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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.09.2008 Una analisi buona per tutti gli usi
la tecnica elastica di Antonio Ferrari

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 settembre 2008
Pagina: 28
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «Quel curioso quartetto di Damasco»

Quel curioso quartetto di Damasco

Curioso non è il quartetto di Damasco, ma il titolo e l'intero articolo di Antonio Ferrari. Se voleva dire che non aveva alcuna spiegazione da fornire al lettore per spiegare la matassa di Damasco, poteva risparmiarsi di scriverlo, e di costringere il lettore a piroette che sono di casa nel "Mago di Oz", ma senza senso alcuno in una analisi politica. Sfidiamo chiunque a dirci se dalle righe di Ferrari ha capito qualcosa di quanto ha letto.  Invitiamo i lettori a confrontarlo con quello di Fiamma Nirenstein dell'altro giorno, quello sì limpido e chiaro.  Ecco il pezzo, uscito oggi sul CORRIERE della SERA, 07/09/2008, a pag. 28, con il titolo " Quel curioso quartetto di Damasco":

E' davvero un curioso quartetto quello che si è riunito a Damasco per lanciare un'iniziativa di pace nel Medio oriente.
Curioso, perché composto da quattro leader che hanno assai poco in comune: il felpato padrone di casa, Bashar el Assad, che dall'accusa di favorire il terrorismo quasi si ritrova nel ruolo del «figliuol prodigo»; l'instancabile Nicolas Sarkozy, presidente di turno dell'Unione europea e capo di stato di quella Francia che fino a poco tempo fa non voleva avere alcun rapporto con la Siria, ritenendola coinvolta nell'assassinio dell'ex premier libanese Rafic Hariri; il decisionista Recep Tayyip Erdogan, primo ministro della Turchia, che alla fine degli anni '90 era pronta ad attaccare militarmente la Siria per l'ospitalità che garantiva al capo dei separatisti curdi Abdullah Ocalan; e la nuova star del mondo arabo, Hamad bin Khalifa al-Thani, emiro di un ricco Paese di appena 600 mila abitanti, il Qatar, che fino a qualche tempo fa era noto soltanto per la sua tv-satellitare Al Jazeera.
Eppure questi quattro uomini, che la calamita della storia ha spinto a incontrarsi, possono essere decisivi per il rilancio di negoziati regionali che stavano pericolosamente languendo: sia per il ridotto impegno dell'amministrazione americana, con Bush a fine mandato; sia per la debolezza di Israele, che ha un premier dimissionario, Ehud Olmert, ed è in attesa di conoscere chi ne prenderà il posto; sia per il dialogo impossibile tra i palestinesi laici di Abu Mazen e gli integralisti di Hamas; sia per la fragilità del mondo musulmano sunnita, minacciato dallo strapotere degli sciiti di Teheran, che sfidano il mondo con l'incubo del nucleare. Il neo quartetto di Damasco, nonostante più che legittime riserve, ha infatti molto da offrire alla stabilizzazione. Perché la Siria, lieta d'essere stata «sdoganata» da Parigi, può influire sul suo più grande alleato regionale, l'Iran di Ahmadinejad, spingendolo verso un maggiore realismo. Assad poi, in un impeto di ottimismo, dichiara che la pace con Israele è possibile e ringrazia la Turchia, che ha già ospitato quattro tornate di colloqui indiretti, anche se poi annuncia il rinvio del quinto round per le dimissioni del capo delegazione di Gerusalemme.
Lo scaltro Erdogan, salvato dall'accusa di voler islamizzare la Turchia, si propone come mediatore a tutto campo: dal Medio oriente al Caucaso, e ora tende la mano alla nemica Armenia. Il premier incassa il ringraziamento di Sarkozy, che sul futuro ingresso di Ankara nell'Ue è (era?) il più scettico. Ma in questo girotondo di reciproci riconoscimenti, si può dire che il presidente francese si ritrova nel ruolo di mattatore. Facendosi implicitamente garante sia del «nuovo corso» siriano sia di Israele, con il quale ha rapporti migliori di quelli del suo predecessore Chirac. Anche l'emiro del Qatar, new entry della diplomazia araba, ha un successo da vantare: i negoziati di Doha, che hanno permesso di eleggere il presidente libanese Suleyman e di scongiurare, per ora, un nuovo conflitto.
Sperare in qualche serio risultato è quindi legittimo, anche se Gerusalemme non ha tutti i torti a dubitarne. Che dire sulla lettera del padre del soldato israeliano Gilad Shalit, prigioniero degli integralisti a Gaza, che doveva essere consegnata da Sarkozy ad Assad? Per evitare imbarazzi al padrone di casa, che rifiuta il ruolo di sostenitore degli estremisti palestinesi, è finita all'emiro del Qatar, che la girerà a Khaled Meshal, leader dei duri di Hamas, esiliato proprio a Damasco. Dettaglio significativo. O no?

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