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Libero Rassegna Stampa
27.08.2008 La scelta di Raniya: doveva essere una terrorista suicida, si è fermata
è accaduto in Iraq

Testata: Libero
Data: 27 agosto 2008
Pagina: 1
Autore: Renato Farina
Titolo: «la bimba kamikaze che non volle più sposare Al Qaeda»

Da LIBERO del 27 agosto 2008:

Il mattino presto, dopo la preghiera, la madre, addirittura la madre, ha legato addosso a Raniya (quindici anni, forse tredici) la bomba. «Va’, piccolina mia, ci rivedremo presto insieme accolte come martiri, dove scorre latte e miele, accanto al profeta Mohammed, che Dio lo benedica sempre». (...) (...) Si è incamminata. Lungo il percorso però si è tolta il velo. Poter far prendere un po’ di luce ai capelli biondi, per la prima volta da adulta, finalmente liberarsi da quella schiavitù, almeno un minuto prima di morire. Il sangue suo e degli infedeli almeno laverà quella piccola colpa, pensa. In quei passi, in quel guardare intorno la vita, che un attimo prima le pareva orribile, degna solo di uno squasso liberatorio, le è parsa fantastica. Piena di fatica, magari di dolore, ma così colorata. C’è qualche altra cosa che il Corano inculcatole dai fanatici non prevedeva: il desiderio di una ragazza di respirare, di voler bene in questa vita, invece che sfracellare se stessa e il prossimo per un futuro nell’aldilà. Come può esserci amore e pace di là, se di qua l’ultima parola è stata odio e ancora odio, odio e morte. No: amare, provare ad amare e provare a vivere. Ha scelto. Ci vuole più coraggio da quelle parti - le parti dove domina Al Qaeda - a vivere dicendo di no, che morire obbedendo e con la garanzia della memoria in terra e della felicità in cielo. Ci sono due immagini di Raniya diffuse in Occidente dalla città di Baquba, centocinquanta chilometri a Nord di Bagdad. Nella prima, la ragazza è tesa allo spasimo. Le sono vicini due militari con addosso giubbe antiproiettili, stanno trafficando con dei fili che le pendono. Lei ha addosso un abito arancione. La sua pancia è fasciata da una specie di cuscino bianco: è una cintura di dieci-quindici chilogrammi di esplosivo. Le braccia rosee sono spostate all’indietro, così il volto, la bocca è aperta per la paura o forse per il desiderio di vivere. Ha capelli biondi arricciati e sparsi sull’affannoso petto. Nell’altra immagine, Raniya è distesa, serena. Le hanno tolto la bomba. Ora è avvolta in un abito nero, quello che indossava sopra la sottoveste arancione e sopra la bomba che era lei stessa, una sola cosa con lei, una sola cosa con la morte. Ma ha i capelli sparsi, molto lucenti. Questa ragazza è un segno di speranza. La sua storia è ancora misteriosa. Chi l’abbia convinta al gesto assassino e suicida, quali promesse di paradiso le abbiano soffiato all’orecchio. Un fatto è certo: partita per uccidere e morire ha resistito. Ha detto di no. Alla maniera delle ragazze che sanno lanciare segnali. Ora spiegano che invece di avere il capo coperto, aveva i biondi capelli al vento, e un’aria spaventata di chi vuole essere fermata. Insomma si è buttata in braccio al nemico per essere salvata. Il padre di lei si era ucciso come kamikaze due anni prima, in consiglio comunale, trascinando otto persone nella morte. Indiscrezioni dicono che nella casa di Raniya, nel villaggio di Abu Karma, nei pressi di Baquba, capoluogo della più violenta provincia irachena, Diyala, abbiano trovato altre donne pronte a partire per la stessa avventura: la madre e le zie. Questa ragazza consegnandosi, agitando i capelli, desiderando vivere, ha detto il no più tremendo che ci sia alla mistica infame dei martiri con il sangue degli altri. E non è un caso che questo no arrivi da una giovane donna, già assegnata in moglie a qualcuno, come usa qui, ma decisa a non essere schiava dei burattinai di Al Qaeda. I soldati iracheni tendono a dire di averla scoperta e fermata loro: così acquisiscono più meriti. Ma gli americani confermano: ha voluto lei farsi rovistare e confessare la sua missione. Per spronare i maschi i capi di Al Qaeda, oggi perdenti in Iraq, si sono affidati al reclutamento femminile. Otto donne si sono fatte saltare per aria l’anno scorso nella regione di Diyala. Quest’anno sono già state trentacinque. Ma ecco è arrivata Raniya. È solo dalle donne che alla fine l’islam fondamentalista e terrorista potrà essere sbugiardato dinanzi ai popoli arabi per quello che è: una tortura, un attentato contro ciò che di umano abbiamo, perché gli uomini aspirano a vivere qui e ora, possibilmente felici, desiderando amare ed essere amati, magari non riuscendoci, ma provando. Intanto già centocinquanta donne in quella medesima zona si sono già arruolate nei “comitati del risveglio”. Risveglio dal torpore delle donne rese schiave, carne da macello per il comodo dei capi. Raniya, coi suoi capelli biondi, dice qualcosa di bello nel susseguirsi delle stragi. Nella Bibbia è una donna che schiaccia sotto il suo tallone il serpente. Qui siamo in un’altra parrocchia, ma quel calcagno femminile promette bene.

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