Donne discriminate tra gli ebrei ortodossi un'inchiesta su un problema reale, affrontato però con un' ottica distorta
Testata: Il Manifesto Data: 03 settembre 2008 Pagina: 9 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Povere HAREDI»
Non ci sarebbe nulla da eccepire, di per sé, nella denuncia delle discriminazioni e delle violenze contro le donne all'interno della comunità haredi di Gerusalemme. Perciò, l'articolo di Michele Giorgio pubblicato dal MANIFESTO il 3 agosto 2008 potrebbe essere un caso di "orologio rotto che dà l'ora esatta 2 volte al giorno". L'ottica con la quale Giorgio guarda alle vicende che racconta, però, è chiaramente distorta. Una cosa è indagare sulle storture all'interno del mondo ultraortodosso (di una parte di esso: le generalizzazioni sarebbero errate), un'altra è dipingere Israele come uno Stato confessionale, simile all'Arabia Saudita. Ed'è questo che Giorgio cerca di fare, anziché limitarsi a denunciare un problema sociale e culturale reale, che però non cambia la natura laica di Israele.
Ecco il testo:
«Mi chiamo Hana Pasternak. Esatto, Pasternak, come lo scrittore russo». Il tono della voce di Hana riflette la tranquillità interiore di una donna di 64 anni che, sorridendo, racconta la sua vita di ebrea osservante e il suo ruolo di nonna fortunata di parecchi nipoti. Ma è solo apparenza, perché Hana è conosciuta dalle sue amiche come una donna che improvvisamente ha saputo tirar fuori una forza sorprendente. «Non mi ritengo così forte come mi descrivono - puntualizza -, credo solo che sia giusto non rimanere in silenzio di fronte a un abuso». La sua vicenda risale a quasi due anni fa quando Hana, a Gerusalemme, salì a bordo di un autobus urbano nello storico quartiere di Mea Sharim, popolato da haredim, gli ebrei ultraortodossi. «Mi sistemai sui sedili anteriori - ricorda -, ma pochi secondi dopo un uomo mi urlò in faccia di spostarmi immediatamente in fondo, assieme a tutte le altre donne. Era un haredi e mi squadrava dall'alto in basso, con occhi minacciosi». «Dopo qualche attimo di smarrimento - continua a raccontare Hana -, obiettai che quello era il mio posto e non intendevo muovermi. Lui allora mi accusò di violare le regole dell'ebraismo e persino di voler provocare sessualmente gli uomini presenti. Replicai che la nostra religione non obbliga le donne a sedersi in un punto preciso di un automezzo». «La reazione del mio interlocutore fu esplosiva, mi disse dell'esistenza un accordo con la Egged (la principale compagnia israeliana di trasporti, ndr ) per tenere uomini e donne separati sui pullman e pronunciò parole irripetibili. Per fortuna non mi aggredì fisicamente, ma fu traumatico e umiliante di fronte a tante persone». Hana ha rivissuto più volte quell'esperienza ma non si è lasciata intimidire, come invece è accaduto a tante altre. Ora dirige il Centro «Kolech» per i diritti delle donne nella religione ebraica. Resiste anche Naomi Ragen, 57 anni, un'altra ebrea osservante originaria di New York, chiamata da qualcuno «Rosa Parks» per essersi rifiutata con tutte le sue forze di obbedire all'ordine di un haredi di sedersi in fondo all'autobus n.40. Più grave di Hana Pasternak e Naomi Ragen è stata, tempo fa, la vicenda vissuta da ebrea ortodossa canadese che, salita a bordo di un pullman diretto al Muro del Pianto, venne attaccata da un ultraortodosso per aver violato la «regola» dei posti separati. «Fu aggredita fisicamente, venne picchiata duramente», ha denunciato il suo avvocato, Orly Erez-Likhowski, consigliere legale del «Movimento per l'ebraismo progressista» che porta avanti una campagna contro la decisione del ministero dei trasporti e della Egged di accettare, di fatto, che su decine di autobus le donne vengano segregate. Sulla carta non esiste alcun accordo ufficiale, eppure sono una trentina le linee dove alle donne ebree non è consentito sedersi nella parte «riservata» agli uomini. La Egged si è difesa affermando di aver semplicemente lasciato alla comunità haredi la possibilità di stabilire le proprie regole per l'uso dei mezzi pubblici. Ma la questione degli autobus con uomini da una parte e donne dall'altro è solo la punta dell'iceberg del potere e della crescente aggressività della comunità haredi di Gerusalemme (e non solo) che si manifesta sempre più spesso contro le donne. Solo recentemente la stampa israeliana ha dato risalto alla notizia del fermo di membri della «polizia della moralità» - in fondo non lontana da quella, perfettamente legalizzata, che opera in Arabia saudita - è tardivo. E i media occidentali che pure riferiscono, giustamente, delle pesanti violazioni dei diritti delle donne nei paesi islamici, tacciono sugli abusi e le violenze contro le donne ebree, in particolare quelle ultraortodosse e ortodosse moderne, da parte di chi usa in modo spregiudicato la religione e i testi sacri. «La polizia della moralità esiste da molti anni - denuncia Hana Pasternak - e il più delle volte agisce indisturbata. La polizia (dello Stato) non fa abbastanza per proteggere le donne, credo che abbia paura di interferire nelle regole della comunità haredi che, peraltro, ha l'abitudine di protestare con violenza». Insignificante è l'azione della polizia nei quartieri ultraortodossi di Gerusalemme, città dove il potere, a tutti i livelli, dei religiosi ebrei aumenta di anno in anno (il sindaco uscente, Uri Lupolianski, è un ortodosso, e in autunno sono previste le elezioni municipali). In Israele gli ebrei haredim sono meno del 10% della popolazione ebraica - degli oltre 7 milioni di israeliani il 75% sono ebrei, il 20% arabi e il 4,4% altri - ma esercitano, grazie anche ai loro partiti e alle loro istituzioni (ben finanziate dallo Stato), una significativa influenza su almeno un altro 30-35% degli israeliani ebrei che si definiscono ortodossi moderni o praticanti. Di pari passo all'aumento del potere politico e sociale degli haredim, sembrano moltiplicarsi le violenze a danno delle donne, compiute quasi sempre dalla «polizia della moralità». Ha fatto scalpore, all'inizio dell'estate, quanto è accaduto nell'insediamento colonico di Beitar Illit (nella Cisgiordania occupata), una nota roccaforte fondamentalista. Un'adolescente si è vista spruzzare in faccia e sulle gambe dell'acido, ed è rimasta seriamente ferita. L'aggressore disapprovava il suo abbigliamento: una maglietta a maniche corte ed un paio di pantaloni larghi. Dopo l'accaduto, il sito internet del quotidiano Yediot Ahronot ha pubblicato il parere di un importante rabbino: le donne, a suo dire, devono vestire modestamente, anche da sole, anche al buio e in ogni caso non devono indossare mai i pantaloni. Le violenze che subiscono le donne vengono giustificate all'interno della comunità ultraortodossa e a Gerusalemme per diversi giorni haredim di tutte le età hanno manifestato in via Yoel contro il fermo di tre membri della «polizia della moralità». Le brutalità subite da una giovane donna non hanno scosso la solidarietà verso gli aggressori. Secondo quanto accertato dalla polizia, il primo giugno sette uomini sono entrati nell'abitazione della donna accusata di avere una relazione «illecita» e l'hanno ferita gravemente. Poi, dove averle intimato di lasciare subito la sua abitazione, l'hanno minacciata di morte. «La polizia morale fa quello che dovrebbe fare la polizia (dello Stato)» ha commentato un manifestante in via Yoel intervistato dallo Yediot Ahronot . A raccogliere una buona parte delle denunce di donne ebree religiose soggette ad abusi e violenze è Debbie Gross, direttrice del «Crisis Center for Religious Women» di Gerusalemme. «Il nostro centro è principalmente una hotline, ma cerchiamo di offrire un'assistenza ad ampio raggio a quante ci telefonano chiedendoci aiuto e consiglio», dice Gross, «nell'ultimo anno abbiamo registrato un aumento delle telefonate, il 60% delle quali da parte di donne religiose di Gerusalemme». Gross, una ortodossa moderna, spiega lo sviluppo con la maggiore consapevolezza acquisita dalle donne ma anche con la profonda «crisi di autorità» che attraversano i maschi ultraortodossi. «Nella comunità haredi - dice l'attivista - gli uomini non lavorano ma studiano soltanto e trascorrono una parte della loro esistenza nelle scuole rabbiniche. Le donne, più istruite che in passato, invece lavorano, oltre ad occuparsi dei figli, e sono relativamente più esposte a influenze esterne. Gli uomini perciò avvertono che qualcosa sfugge loro di mano, che fanno sempre più fatica a tenere sotto controllo le donne. Reagiscono a tutto ciò con crescente violenza». Da parte loro i rabbini, sottolinea Gross, esercitano forti pressioni affinché gli uomini facciano la loro parte per «evitare l'assimilazione» della comunità al laicismo, contribuendo così ad inasprire gli atteggiamenti repressivi verso le donne. Di fronte a ciò lo Stato di Israele, pur proclamandosi laico e democratico, si mostra poco reattivo, se non indifferente, a conferma del controllo che i partiti religiosi hanno conquistato su una porzione consistente della vita politica e nella società. La «polizia della moralità» perciò continua ad agire indisturbata.
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