli sponsor europei. Sullo sfondo resta il dato positivo della crescita della produzione televisiva palestinese che si aggiunge a quella cinematografica.
Il quotidiano comunista mostra di credere alle tesi di Teheran circa la natura pacifica del suo programma nucleare e le rilancia, condannando invece l'aggressività israeliana
Dal MANIFESTO del 12 settembre 2008, un articolo di Michelangelo Cocco
(nel quale, tra l'altro, la capitale d'Israele viene spostata da Gerusalemme a Tel Aviv)
Ecco il testo:
L'autorizzazione a impiegare un corridoio aereo attraverso l'Iraq, un gran numero di bombe anti-bunker, sistemi per il rifornimento in volo dei caccia bombardieri. C'è soprattutto questo nel pacchetto di aiuti che da settimane l'alleato statunitense nega a Israele. La rivelazione arriva dal quotidiano israeliano Ha'aretz , che sul numero in edicola ieri titolava in maniera inequivocabile: «Israele chiede agli Stati Uniti armi e un corridoio aereo per attaccare l'Iran». Ogni anno Israele riceve circa tre miliardi di dollari di aiuti diretti dagli Stati Uniti, il 75% dei quali viene impiegato da Tel Aviv per spese militari. Nella «lista della spesa», di cui i più alti funzionari di Washington e Tel Aviv avrebbero discusso senza trovare un accordo nel maggio e nel luglio scorso, c'erano le bombe Gbu-28, ordigni di 2,2 tonnellate - utilizzati nel corso dell'ultima guerra contro il Libano - capaci di penetrare fino a sei metri di cemento. Bush avrebbe detto di no anche all'utilizzo dello spazio aereo dell'Iraq. Secondo le testimonianze raccolte da Ha'aretz , l'Amministrazione repubblicana ha risposto agli israeliani di rivolgersi al premier iracheno al-Maliki: «Se volete, prendete accordi con lui». L'israeliano Canale 10 ha poi riferito la scorsa settimana che Washington avrebbe risposto picche anche alla richiesta di nuovi aerei da rifornimento: quelli dell'aviazione di Tel Aviv sono obsoleti e non garantirebbero il successo di un raid aereo contro le installazioni nucleari iraniane. Come contentino, durante la visita a Washington del luglio scorso del ministro della difesa israeliano, Ehud Barak, sarebbe stata garantita a Tel Aviv l'installazione nel deserto del Negev di un sistema di radar anti-missile di ultima generazione. Se confermate, le rivelazioni di Ha'aretz evidenzierebbero la determinazione di Israele a fermare il programma di arricchimento dell'uranio di Tehran mediante un attacco militare alla repubblica islamica. L'Iran ha sempre negato che i suoi progetti atomici mirino alla fabbricazione della bomba. Nello stesso tempo la ricostruzione fatta dal quotidiano confermerebbe l'intenzione dell'Amministrazione Bush di concentrarsi sull'Iraq nelle ultime settimane che precedono l'elezione presidenziale, frenando sull'attacco a Tehran e puntando sulla diplomazia. Una diplomazia che però sta mettendo alle corde il regime iraniano. Washington e Tel Aviv sono riuscite a convincere la Comunità internazionale che Tehran miri all'arma atomica e le Nazioni Unite hanno già approvato tre round di sanzioni contro gli ayatollah. Continuano poi le sanzioni unilaterali da parte degli Usa, l'ultima delle quali varata l'altro ieri, contro la compagnia di navigazione statale iraniana Irisl e 18 sue affiliate. Ieri la missione iraniana all'Onu ha dichiarato che «queste azioni da parte degli Usa sono controproducenti, non aiuteranno a trovare una soluzione
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