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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.08.2008 Intesa tra Italia e Libia
una cronaca e un'intervista a Valentino Parlato, "portavoce" di Gheddafi

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 agosto 2008
Pagina: 10
Autore: Paola Di Caro - Mariolina Iossa
Titolo: «Berlusconi da Gheddafi Intesa sui risarcimenti - Parlato: cacciato da Tripoli a vent'anni Bravo il Cavaliere, gli altri furono incapaci»
Viene siglato oggi, 30 agosto 2008, un accordo "di amicizia e cooperazione" tra Italia e Libia.
Di seguito, riprendendoli dal CORRIERE della SERA, riportiamo due articoli. La cronaca di Paola Di Caro e un'intervista a Valentino Parlato di Mariolina Iossa.
Il cofondatore del MANIFESTO sostiene che i risarcimenti alla Libia per il passato coloniale sono per l'Italia un "dovere".
I risarcimenti a Gheddafi, in realtà, possono essere tante cose, e si potrà discutere della loro opportunità, ma un"dovere" proprio non possono esserlo, finché al potere in Libia resterà un dittatore e i soldi versati serviranno inevitabilmente a rafforzarlo. 
Una considerazione che però non può sfiorare Parlato, che reputa quello di Gheddafi non una dittatura, ma un "governo personalistico".
Parlato, tra l'altro, che sembra calato nella parte del portavoce dei dittatore libico (o del "governatore personalistico"), mette le mani avanti per lui: difficilmente il governo italiano otterrà quel che spera di ottenere da questo accordo, ovvero  che Gehddafi impedisca  le partenze dei migranti dalla Libia verso l'Italia.

Ecco  la cronaca:


ROMA — Dopo quasi 40 anni, dopo almeno due tentativi andati a vuoto quando sembravano a un passo (l'ultimo con D'Alema nel 2007), dopo visite a ripetizione, avvertimenti diplomatici, riavvicinamenti e minacce, oggi è il giorno in cui Italia e Libia mettono fine al loro lunghissimo contenzioso, siglando un patto di «amicizia » che ristabilisce relazioni amichevoli e privilegiate tra i due Paesi.
Questo almeno è quanto è deciso ad ottenere Silvio Berlusconi, che oggi vola a Bengasi per incontrare Muammar Gheddafi e per firmare quello che dovrebbe essere l'accordo definitivo tra Roma e Tripoli, al quale si lavora da mesi, e che ha avuto il suo momento conclusivo in un serratissimo round di incontri tra la delegazione libica da una parte e il sottosegretario Letta e il ministro Frattini dall'altra.
«Questo accordo di amicizia e di cooperazione raggiunto con la Libia permetterà di voltare la pagina del passato coloniale italiano nel Paese — le parole di Berlusconi affidate alla vigilia al giornale libico Oya —. L'accordo che firmeremo apre tutte le strade in vista del consolidamento del partenariato economico e sociale e intensificherà la cooperazione tra i due paesi».
Sono servite sei visite (la quinta lo scorso giugno), e un grosso sforzo economico a Berlusconi per chiudere la questione (che comunque non prevede un'intesa su tutto, alcuni capitoli saranno approfonditi da commissioni tecniche nei prossimi mesi). Il premier infatti, oltre alla statua delle Venere di Cirene, porta in dote un imponente risarcimento alla Libia, quel «gesto riparatorio» che Gheddafi pretendeva per i danni del colonialismo: primo fra tutti, il finanziamento di una lunga autostrada che collegherà il Paese dal confine egiziano a quello tunisino, opera da quasi tre miliardi e mezzo di euro che dovrebbero però essere spalmati in 25 anni, e poi lo sminamento di alcune aree del Paese, la costruzione di altri edifici minori, partecipazioni in progetti e infrastrutture per un costo stimato di oltre 5 miliardi di dollari: «È impossibile al momento precisare il volume degli investimenti che saranno realizzati, ma supereranno sicuramente diversi miliardi di dollari», conferma il premier.
Ma in cambio, oltre alla possibilità di tornare a lavorare e a investire in Libia per le aziende italiane che, come dicono a palazzo Chigi, avevano «subito barriere e discriminazioni», il premier conta di far diventare l'Italia il primo Paese di riferimento per la Libia in campo economico, e un sicuro partner nell'approvvigionamento di gas e petrolio (l'Eni è massicciamente presente nel Paese).
E c'è un'altra decisiva ragione per cui Berlusconi ha voluto a tutti i costi che si arrivasse all'intesa, per quanto onerosa alla fine possa essere: si ritiene infatti che solo la chiusura di un accordo generale si potrà far partire l'attuazione concreta delle misure già concordate tra Roma e Tripoli per un efficace contrasto dell'immigrazione clandestina anche attraverso dei pattugliamenti congiunti delle coste.
Insomma, con quello che il suo portavoce Paolo Bonaiuti definisce «il metodo della squadra, che una volta messa in campo porta risultati concreti e definitivi come nel caso Alitalia e per l'emergenza Napoli», Berlusconi è felice di chiudere un altro complesso dossier aperto sulla sua scrivania. E mentre si accinge a volare a Bengasi, spera anche di dare il suo contributo alla crisi georgiana che vedrà lunedì col vertice di Bruxelles un momento importante. Ieri infatti, dopo aver riferito del tema al capo dello Stato, il Cavaliere ha avuto lunghe telefonate sia con Putin che con Sarkozy, e oggi a Bengasi incontrerà anche il vice premier russo Ivanov.

E l'intervista:

ROMA — C'è nato a Tripoli, in Libia, Valentino Parlato, fondatore del manifesto. E ci ha vissuto fino ai vent'anni. Poi è stato cacciato «ma non dai libici — racconta il giornalista— dagli inglesi ai quali tra il '43 e il '51 fu affidata l'amministrazione provvisoria del Paese. Fui espulso come comunista e come fautore della causa indipendentista».
L'Italia e la Libia hanno finalmente raggiunto l'accordo. Berlusconi è stato bravo?
«C'è riuscito lui? Benissimo. Da molti anni un accordo tra i due Paesi si doveva e si poteva fare e per incapacità dei governi, sia di centrosinistra sia di centrodestra, non è stato fatto. Bene se ora Berlusconi firma la "pace"».
È il gesto riparatorio che Gheddafi voleva?
«Sì, ed è un dovere morale. Gli italiani non sono mica stati gentili con la Libia, trent'anni di colonialismo sono costati migliaia di morti. L'eroe indipendentista Omar Mukhtar è stato impiccato in piazza. Ma quest'accordo ha anche una sua convenienza economica. La Libia non è più lo "Stato canaglia", i nostri rapporti commerciali sono stretti, l'Eni in Libia ha grossi interessi economici».
Per molti espulsi sarà ora possibile ritornare.
«Io ci sono tornato dieci anni fa, invitato ufficialmente da Gheddafi. E' stato bello, una forte emozione. Ho rivisto la scuola, la casa dove ho abitato, il bar dove andavo con gli amici. Ma ho trovato anche un'altra Tripoli, più moderna, con alti grattacieli, nuove strade.
La Libia è in grande crescita, tra dieci anni sarà pronta per la democrazia».
Quello di Gheddafi resta però un regime.
«Certo, un governo personalistico. Ma la sua leadership ha bloccato tutte le tentazioni fondamentaliste. Se non l'avesse fatto, oggi assieme ai clandestini arriverebbero i terroristi. La Libia è un grande Paese con tanta popolazione e tanto petrolio, non un Paese di poveracci. Le donne non vanno in giro col volto coperto, fanno le soldatesse».
L'Italia chiede in cambio maggiore severità per fermare il flusso di clandestini. Se la Libia non rispettasse i patti?
«È giusto che l'Italia chieda più controlli ma sarà molto difficile che riesca ad ottenerli. Ad arrivare da noi attraverso la Libia non sono i libici ma i poveracci dell'Africa centrale. Come si fa a dire: chiudete la porta? Ma soprattutto, come si fa a dire: siccome non siamo capaci di fermarli noi, fermateli voi?».

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