I cristiani in terra d'islam intervista all'arcivescovo Paul Hinder
Testata: Il Giornale Data: 31 agosto 2008 Pagina: 14 Autore: Marta Allevato - la redazione Titolo: ««Io, nel ghetto cristiano dove gli emiri vietano di suonare le campane» - In India continuano le violenze: 6mila persone nascoste nella foresta»
Dal GIORNALE del 31 agosto 2008:
La sua diocesi copre tutta la penisola arabica. I suoi fedeli parlano tagalog, indi, urdu, arabo, inglese e cingalese. Le sue parrocchie non hanno croci, né campanili: bisogna stare attenti a non «offendere» i vicini musulmani. Niente campane per annunciare la messa. Niente processioni per le strade. È vietato. Si muove in questo contesto l’arcivescovo Paul Hinder, dal 2005 vicario apostolico per l'Arabia, pastore della comunità cattolica in terra d’islam: Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar, Bahrain, Yemen e infine Arabia Saudita. Cappuccino, 66 anni, svizzero, monsignor Hinder guida circa due milioni di cattolici di 90 diverse nazionalità. Vive ad Abu Dhabi. Il suo ufficio è «vicino ad una delle più grandi moschee del Paese». In un momento in cui è ai massimi livelli l’allarme per la persecuzione dei cristiani nel mondo, il vescovo d’Arabia racconta al Giornale la «libertà condizionata» dei cattolici in questo angolo di Medio Oriente. Dove, nonostante divieti e discriminazioni, «la comunità cresce ed è vitale». Eccellenza, dopo le violenze in India, il Vaticano ha parlato di «cristianofobia» diffusa. «Molto spesso la “cristianofobia” parte da condizioni sociali, economiche e politiche concrete. In tali situazioni la religione può essere strumentalizzata, senza essere la vera ragione di un conflitto. Ci vuole sempre un capro espiatorio. Come in India». E nel mondo islamico, dove vive? «Qui non parlerei di una “cristianofobia” generalizzata, anche se accomunare una certa politica occidentale con i cristiani può creare danno a tanti come in Irak o in Pakistan. Per questo guardiamo con apprensione ad una possibile guerra contro l’Iran, che potrebbe avere gravi ripercussioni per la convivenza». Nella penisola araba vi è persecuzione religiosa? «Bisogna fare una distinzione tra libertà religiosa e di culto. In Bahrain, Qatar, negli Emirati i cristiani sono liberi di professare nei compound adibiti al culto, dove si svolgono tutte le attività parrocchiali. Non c'è però libertà religiosa, perché non puoi decidere quale credo seguire: un musulmano non potrà mai convertirsi. Si tratta di una libertà condizionata, ma la comunità cresce». Nella democratica India si uccidono i cristiani e nell’islamica Arabia il loro numero sale. In India vi è un movente politico dietro la persecuzione, mentre qui i cristiani non ricoprono alcun ruolo pubblico né hanno potere economico. La comunità è costituita al 90% da immigrati che lavorano nei cantieri dell’Arabia del grande sviluppo edilizio. Quest’anno abbiamo inaugurato la prima chiesa in Qatar. Un evento storico». Ma in Arabia Saudita si viene arrestati per una Bibbia... «Questo è l’unico Paese dove non esiste neppure la libertà di culto. I cattolici sono circa 800mila. Non si può diffondere o possedere materiale religioso. Il re Abdallah, però, ha concesso la preghiera in luoghi privati, purché non si rechi disturbo». In che senso, scusi? «Ad esempio non possiamo operare o accettare conversioni e ogni rapporto troppo personale con musulmani è visto come sospetto. Il problema è definire con precisione questo confine tra pubblico e privato. In passato erano frequenti le irruzioni della polizia religiosa nelle case dei cristiani. Ora il governo sta cercando di rassicurarci e il fenomeno è molto diminuito».
Proprio da Ryadh arrivano, però, segnali di dialogo. «Credo nella sincerità del re saudita: la sua visita al Papa, gli incontri promossi a Madrid e a La Mecca sono gesti importanti. Il problema è che l’approccio dell’islam è sempre quello di dialogare per farsi conoscere. Non vi è autocritica e per questo è difficile una riforma. I leader religiosi più illuminati purtroppo sono messi a tacere dai fanatici e costretti a vivere sotto protezione. Il cammino è ancora lungo».
I cristiani non sono discriminati o perseguitati solo nel meondo islamico. Continuano le violenze dei fanatici indù (la cui ideologia si ispira al nazismo) nella regione dell'Orissa:
Nella regione dell’Orissa, «circa seimila cristiani sono attualmente nascosti nella giungla, nel tentativo di sottrarsi a ulteriori atti di violenza». Lo scrive l’Osservatore Romano che fa una sorta di bilancio di quanto accaduto nella provincia indiana dove da una settimana i cristiani sono nel mirino di gruppi fondamentalisti indù. Secondo il quotidiano della Santa Sede «sarebbe salito ad almeno 22 il conteggio dei morti negli attacchi cominciati lo scorso 24 agosto». «Più di quaranta - continua il giornale vaticano - sono le chiese bruciate e oltre 300 case sono state avvolte dalle fiamme». Inoltre, «due chiese e tre scuole cattoliche sono state saccheggiate ieri sera (l’altro ieri per chi legge; ndr) a Gwalior, città dello Stato settentrionale indiano dell’Uttar Pradesh: il saccheggio sarebbe opera di attivisti fondamentalisti indù che protestavano sempre per l’omicidio che ha dato il via agli scontri tra induisti e cristiani».
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