Questo mese di agosto non è certo stato povero di notizie. Ma chi, proprio a causa di questo en plein di avvenimenti, ha bisogno di farsi sentire «cocomeri» da dare in pasto ai media ne trova sempre. È il caso di Efraim Sneh, ex vice ministro della difesa israeliano che si è imbarcato in una missione personale di sensibilizzazione dell'opinione pubblica europea (in Svizzera e Austria) e americana (con una lettera ai due candidati alla Casa Bianca). In un documento di 8 punti afferma che «quando sarà chiaro che l'Iran è sul punto di ottenere armi nucleari un attacco militare israeliano per prevenirlo verrà seriamente preso in considerazione». In esso il serale Maariv vede una «decisione strategica di impedire all'Iran di nuclearizzarsi». Questo tipico «cocomero» di agosto, dettato anche da bisogno di pubblicità elettorale, ha poche probabilità di «fare notizia». Che il pericolo iraniano sia reale per Israele non è una novità. Ma un attacco israeliano per scongiurarlo è poco probabile. Anzitutto la «bomba» iraniana, che ancora non esiste non è più minacciosa di quella «islamica» del Pakistan, Paese che con Israele non ha rapporti ed è a rischio di cadere sotto l'influenza del radicalismo islamico dopo la caduta del presidente Musharraf. In secondo luogo il pericolo iraniano è soprattutto rappresentato dal regime khomeinista e da un presidente che usa l'anti israelianismo come strumento per rinforzare il suo internamente contestato potere. Un attacco israeliano sarebbe la maniera più sicura per rinforzare la sua leadership. Ci sono poi ostacoli tecnici a un attacco del genere: la dispersione di bersagli di interesse atomico su un immenso territorio; la dubbia capacità di Israele di poter penetrare le protezioni fisiche delle principali installazioni nucleari iraniani con bombe convenzionali anche di grosso calibro. Usare l'arma atomica «per primi» nel Medio Oriente sarebbe contraddire tutta la strategia nucleare seguita con successo da mezzo secolo a questa parte, isolare Israele nel mondo e soprattutto toglierli la sicurezza rappresentata dalla possibilità di rispondere col nucleare a un attacco non provocato iraniano. Inoltre e per il momento Israele non ha ricevuto il consenso americano di attraversamento indispensabile dei cieli irakeni mentre quello di un altro paese arabo è da escludere. Senza contare che un attacco all'Iran vanificherebbe il valore del sistema difensivo anti missilistico israeliano. Con la recente aggiunta di nuove armi sofisticate americane a quelle sviluppato da Israele esso offre una garanzia quasi totale a un attacco missilistico iraniano. Il pericolo missilistico esiste piuttosto da parte siriana degli Hezbollah libanesi. Ma non si deve dimenticare che nella tanto deprecata seconda guerra del Libano in cui la difesa civile israeliana si è trovata totalmente impreparata, il lancio di 4.000 missili hezbollah ha causato la morte di 40 civili israeliani. La risposta di Gerusalemme è stata 50 volte superiore. Se non ha distrutto l'organizzazione islamica pro iraniana ha certo contribuito a indurlo a chiedere il cessate il fuoco e ad accettare una forza internazionale di interposizione che per tre anni ha contribuito a garantire la tranquillità lungo la frontiera settentrionale di Israele.
Per inviare una e-mail alla redazione del Giornale cliccare sul link sottostante lettori@ilgiornale.it