L'Iran deve importare grano dall'America ma può fornire armi ad Hezbollah
Testata: Il Foglio Data: 30 agosto 2008 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «La giornata nel mondo - L’Iran a secco è costretto a comprare il grano dell’America»
L'economia iraniana è a pezzi, e Teheran deve importare grano dall'odiato nemico americano. Il regime non rinuncia però aspendere per la guerra a Israele, condotta tramite Hezbollah, che rifornisce di armi che possono colpire lo Stato ebraico. Dalla prima pagina del FOGLIO del 30 agosto 2008:
L’Iran ha fornito missili a Hezbollah in grado di colpire Israele. Lo scrive al Quds al Arabi, il quotidiano arabo pubblicato in Inghilterra, citando fonti d’intelligence. Secondo la Bbc, l’Iran ha concluso un accordo di cooperazione nucleare con la Nigeria.
Da pagina 3 del FOGLIO:
Washington. In Iran la siccità è più forte della politica: per la prima volta in 27 anni la Repubblica islamica si è rivolta direttamente agli Stati Uniti per comprare grano. La quantità è rilevante, 1,8 milioni di tonnellate di “hard wheat”, il grano usato solo per produrre alimenti (e non come mangime), oltre la metà della produzione annua italia. “E’ il raccolto fresco americano, già disponibile sul mercato, quello del Sud America arriverà solo nel tardo autunno”, spiega al Foglio Paolo Magaraggia, dell’ufficio di Bruxelles della Coldiretti. A Teheran faranno il pane con il grano del Grande Satana, con il quale non ci sono relazioni diplomatiche da quasi trent’anni e la guerra è sempre probabile (ma una legge del 2000 consente di vendere cibo anche ai paesi nemici sotto embargo). Una sconfitta per il sogno autarchico del presidente Mahmoud Ahmadinejad. I suoi piani per l’ammodernamento del settore agricolo faticano a decollare. Il governo ha previsto la creazione di 1113 cooperative agricole ma dal quotidiano Iranian daily si apprende che se ne sono viste solo 95. Il piano di sussidi da 600 miliardi di rial agli agricoltori per comprare trattori e aumentare la produttività dei contadini è troppo recente per aver prodotto effetti di rilievo. E la siccità degli ultimi mesi ha peggiorato la situazione. Il mercato internazionale era quindi l’unica soluzione. “Hanno fatto un buon acquisto, il dollaro è ancora debole e sulla Borsa di Chicago il prezzo del grano è più basso del 40 per cento rispetto all’inizio dell’anno”, commenta l’esperto di materie prime Maurizio Mazziero, direttore di clubcommodity.com. Le ragioni della politica sono passate in secondo piano anche perché l’Iran non poteva permettersi di attendere l’arrivo sul mercato internazionale del raccolto di paesi amici. Il cambio del rial con il dollaro sta precipitando da aprile per due ragioni: la valuta americana ha cominciato a riprendersi, insieme a tutta l’economia degli Stati Uniti, mentre quella iraniana sprofonda a causa di una politica monetaria espansiva e di un’inflazione ormai insostenibile. La crescita dei prezzi del petrolio ha regalato all’Iran, che ne produce 4,4 milioni di barili al giorno, una crescita annua del 6,6 per cento rendendo la sua economia “surriscaldata”, come la definisce un report di metà agosto del Fondo monetario internazionale. In tre anni l’inflazione è passata dal 10,4 al 26 per cento, entro la fine dell’anno potrebbe toccare il 30. In parte è colpa della “malattia olandese”, la maledizione delle materie prime che colpisce i paesi esportatori deprimendo il tasso di cambio e facendo salire i prezzi interni. Ma anche la gestione di Ahmadinejad ha contribuito. Nel periodo del boom petrolifero, è cresciuta la povertà assoluta, lo riconosce anche la Banca centrale dell’Iran, ma soprattutto la disuguaglianza, sostiene l’esperto di questioni iraniane Djavad Salehi-Isfahani, della Brookings Institution. Da quando Ahmadinejad è al potere è aumentata di oltre un punto percentuale (dal 32 al 33 per cento) la quota di iraniani con un reddito inferiore alla metà di quello medio, nonostante i salari di molte categorie a rischio povertà, come gli operai edili, vengano rivalutati per adeguarsi all’inflazione. Le sanzioni e la pressione politica hanno inoltre spinto grandi multinazionali come Total a lasciare il paese (la disoccupazione è al 10 per cento), lasciando però spazio alle piccole imprese europee che nei primi quattro mesi del 2008 hanno incrementato le esportazioni del 17,8 per cento. Ma non basta a dare speranza alla disastrata economia iraniana
Per inviare una e-mail alla redazione del Foglio cliccare sul link sottostante lettere@ilfoglio.it