Italia-Libia: accordo forse vantaggioso economicamente, ma senza giustizia per gli ebrei cacciati, per gli imprenditori espropriati, per l'Italia, che Gheddafi non smetterà di ricattare...
Testata:L'Opinione - Il Sole 24 Ore - Il Foglio Autore: Michael Sfaradi - Alessandro Milan - la redazione Titolo: «La rabbia degli ebrei cacciati, discriminati e mai risarciti - Io, imprenditore espropriato da Gheddafi e mai risarcito - Lo sviluppo dell’Italia passa per la Libia - Ma un Gheddafi è per sempre»
Da L'OPINIONE del 2 settembre 2008
Sale lo sdegno fra gli appartenenti alla comunità libica di religione ebraica dopo l’accordo fra il governo italiano e quello libico. Accordo che non prevede alcun risarcimento per chi, allora, si vide portar via tutto ciò che possedeva e si ritrovò sul lastrico. Dobbiamo ricordare che, insieme agli italiani che vivevano in Libia, tutti gli ebrei libici, dopo la confisca dei beni mobili ed immobili, furono cacciati dalle loro case ed espulsi dalla nazione all’indomani del colpo di Stato che portò il colonnello Gheddafi al potere. E’ doloroso chiedere il parere a chi, per il solo fatto di essere ebreo subì un crimine contro l’umanità e che dopo essere stato ridotto alla fame conobbe i campi di raccolta prima dell’espulsione. Ma noi lo abbiamo fatto ed abbiamo constatato che oltre al dolore mai sopito per ciò che accadde, c’è la certezza di essere stati traditi ancora, questa volta dal governo italiano. Non traditi da un governo qualsiasi ma da quello che hanno votato (dopo tanti anni di residenza in Italia la quasi totalità degli ebrei libici ha assunto la cittadinanza italiana), dal leader che si era sempre dimostrato amico di Israele ed attento alle ragioni degli ebrei di tutto il mondo.
La frase ricorrente è: ma Berlusconi, che si mette d’accordo per 5 miliardi di dollari di risarcimento coloniale, non poteva mettere nelle trattative anche ciò che fu tolto a noi con la forza? Visto che il governo italiano si prende le sue colpe, perché non mettere, una volta tanto, un leader arabo davanti alle sue responsabilità e chiedere giustizia? Nessuno restituirà mai a queste persone l’esistenza che poteva essere e che, invece, non sarà mai, ma visto che Gheddafi è stato così bravo a chiedere i danni, arrivando anche al subdolo ricatto del dare il via libera ad un’immigrazione di massa di clandestini se le sue richieste non fossero state soddisfatte, dovrebbe anche essere in grado di capire che diritti e doveri corrono di pari passo. E’ stata una resa senza condizioni, questo è il commento degli ebrei libici nel momento in cui vedono svanire l’ultima speranza di avere giustizia. Conoscono bene la mentalità della loro terra d’origine e sanno meglio di ogni altro che questo accordo verrà proprio inteso come una vittoria, l’Italia si è arresa perché sente sulla sua testa la spada di Damocle del terrorismo finanziato dalla Libia.
Si è arresa perché continuerà il sequestro dei pescherecci in acque internazionali come continueranno gli sbarchi dei clandestini sulle coste italiane. Si è arresa perché quello che Silvio Berlusconi ha firmato sotto la tenda del Colonnello è una cambiale senza scadenza e perché prima di quanto crediamo il governo italiano si troverà a ridiscutere il prezzo e a rimettere mano al portafoglio. Concludiamo quest’articolo con le ultime frasi della lettera aperta che Herbert Pagani scrisse a Gheddafi nel 1987: “Con l’amore inspiegabile, quasi perverso degli ebrei per le terre matrigne che li hanno adottati, avresti potuto fabbricare ali ai tuoi re, ai tuoi eroi, ai tuoi santi e martiri per mandarli a dire al mondo che il tuo Paese esiste. Avrebbero potuto cantarlo, il tuo deserto, con parole che avrebbero fatto cadere i petali di questa ’rosa delle sabbie’ che hai al posto del cuore. Ma Allah, che è grande e vede lontano, ha voluto, per tua mano, farci partire, affinché io andassi a cantare i miei canti sotto altri cieli, e che la tua nazione potesse proseguire, come in passato, il suo esaltante compito: essere la pagina vuota del Grande Libro dell’Islam”.
Sul SOLE 24 ORE, in prima pagina, segnaliamo l'articolo di Alessandro Milan "Io, imprenditore espropriato da Gheddafi e mai risarcito", che inizia così
Leone Massa lo ripete di continuo, come un mantra: "Articolo 35 della Costituzione, ultimo comma: la Repubblica tutela il lavoro italiano all'estero. La verità è che Gheddafi ha saputo difendere benissimo i diritti dei suoi cittadini. Berlusconi non ancora. Ci sono molti imprenditori, come il sottoscritto, che vantano crediti da Tripoli e non hanno mai ottenuto un euro"
(che davvero Gheddafi abbia difeso gli interessi dei suoi cittadini e non i propri ci sembra dubbio, ndr)
Sull'argomento dell'accordo con la Libia, Il FOGLIO del 2 settembre pubblica due editoriali di opposto orientamento: uno che ne sostiene la positività per l'economia italiana e uno che mette in guardia dall'illusione che Gheddafi consideri davvero chiuso il contenzioso sui risarcimenti per il colonialismo.
Ecco il primo:
La conclusione dell’accordo con la Libia, alla presenza del vicepremier russo Sergei Ivanov, fa parte di una strategia di diversificazione dei nostri rifornimenti energetici che non mira all’isolamento della Russia ma a trovare un’alternativa al petrolio medio orientale. Dal punto di vista economico il petrolio libico è per noi ottimale, non solo per la sua buona qualità (ha un bassissimo contenuto di zolfo) ma anche per il basso costo del trasporto e la sicurezza del rifornimento che non è minacciato da complicazioni di tipo politico o militare. La costruzione di una superstrada che la collegherà lungo il litorale con Tunisia ed Egitto, apre alla Libia interessanti prospettive. E’ la fine dell’isolamento in cui si trova oggi e la promessa di realizzare quella regione economica afro-mediterranea che finora è esistita solo sulla carta. E anche noi potremo beneficiarne: le grandi imprese italiane di ingegneria e costruzioni è probabile avranno, almeno per alcuni anni, una presenza di primo piano in Libia che aprirà loro altre opportunità. Si può prevedere anche un grande impulso allo sviluppo libico nel turismo, nell’agricoltura, nella pesca e in attività industriali, con ricadute positive sull’economia italiana. L’accordo potrebbe essere la base per altre collaborazioni, ad esempio nel settore energetico. Si potrebbe perfino ipotizzare la costruzione di una centrale nucleare in comproprietà, costruita nelle zone desertiche che in Libia abbondano.
E il secondo:
Un Gheddafi è per sempre, nel senso più proprio dell’espressione. Nel senso che la sua scaltrezza conosce successi e sconfitte, ma non inclina alla resipiscenza. Questo lo sappiamo tutti dai tempi in cui Ronald Reagan risolse a modo suo un vecchio contenzioso con il rais libico. Oggi invece il Cav. si rallegra del presunto bottino portato a casa dopo lo storico accordo appena siglato a Bengasi tra Italia e Libia. Un patto pressoché unilaterale che nella migliore delle ipotesi guadagnerà all’Italia qualche eccellente migliaio di barili petroliferi a buon mercato. Magari fosse. Il lato cisposo della circostanza è ovviamente un altro e riguarda la pretesa irenica d’aver immobilizzato la meccanica intimidatoria degli sbarchi d’immigrati libici sulle nostre coste, in cambio del lauto banchetto finanziario e d’infrastrutture assicurato a Gheddafi dal Cav. come risarcimento per il colonialismo tricolore. Non è in questione – non qui e ora – il diritto/dovere italiano di pacificare i conti della storia novecentesca costruendo autostrade nordafricane a spese del contribuente italiano (certo fa un po’ effetto), ma è tremendamente utopico immaginarsi che la Libia, una volta constatata l’efficacia della minaccia, una volta creatosi tale precedente, si accontenti e rinunci a replicare il gioco tra qualche anno (Gheddafi sarà sempre lì, forte e furbo, in Italia chissà). Un gioco plasticamente visibile nella cessione italiana, a occhi chiusi e con movenze trafelate, della Venere di Cirene. L’esatto contrario di quanto era avvenuto con il più patriottico Rutelli alla Cultura.