Liberare quei terroristi non servirà l'analisi di Michael Sfaradi
Testata: L'Opinione Data: 26 agosto 2008 Pagina: 0 Autore: Michael Sfaradi Titolo: «A che serve liberare terroristi?»
Da L'OPINIONE del 26 agosto 2008:
Come gesto di buona volontà per rinforzare la debole presidenza di Abu Mazen in attesa della visita del segretario di Stato americano Condoleezza Rice, Israele ha rilasciato 198 detenuti palestinesi fra i quali spicca il nome di Said Al-Atabeh che fu condannato all’ergastolo nel 1977 perché responsabile di un attentato terroristico che costò la vita ad una donna e il ferimento di decine di persone. All’arrivo dei detenuti a Ramallah è scattata una festa di vittoria simile a quella di Hezbollah a Beirut per la liberazione di Samir Kuntar. La liberazione di detenuti è sempre un gesto che va lodato, bisogna però prendere nota che gesti di questo tipo arrivano sempre e solamente da parte israeliana. Ogni volta che Israele vuole riavere un suo militare prigioniero in mani arabe deve sempre pagare cari riscatti, come ci insegna il caso di Goldwasser e Reghev, ultimo capitolo di una storia infinita. La moglie di Marwan Barghouti ha dichiarato che per lei la vera festa comincerà soltanto quando anche il marito, condannato a cinque ergastoli come mandante ed addestratore di terroristi suicidi, sarà liberato.
La signora Barghouti dimentica alcuni particolari che è il caso di sottolineare: Marwan Barghouti gode di tutte le garanzie che una democrazia come Israele offre ai suoi prigionieri, ha degli avvocati, pagati dallo Stato, che lo hanno difeso durante le varie fasi del processo, riceve le visite sia dei parenti, moglie compresa, sia dei rappresentanti della Croce Rossa Internazionale che verificano il suo stato di detenzione e le sue condizioni fisiche. Dorme in un letto, mangia in un piatto e rilascia interviste ai maggiori quotidiani israeliani e di tutto il mondo. Di Ghilad Shalit, da più di due anni in mano palestinese, invece non si ha più alcuna notizia. La Croce Rossa Internazionale non è mai riuscita a visitarlo, nessuno dei diritti come prigioniero di guerra, sanciti dalle Convenzioni di Ginevra, è rispettato dai suoi carcerieri e, secondo le poche voci che sono filtrate dalla striscia di Gaza, sembra che sia detenuto in un pozzo. Se ciò fosse vero sarebbe trattato, ormai da più di due anni, peggio di un animale.
Dopo questo rilascio in Israele c’è stata una levata di scudi da parte della gente comune che non riesce a capire il pressapochismo che si sta usando nei confronti di un nemico che non ha dimostrato mai la volontà di una pace vera e giusta. Perché non si deve cadere nell’errore di pensare che la Cisgiordania e Gaza non siano un unico soggetto politico, quindi un regalo fatto ad Abu Mazen è, alla fine dei conti, un regalo fatto anche ad Hamas, e allora perché non scambiare questi 198 terroristi per riavere indietro l’unico ostaggio in mani nemiche? Possiamo immaginare cosa passi per la testa dei genitori di Ghilad Shalit nel vedere le immagini festeggianti di prigionieri che il Governo di Israele rilascia senza chiedere alcuna contropartita mentre sul loro caro, solo pochi giorni fa, sono state fatte ulteriori minacce di morte.
Per inviare una e-mail alla redazione dell'Opinione cliccare sul link sottostante