L'incubo del nuovo terrorismo lo scrittore Martin Amis riflette sull'11 settembre
Testata: La Repubblica Data: 09 settembre 2008 Pagina: 0 Autore: Martin Amis Titolo: «Il terrorismo internazionale e l´incubo dell´Apocalisse»
Da La REPUBBLICA del 9 settembre 2008:
La storia sta accelerando; e così il futuro diventa sempre più inconoscibile. Tra i nostri più eminenti intellettuali troviamo un solo presentimento che sia universalmente condiviso. Esso si rivela una sinistra variazione dell´idea di "convergenza". Non la convergenza delle nazioni e delle organizzazioni di governo, attraverso le quali i regimi autocratici del mondo potrebbero allinearsi alla tradizione democratica e felicemente globalizzata. Questa particolare aspettativa (oggi persino i neoconservatori lo riconoscono) non era che una fantasia trionfalistica degli anni Novanta: quella singolare vacanza da ciò che Philip Roth ha definito "l´inesorabile imprevisto". La convergenza a cui mi riferisco è quella del terrorismo internazionale e delle armi di distruzione di massa. Persino le linee rigidamente parallele, mi hanno insegnato, si incontrano all´infinito. E le strade del terrorismo internazionale e delle armi di distruzione di massa sono chiaramente inclinate, come le pareti di un cono. La loro convergenza è garantita dalla più semplice tra le forze di mercato. I costi marginali scenderanno e la domanda salirà. Non ci si è completamente resi conto, neanche ora, che l´America ha già subito un attacco terroristico con armi di distruzione di massa, come ci è stato appena ricordato dalla missione suicida individuale dell´inquieto batteriologo Bruce E. Ivins, a Fort Detrick, nel Maryland. Quell´attacco iniziò il 18 settembre 2001. Il prezzo, in termini di vite umane, fu di cinque morti e diciassette persone gravemente contaminate. Il prezzo in denaro superò il miliardo di dollari (all´epoca fu calcolato che all´attentatore, con una assurda asimmetria, l´attacco costò solo 2.500 dollari). E vi fu un terzo effetto: il prezzo in termini di paura. L´antrace non è contagioso, la paura, sì. La portata dell´attacco fu minima, tuttavia, per un certo periodo, il terrore riempì il cielo. Diversamente dal poeta, il romanziere (vedi il brillante sonetto di W. H. Auden) dà per scontato che le proprie reazioni ai grandi eventi (della vita, della storia) siano assolutamente comuni: prevedibilmente e certamente umane. Sono sicuro che la mia reazione all´11 settembre fu piuttosto banale: una tetra e dolorosa sensazione di incredulità. È con molta più diffidenza che rivelo la mia reazione ai fatti del 18 settembre: ho seguito l´esempio di quel grosso uccello africano incapace di volare che, quando avvista una minaccia alla propria esistenza, sceglie di nascondere la testa nella sabbia. Ecco il genere di informazioni che ero incapace di affrontare: «Usando un solo aereo si possono diffondere 1.000 kg di spore di antrace. Notte chiara e tranquilla. Area coperta (in km quadrati): 300. Decessi, ipotizzando 3.000/10.000 persone per km quadrato = 1-3 milioni». Il contenuto affettivo del 18 settembre era: non potete proteggere i vostri figli (e io ne avevo e ne ho cinque). Altrettanto sconcertante fu la percezione esagerata della potenza putativa del nemico. Al Qaeda cresceva come un Saturno, e per un certo periodo gli informatori, le spie di Osama sembrarono essere ovunque sulla Terra. Gli attentati del 18 settembre furono molto economici, terrorizzanti e orribilmente sfuggenti. A essi seguirono più di 9.000 interrogatori e 6.000 mandati di comparizione davanti al grand jury. E il caso non è ancora chiuso. Le lettere all´antrace contenevano due messaggi quasi identici. Il primo diceva: «11-9-2001 QUESTO È L´ATTACCO SUCCESSIVO PRENDETE LA PENACILINA MORTE ALL´AMERICA MORTE A ISRAELE ALLAH È GRANDE» Una volta cessata l´ondata di panico (quella che fu definita "isteria subclinica") nessuno prese sul serio quei messaggi, tanto meno alla lettera. «Prendete la penacilina»: era un buon consiglio medico (l´antrace è un batterio, non un virus), ma l´errore di sintassi era evidentemente tattico, un falso indizio, una falsa indicazione. No, noi immaginammo un assassino in camice, un Una bomber, un Timothy McVeigh con tanto di dottorato. E così era, o almeno così sembra. (L´Fbi sostiene che il dottor Ivins fu l´unico responsabile degli attentati, ma il suo avvocato ne protesta l´innocenza). Il 18 settembre, dunque, «non aveva a che vedere con la religione». L´11 settembre vi aveva a che fare? Si tratta di un tema controverso. Sia il presidente Bush che l´ex primo ministro britannico Tony Blair, entrambi devoti, si affrettarono a dire che l´11 settembre «non riguardava la religione» ("religione", in questo caso, era un eufemismo per "islam"). Poi, in un secondo tempo, emerse che l´11 settembre aveva a che vedere con la religione o, quantomeno, non era non collegato alla religione. Ma nel corso degli ultimi due anni, si è tornati a sostenere che l´11 settembre, e l´11 marzo a Madrid (2004) e il 7 luglio a Londra (2005), e tutto il resto, non riguardavano la religione. I due più interessanti osservatori di vicende legate al terrorismo che io conosca sono John Gray e Philip Bobbitt. Il professor Gray (Cani di paglia, Al Qaeda e il significato della modernità e Black Mass) e il professor Bobbitt (The Shield of Achilles e il magistrale Terror and Consent) sono totalmente diversi, eccetto che nell´acume e nell´eleganza letteraria. Bobbitt è un intraprendente e acceso atlantista, mentre Gray ha qualcosa di taoista nel suo scetticismo e nella luminosa passività. Bobbitt è un devoto, Gray è un filo-devoto (o, piuttosto, è totalmente rassegnato alla inesorabilità della fede religiosa); ma nessuno dei due è un esponente dell´etichetta relativista. E sostengono, rispettivamente, che il terrorismo internazionale «non ha a che vedere con l´islam» e che «non ha stretti collegamenti con la religione». L´al-Qaedismo, secondo loro, è un epifenomeno, un effetto secondario. È il figlio oscuro della globalizzazione. È l´imitazione della modernità: delegata, decentralizzata, privatizzata, delocalizzata e collegata. Secondo Philip Bobbitt, molto più ambiguamente, al Qaeda non soltanto riflette il mercato di Stato: è un mercato di Stato ("un mercato di Stato virtuale"). La globalizzazione ha creato grande benessere e grande vulnerabilità; ha creato uno spazio o una dimensione. Perciò, l´epifenomeno non riguarda la religione, riguarda l´opportunismo umano e il desiderio di potere. Allora, ci si potrebbe chiedere, cos´era tutto quel parlare di jihad e di infedeli, di crociati e di madrasse, di sharia, di umma e del califfato? Perché c´è chi ha scritto interi libri con titoli come A Fury for God (Il seme del terrore) e The Age of Sacred Terror o Holy War, Inc? Ci sono molti motivi per sperare che il terrorismo internazionale non riguardi la religione, non ultimo l´immensa gravosità, la quasi impossibilità, oggi, di mantenere vivo un discorso (la metterò in modo semplice) che faccia distinzioni tra gruppi di esseri umani. L´al-Qaedismo potrebbe evolvere in qualcosa che non riguarda la religione, l´islam. Ma qualcosa ci dice che esso non è ancora privo di collegamenti con la religione. Permettetemi di dedicare alcune righe al punto di vista britannico. Nel 2007, nel Regno Unito, ci sono stati 203 arresti con l´accusa di terrorismo, quasi tutti collegati con il fondamentalismo islamico. È possibile aprire il giornale (l´Independent) e leggere di tre casi sventati di jihadismo in un solo giorno (24 maggio 2008). L´obiettivo principale della Quilliam Foundation, recentemente istituita, è quello di "de-radicalizzare" i giovani musulmani britannici. E consideriamo quanto, altrimenti, straordinariamente deboli sarebbero le motivazioni dei quattro uomini responsabili degli attentati del 7 luglio. Esperienze di conflitti o di occupazione da parte di stranieri? No. Una serie di richieste o la prospettiva di vantaggi? No. Sostegno della comunità? No. Approvazione postuma da parte della famiglia? Tutt´altro. Allora, l´aumento degli attentati suicidi diretti contro i civili è sorprendente, ed è sorprendente anche quanto poco sorpresi affermiamo di essere di fronte a questi avvenimenti. Molti commentatori amano ricordarci che questa tattica: a) non è nuova; b) non è teologica, per poi aggiungere un superficiale riferimento alle Tigri Tamil, i separatisti atei dello Sri Lanka che si fanno saltare in aria fin dal 1987. Il saggio Making Sense of Suicide Mission (scritto da Diego Gambetta e aggiornato nel 2006) parlando delle Tigri, afferma: «Non vi sono esempi evidenti di civili presi direttamente a bersaglio». Inoltre, un database (citato nel Times Literary Supplement) conclude che «oltre l´80 per cento degli attentati suicidi della storia si sono verificati a partire dal 2001». L´attentato suicida è un culto. Gambetta sostiene che questa arma, diversamente da qualunque altra, si auto-sostituisce. L´attentatore sacrifica un martire, ma ne crea molti altri; e «sappiamo che il numero dei volontari aumenta vertiginosamente dopo il Ramadan...». Ne emerge che l´uso della religione è, o sta diventando, soltanto uno strumento di mobilitazione. La religione è per la manovalanza, non per i cervelli. Ad un certo punto possiamo vedere che la religione ha rappresentato la scala dialettica per la morte e per la distruzione indiscriminata. L´idea, ad esempio, che la democrazia (fondamentalmente impura) renda ogni cittadino colpevole delle politiche della sua nazione; l´idea (o l´antica eresia) del takfir, attraverso il quale lo jihadi si assolve in anticipo per l´uccisione dei propri correligionari. In modo alquanto interessante e incoraggiante, Ayman al Zawahiri si sta dibattendo in una discussione teologica con il venerabile religioso Sayyid Imam al Sharif, mentre la stessa al Qaeda si trova a dover difendere la propria legittimità religiosa. Possiamo aspettarci che il terrorismo internazionale ampli il ventaglio delle proprie motivazioni, riflettendo i cambiamenti nel sé contemporaneo («l´essere essenziale di un individuo»). Gray ha identificato una vena di ciò che espressivamente definisce «terrorismo anomico». Con tale espressione egli intende il massacro ispirato dall´alienazione, da una disperazione che si autoespande e che appare evidente negli accoltellamenti seriali nelle città giapponesi, nei massacri nei campus americani, o nelle minacce espresse da Ivins nelle settimane che hanno preceduto la sua morte. Lo storico Eric Hobsbawm ritiene che il cedimento pandemico dell´inibizione morale sia collegato all´involgarimento generale, alla desensibilizzazione della violenza creata dai mass media (e, naturalmente, da Internet). Ciò introduce qualche elemento ulteriore. La tesi di Bobbit (che, tra l´altro, Gray tende a disprezzare) è quella secondo la quale i conflitti attuali sarebbero epocali, essendo collegati a un cambiamento nelle costituzioni dei governi occidentali. Via via che il welfare state si trasforma in un market state, abbandona ai cittadini molte delle proprie responsabilità e si concentra soprattutto nel fornire opportunità agli individui. Questo, credo, comporta delle conseguenze evidenti per l´Io: su di esso vi è semplicemente una maggiore pressione. Nel Pianeta di Mr. Sammler´s, che uscì alla fine di quella grande esplosione di eccentricità narcisistica nota come gli anni Sessanta, Saul Bellow fa riflettere (con incantevole riserbo) il suo attempato eroe sul fatto che l´individualismo di massa è relativamente nuovo e, forse, «non è stato un grande successo». L´agente segreto di Joseph Conrad (1907), con la sua cricca di moralisti sociopatici, è orribilmente preveggente. Qui troviamo (ad esempio) l´osservazione che il solo fatto di erigere un edificio significa creare una nuova vulnerabilità; qui troviamo un rivoluzionario che osserva come la potenza della vita è molto, molto più debole di quella della morte. Nella sua interpretazione della psiche terrorista, Conrad sottolinea continuamente le qualità della vanità e della pigrizia, cioè il desiderio di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. In altre parole, il bisogno di suscitare un´impressione è irresistibile, e un´impressione negativa è molto più facile da ottenere di un´impressione positiva. Nella nostra epoca, ciò si traduce in una sete di notorietà. Probabilmente, nessuno al di sotto dei trent´anni può comprenderlo a pieno, ma la notorietà è diventata una sorte di religione: l´oppio e, oggi, la cocaina, dell´individuo di massa. Secondo alcuni, all´ayatollah Khomeini ci sono voluti molti orrendi anni di guerra con l´Iraq prima di arrivare a intravedere la attuabilità teologica della fissione nucleare (e così ebbe inizio la fase di preparazione). Osama bin Laden non ha mai tenuto segreta la sua ammirazione per le armi di distruzione di massa: «È un dovere dei musulmani preparare tutte le forze disponibili per spargere il terrore tra i nemici di Dio» (dichiarazione intitolata The Nuclear Bomb of Islam, 1998). Tutti questi strumenti sono oggi in vendita; ed è davvero impressionante che, in un quadro più vasto, il metallurgista A.Q. Khan, in Pakistan, sia considerato "un eroe nazionale". C´è un´altra buona ragione per desiderare che il terrorismo internazionale cessi di avere a che fare con la religione. Si possono immaginare scenari di estorsione, costrizione e riscatto, ma solo un sogno escatologico può giustificare la chiara notte calma e i tre milioni di morti. D´altra parte, gli attori produrrebbero senza dubbio un´impressione; e di proporzioni gigantesche. Il terrorismo internazionale, per ora, rappresenta una piccola apocalisse. Bobbitt su questo è faceto come chiunque altro: dal settembre 2001, «il numero totale delle persone uccise dal terrorismo in tutto il mondo è all´incirca lo stesso di quelle che, negli Stati Uniti, sono affogate nella vasca da bagno». Ma in qualunque momento ciò potrebbe trasformarsi da niente a tutto. Dopo un attacco di distruzione di massa a una delle proprie città, quale sistema politico si potrebbe ancora riconoscere? Anche tutti gli altri Stati sarebbero irriconoscibili, così come i rapporti tra di essi.