Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Accordo Italia-Libia: basi negate agli Stati Uniti ? lo sostiene Gheddafi: cronache e analisi
Testata: Corriere della Sera Data: 03 settembre 2008 Pagina: 2 Autore: Giuliano Gallo - Guido Olimpio - Ennio Caretto - Glauco Maggi Titolo: «Gheddafi spiazza l'Italia sulle basi «negate» agli Usa - Muammar, il mago del baratto In sella dopo 40 anni di intrighi - Indebolite Nato e Ue E' un brutto precedente - Il vostro premier è un po' strano»
Gheddafi sostiene che l'accordo Italia-Libia includerebbe una clausola per la quale "l'Italia non userà e non permetterà di usare il suo territorio per ogni aggressione contro la Libia". "Aggressione" è un termine ovviamente soggetto a interpretazione, ma in quella di Gheddafi sono incluse eventuali azioni statunitensi, non importa come motivate. Di seguito, la cronaca dal CORRIERE della SERA del 3 settembre 2008:
ROMA — Muammar Gheddafi «spiega» al suo popolo l'accordo firmato la settimana scorsa con l'Italia. E scoppia una piccola tempesta politico-diplomatica. Perché nella versione dell'accordo così come il leader libico l'ha raccontata al parlamento di Tripoli c'è una clausola potenzialmente esplosiva: «Nel rispetto dei principi della legalità internazionale — recita l'articolo 4 del trattato — l'Italia non userà e non permetterà di usare il suo territorio per ogni aggressione contro la Libia». Dunque, secondo il «re dei re d'Africa» (titolo concessogli la scorsa settimana dai suoi capi tribù), l'Italia si sarebbe impegnata anche a negare le sue basi ad eventuali azioni ostili della Nato e degli Stati Uniti. Il governo italiano, consapevole della delicatezza della cosa e vagamente imbarazzato dalla sortita del dittatore libico, sceglie nella risposta il profilo più basso possibile: una nota di poche righe, nella quale si ribadisce che «l'accordo, come è ovvio, fa salvi tutti gli impegni assunti precedentemente dal nostro paese, secondo i principi della legalità internazionale». Compreso ovviamente l'accordo di «mutuo soccorso» sottoscritto con il Patto Atlantico nell'ormai lontano 1949. L'opposizione, dopo aver definito la nota di Palazzo Chigi «imbarazzata e reticente », si è affrettata a chiedere che il governo riferisca al più presto in Parlamento sulla querelle. Invito che il ministro degli Esteri Franco Frattini si è detto dispostissimo ad accogliere: «Noi non ci opponiamo mai alle richieste di audizione in Parlamento», ha detto parlando, ironia della sorte, proprio alla Festa del Pd di Firenze. «Ma è chiaro che non si possono rimettere in discussione tutti i trattati internazionali. L'accordo prevede un reciproco impegno a non esercitare azioni di aggressione, cosa che l'Italia esclude categoricamente di poter fare». Secondo Gheddafi, invece, il negoziato si era inceppato proprio su questo punto: la Libia non voleva un altro bombardamento come quello dell'86 su Bengasi, guidato — secondo il colonnello — «dai radar di una stazione americana sull'isola di Lampedusa ». E quindi sul famoso articolo 4 i negoziatori libici avevano dato battaglia, ha raccontato Gheddafi: «Abbiamo detto agli italiani che la questione altrimenti non sarebbe stata chiusa, e che noi non avremmo mai perdonato l'Italia per quello che aveva fatto contro di noi». Da Bruxelles il portavoce della Nato ha concesso solo uno stringato «no comment», mentre il Dipartimento di Stato Usa ha indirettamente ma platealmente risposto annunciando una visita di Condoleezza Rice a Tripoli. «Una visita storica — l'ha definita il portavoce del Dipartimento — che apre un nuovo capitolo dei rapporti fra Stati Uniti e Libia». È la tappa finale di un riavvicinamento iniziato nel 2003, quando la Libia aveva deciso di rinunciare al suo programma nucleare. Un gesto che cancella le bombe su Bengasi, l'attentato di Lockerbie e 39 anni (da tanto dura il «regno» di Muammar Gheddafi) di tensioni drammatiche. L'ultimo segretario di Stato a varcare il confine libico era stato John Foster Dulles, nel 1953
La (sanguinosa) "carriera" di Gheddafi ricostruita da Guido Olimpio:
Se Muammar Gheddafi è al potere dal 1969 un motivo ci deve essere. Ha sepolto molti altri «monarchi», ha visto sparire i killer di cui si serviva, ha voltato le spalle agli amici (pochi) e ha stretto la mano ai nemici (tanti). I gesti del colonnello, però, non sono mai definitivi. Si è sempre lasciato una o più vie di fuga. Un po' come Yasser Arafat, che però — guarda caso — non c'è più. Da grande sopravvissuto, Gheddafi ha stretto patti con tutti, diavolo compreso. Un esempio. La Libia ha aiutato per anni i terroristi più pericolosi, ma è stata la magistratura di Tripoli ad emettere il primo mandato di cattura contro Osama Bin Laden. Era il 1994 e i libici lo volevano arrestare per l'uccisione di due 007 tedeschi avvenuta nel Paese. Il colonnello sa che si può sempre barattare qualcosa. La testa di un pericoloso estremista come la tecnologia sofisticata. L'importante è avere la moneta di scambio al momento giusto, quando c'è qualcuno che te la chiede. Ed è così che la Libia è rientrata nella comunità internazionale. La rinuncia al suo programma nucleare è stato il prezzo pagato per tornare ad essere un interlocutore politico. Era il 2003 e gli americani — per interessi economici e strategici — volevano chiudere il dossier libico. La Cia, che è riuscita ad arruolare una famiglia di svizzeri coinvolti nel piano nucleare del colonnello, organizza il colpo. Un mercantile, la «Bbc China», che trasporta materiale sensibile destinato a Tripoli, viene costretto a far scalo a Taranto. Con un'azione congiunta con il Sismi il cargo è bloccato. Dalle stive saltano fuori «le prove» dei progetti libici. Il colonnello, ben volentieri, si piega ad un accordo e la confisca del carico è il gancio che lo trascina verso la direzione giusta. I rapporti con Washington migliorano. La Cia conduce la mediazione e poi coinvolge i libici nella guerra ad Al Qaeda. Una volta gli aerei facevano scalo nelle basi nordafricane per nascondere pericolosi terroristi, ora trasportano i militanti catturati dagli Usa con operazioni speciali e destinati a Guantánamo. Un approccio pragmatico — Gheddafi teme che i qaedisti libici creino problemi all'interno della Libia — che cerca di far dimenticare il passato. A cominciare dal mistero di Lockerbie. Il 21 dicembre 1988 un jet Pan Am esplode nei cieli di Scozia, 270 le vittime. Un attentato per il quale è stato condannato lo 007 libico Mohammed Al Megrahi. Ma anche in questa storia non mancano le ambiguità. Prove importanti che potevano scagionare la spia sono state nascoste dalla polizia. Un paio di testimonianze appaiono oggi dubbie. Ma Tripoli ammette le responsabilità in modo da ottenere, in cambio, la fine delle sanzioni. Di nuovo è il grande baratto. Più facile per il colonnello che non ha alcun dovere verso un'opinione pubblica inesistente. E lo schema in qualche modo si ripete con il dramma delle infermiere bulgare accusate di avere infettato con l'Aids decine di bambini libici. Gheddafi alza il prezzo per evitare che vengano consegnate nelle mani del boia. E' come se il colonnello, diventato «buono» in nome dei contratti, voglia ricordare il suo passato di «cattivo». Un'eredità pesante che ancora lo insegue. Dieci giorni fa in un attentato in Irlanda del Nord è stato usato dell'esplosivo Semtex. I resti, secondo la polizia, del carico regalato dalla Libia all'Ira negli anni 80. Altro episodio in Libano. La magistratura libanese ha appena chiesto l'arresto di Gheddafi per la scomparsa dell'imam Moussa Sadr avvenuta nel settembre 1978. Un giallo che ha coinvolto anche l'Italia in quanto l'esponente libanese era diretto nel nostro Paese. Il caso non è ancora chiuso e potrebbe riservare sorprese non gradite.
Un'intervista di Ennio Caretto a Daniel Pipes
WASHINGTON — Secondo Daniel Pipes, direttore del Middle East Institute e consulente di Congresso e Casa Bianca sull'Islam, accogliendo le richieste di Gheddafi l'Italia ha commesso un grosso errore e stabilito un grave precedente. «Da un lato ha indebolito la Nato, sebbene il vostro governo sostenga il contrario — dice il maestro del pensiero neocon americano — e dall'altro ha sancito il principio che l'Europa debba riparare finanziariamente al suo passato colonialista ». E ora, continua Pipes, rischia di innescarsi un processo che danneggerà l'Alleanza Atlantica e l'Unione Europea: «Mi meraviglio che un leader conservatore come Berlusconi abbia ceduto a una manovra del genere». Perché la Nato ne sarebbe indebolita? «Perché questo separa l'Europa dall'America. Come Putin cerca di indurre i Paesi europei che più dipendono da petrolio e gas russi a prendere le distanze da noi, così Gheddafi cerca di indurvi a stare dalla sua parte nel caso di un nuovo scontro con l'America. Avete firmato un accordo non solo commerciale ma anche politico». Perché parla di un pericoloso precedente? «Gheddafi ha ottenuto un risarcimento per le colpe di Mussolini e ha aperto le porte ad altri Paesi arabi per richieste ancora maggiori, come l'Algeria nei confronti della Francia. L'Europa deve essere molto ferma al riguardo: niente riparazioni dopo un certo tempo». Ma non è giusta qualche forma di compensazione? «Accetto che chi soffrì sotto un' occupazione straniera sia risarcito. Ma che c'entrano i figli e i nipoti? Che cosa c'entra l'Italia di oggi con quella colonialista di ieri? Si strumentalizza il nostro senso di colpa, accade anche in America a proposito della schiavitù, abolita oltre 150 anni fa. Ed è ridicolo. Di questo passo, la Spagna chiederà riparazione all'Arabia Saudita per l'invasione del 711, e voi italiani risponderete degli abusi dell'Impero romano». Lei è filo-israeliano. Israele ne andrebbe di mezzo? «Sì, anche se in misura modesta, perché un'Europa sulla difensiva avrebbe meno potere in Medio Oriente, farebbe minore presa sui Paesi arabi, lasciando più spazio al radicalismo islamico».
Da La STAMPA, un'intervista di Glauco Maggi all'analista Laurent Murawiec:
«Perché l’Italia doveva mai fare un accordo con la Libia, e concedere a Gheddafi le riparazioni economiche sul lontano passato?». Al telefono nel suo ufficio di Washington del pensatoio Hudson Institute, l’esperto di politica internazionale Laurent Murawiec, convinto neoconservatore, ride sarcastico alla domanda sul patto tra Gheddafi e Berlusconi, che contiene, tra l’altro, pure il famoso articolo 4 sul divieto all’uso delle basi americane in Italia in caso di tensioni con la Libia. «Mi auguro che il particolare del divieto non sia vero, ma purtroppo non ci sarebbe da stupirsi se fosse proprio così», commenta Murawiec. Lei pensa che Berlusconi possa aver firmato un accordo che nega le basi Usa al Pentagono senza aver avvertito prima il dipartimento di Stato e la Casa Bianca? «Questo io non lo so, ma le posizioni del governo italiano in politica estera sono piuttosto strane, di questi tempi. Non mi stupirei, insomma, che sia avvenuto alle spalle di Washington, perché Berlusconi non mi pare stia tenendo una linea abbastanza energica, per dire il minimo, sulle questioni internazionali del momento. Per esempio l’abbiamo visto a proposito della guerra in Georgia, e nei rapporti con Putin. Durante il suo precedente mandato il premier italiano era stato molto meglio, distinguendosi dal francese Chirac e dal tedesco Schroeder su tutti i temi caldi». Ma non è stata la stessa America a fare la pace con la Libia dopo la rinuncia di Gheddafi al piano di armamento nucleare? «Il passaggio dal non essere più nemici a quello di diventare amici non è automatico, nè obbligatorio. Far chiudere il programma nucleare è stato un’ottima cosa: Gheddafi aveva del resto una paura tremenda. Ma da allora sono alquanto critico sulla politica molto tenera degli Stati Uniti verso la Libia, come verso altri dittatori del mondo arabo e mediorientale». Secondo lei, ci saranno conseguenze al patto Italia-Libia nei rapporti tra Roma e Washington, se emergesse che non è stato concordato prima il particolare delle basi vietate? «Il Dipartimento di Stato è stata l’avanguardia del governo americano nel perseguire la politica dell’“essere carini” verso Gheddafi. Come fanno a criticare l’Italia per essere, oggi, ancora più amica di Gheddafi? Io però insisto a non capire il senso delle riparazioni economiche riconosciute al governo libico. Non mi pare sia questa una priorità della politica estera italiana". Quindi lei non è convinto dell’intera bontà dell’accordo basato sui risarcimenti... «Posso ammettere che vengano concessi dei rimborsi a chi è stato individualmente colpito e danneggiato e reclama delle riparazioni economiche, ma allora perché l’Italia e gli italiani interessati non hanno sollevato la questione degli espropri subiti tre decenni fa, sia da parte dello stesso governo libico sia da parte di quello egiziano?».
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