Se nasce l'alleanza Mosca-Damasco-Teheran le ripercussioni della crisi caucasica in Medio Oriente
Testata:Corriere della Sera - Il Sole 24 Ore - Il Foglio Autore: Antonio Ferrari - Ugo Tramballi - la redazione Titolo: «Russia-Siria, l'antica passione - Mosca non vuole aprire un fronte in Medio Oriente - Perché soltanto Iran e Siria non temono la Russia da guerra»
Dal CORRIERE della SERA del 22 agosto 2008, un editoriale di Antonio Ferrari sulla visita in Russia del presidente siriano Bashar Assad:
C' è un profumo di antico e, insieme, si colgono avvisaglie di tempesta nella visita in Russia del presidente siriano Bashar el Assad. Antichi e inossidabili sono i legami di amicizia tra Mosca e la Siria, che in anni non lontani veniva considerata il temuto satellite sovietico nel Medio Oriente; e che oggi, a volte, dà l'impressione di non aver ancora digerito il crollo dell'impero comunista. A creare apprensione è invece la tempistica. Infatti, è nel momento più delicato dei rapporti tra il Cremlino e l'Occidente, dopo la quasi guerra con la Georgia, che Damasco compie il suo passo: formalmente, innervandolo nella solennità di una visita di stato, per ribadire sostegno e solidarietà all'alleato di sempre; sostanzialmente, per spingere la Russia a vendere alla Siria armamento sofisticato. «La cooperazione tecnica e militare è fondamentale », ha detto Assad prima di incontrare il presidente Dmitri Medvedev. Per poi aggiungere che «il ruolo di Israele e dei suoi consulenti militari nella crisi georgiana è noto a tutti». Dichiarazione neppur troppo sibillina, perché ciò che desidera Damasco non è certo un segreto: sta cercando di acquistare da Mosca il sistema di difesa antiaerea S-300, cioè la versione russa dei Patriot americani, e i missili balistici a corta gittata Iskander. La Russia ha sempre rifiutato, quantomeno ha preso tempo anche per le pressioni degli Usa e di Israele. Ma l'irritazione che ha provocato l'accordo tra Stati Uniti e Polonia per proteggere il Paese, che un tempo gravitava nell'orbita sovietica, con un sistema antimissilistico potrebbe — almeno così pensa Assad — convincere Medvedev e soprattutto il premier Putin a cambiare idea. Lo pensa a tal punto, il leader siriano, da spingerlo a dichiarare che «è possibile, nel contesto dell'aggravarsi delle tensioni tra la Russia e l'Occidente, che Mosca decida di vendere alla Siria ciò che chiede». Assad non ha mancato di manifestare amicizia e calorosa comprensione per il potente amico che «ha risposto alle provocazioni della Georgia», elogiandone poi il «coraggio» per la decisione di ritirare le sue truppe. È però certo che il presidente siriano non si illude di poter convincere, dall'oggi al domani, la Russia a vendergli i missili. Anche se può accentuarne il risentimento (nei confronti dell'Occidente) e stuzzicarne l'ambizione di poter tornare ad avere un ruolo importantissimo nel Medio Oriente, come ai tempi della guerra fredda. È chiaro che la partita, almeno per ora, è più psicologica che reale. Per fugare i sospetti e i timori che già si stavano diffondendo in Israele, il presidente Medvedev ha telefonato al premier israeliano Ehud Olmert. Un lungo e articolato scambio di idee sul Caucaso, sul processo di pace israeliano-palestinese, ma soprattutto sulla visita del leader di Damasco, sui colloqui indiretti che il regime di Assad ha avviato con lo stato ebraico grazie alla mediazione turca; e ovviamente sul crescente pericolo rappresentato da Teheran. È proprio l'alleanza tra Siria e Iran a rendere ancor più inquietante, per Israele e per molti altri Paesi, la possibilità che anche Damasco possa dotarsi di armi sofisticate. Per gli americani, il rischio di non poter più contare sulla collaborazione o quantomeno sul basso profilo della Russia nel Medio Oriente potrebbe trasformarsi in un nuovo incubo
Ugo Tramballi sul SOLE 24 ORE scrive che
La Siria avrà "solo" un nuovo sistema antimissilistico difensivo, il "Pantsyr-S1", dei "Buk-M1" terra-aria e qualche caccia russo.Niente che faccia trasalire gli esperti di armi e strategia. La Siria migliora solo la sua capacità difensiva, non diventa una nuova minaccia.
A quanto pare non verranno forniti, invece, i missili terra-terra "Iskandar" e "terra-aria" S-300"
Sono questi i pezzi pregiati dell'aresenale russo che non fanno dormire i vertici militari israeliani. Se riforniti di quei missili, i siriani possono cambiare un assetto strategico fondamentale della regione: la superiorità aerea dello Stato ebraico.
Ha avuto effetto, sostiene Tramballi, una telefonata di Olmert al premier russo Medvedev, del quale il giornalista sembra conoscere il contenuto (si vorrebbe sapere da quali fonti)
Fatte le scuse riguardo alla Georgia e promesso che gli unici israeliani a Tbilisi d'ora in poi sarebbero stati solo i turisti, il ragionamento del premier è stato in fondo semplice: non date ai siriani armi che noi saremmo costretti a distruggere, ha spiegato Olmert. Contribuite piuttosto al processo di pace. mosca in autunno dovrebbe ospitare una conferenza al riguardo, una coda promessa l'anno prossimo al summiti di Annapolis. A settembre Olmert andrà a Mosca anche per questo.
Tramballi è anche sicuro, non si capisce in base a quali considerazioni, che
In realtà neanche la Siria voleva armi così pericolose, né la Russia effettivamente offrirle.
Di seguito, l'analisi del FOGLIO:
Roma. L’agenzia di stampa siriana Suna ha smentito ieri che il presidente di Damasco, Beshar el Assad, abbia offerto all’omologo russo, Dmitri Medvedev, la disponibilità a ospitare una batteria di missili terra-terra del sistema Iskander per riequilibrare il sì della Polonia allo scudo spaziale americano. La smentita è poco influente sotto il profilo politico e militare. La seconda visita di Assad in Russia degli ultimi tre anni aveva lo scopo di ribadire la piena integrazione della Siria nell’area di influenza russa: l’obiettivo era siglare nuovi e fondamentali accordi militari dopo quelli del 2006 con l’acquisto di batterie di razzi anticarro (Kornet e Panzir C1), di aerei caccia Mig-29 e Mig-32, di sommergibili Amur 1650, di missili terra- aria di media gittata Buk-M1 e dei sistemi di difesa missilistica Pantsyr-S1. La visita del dittatore siriano, simbolicamente collocata a ridosso della fase acuta della crisi con la Georgia, ha illuminato a giorno l’aspetto aggressivo e irresponsabile della politica di potenza che il premier russo, Vladimir Putin, gioca da anni in medio oriente. A fronte di una Unione Europea – e di una sinistra mondiale – che ha sempre interpretato i rapporti fra Mosca, Teheran e Damasco sotto il profilo puramente commerciale, questa visita mette in luce la dissennata strategia di Putin, che fornisce impianti nucleari ai pasdaran iraniani e modernissimi sistemi armati ai siriani per ragioni ben più solide della bilancia dei pagamenti. In perfetta continuità con la politica sovietica – che, nel 1979, si vide letteralmente regalare la caduta dello scià e del suo fondamentale presidio militare americano in Iran a opera di Khomeini – Vladimir Putin ha enfatizzato al massimo le linee della politica filoiraniana dell’era brezneviana (anche a favore dell’Iran post khomeinista). Nulla di strano: è l’eterna riproposizione del Grande gioco che ha segnato tutto l’ottocento nel tentativo russo di aprire uno sbocco verso l’oceano Indiano, unico mare su cui non ha mai avuto porti. A quella logica risponde dunque l’accordo miliardario che la Siria e l’Iran hanno firmato il 20 luglio del 2007, in triangolazione con la Russia. Un “patto di cooperazione strategica, militare e di sicurezza” siglato a Damasco dal presidente di Teheran, Mahmoud Ahmadinejad, che secondo il quotidiano arabo Asharq al Awsat si basava sul finanziamento iraniano di massicci contratti militari fra Siria, Russia, Bielorussia, e Corea del Nord. Damasco acquista a Mosca con fondi iraniani quattrocento carrarmati T- 72, diciotto Mig, otto caccia Sukoi e molti elicotteri. Il patto prevede anche la costruzione di fabbriche siriane e iraniane per realizzare missili a medio raggio e lanciamissili multipli, nonché la fornitura di carri armati, di veicoli blindati, di missili C801 e C802, l’addestramento in Iran di ufficiali siriani della marina e dell’aeronautica e l’assistenza iraniana alla Siria nella ricerca nucleare e chimica. Sino all’otto agosto, giorno dell’invasione della Georgia, poteva sembrare che il patto rispondesse alla pura logica commerciale. L’argomento era oggetto unicamente di appassionati dibattiti fra esperti. Fra i democratici americani, in Germania e nella Francia neogollista, prevaleva l’opinione che l’ingresso della Russia nell’economia mondiale e i progressi della democrazia avessero ormai portato Putin nel salotto della “solidarietà occidentale”. La convinzione era fortissima soprattutto nell’ex presidente francese, Jacques Chirac, e nell’attuale capo dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy, gli eredi della strategia di Charles de Gaulle, che proprio sulla capacità di Parigi (e quindi dell’Europa, che dovrebbe subire la sua leadership) di giocare di sponda su Mosca, sognava di costruire un terzo polo europeo in grado di contribuire alla gestione del pianeta. Ma la feroce determinazione dimostrata da Putin e da Medvedev nello schiacciare la Georgia e l’uscita di Mosca dal patto militare con la Nato dimostrano che in realtà la Russia non punta affatto a essere un partner dell’America e dell’Europa: Mosca vuole tornare a essere una grande potenza perché sa di avere la forza economica per diventarlo, nonostante l’attuale gap militare con gli Stati Uniti. Una certezza ben fondata perché la schiacciante superiorità dell’esercito americano è dovuta essenzialmente ai missili intercontinentali, all’arsenale atomico, alle grandi flotte. Ma la Russia di Putin non ha intenzione di perseguire l’equilibrio in questa deterrenza nucleare planetaria (come fece l’Unione sovietica). Intende, invece, giocare la propria forza su tutti i terreni di crisi convenzionale del globo, a partire dai paesi confinanti. E l’Iran – spesso l’Europa se lo dimentica – è considerato da Mosca un paese “confinante” (anche se oggi la Repubblica islamica è separata da Azerbaigian, Armenia, Kazakistan e Turkmenistan, ex possedimenti sovietici). Ecco allora che la fornitura di centrali nucleari all’Iran, il gioco moscovita di interdizione a favore di Teheran alle Nazioni Unite e le grandi forniture militari alla Siria acquistano un altro contorno se sono illuminati dalla luce torva che proviene dalla Georgia. Il migliore alleato dei pasdaran Se si guarda agli ultimi anni di minacce iraniane, se si leggono le frasi del presidente, Mahmoud Ahmadinejad, sulla distruzione di Israele, ci si accorge che i peggiori oltranzisti iraniani hanno la convinzione di avere in Putin un alleato. Convinzione fondata che ha molti precedenti. “Abbiamo stretto con l’Unione sovietica un’alleanza strategica”, proclamò nel dicembre del 1979 Sayyd Khomeini, figlio dell’ayatollah. Breznev, per ringraziare l’ayatollah di aver demolito la più importante piattaforma strategica americana alle porte dell’Unione sovietica, si schierò al fianco dell’Iran nell’occupazione dell’ambasciata americana di Teheran. Di lì a poche settimane Breznev completò la manovra invadendo l’Afghanistan. Oggi Putin porta a profitto l’investimento di fiducia che ha cominciato cedendo tecnologia nucleare a Teheran e armi a Damasco. Georgia, Cecenia, Abkhazia e Ossezia sono nella zona d’influenza regionale dell’Iran e della Siria. Non si tratta soltanto del patto Mosca-Teheran-Damasco in funzione della crisi mediorientale, ma anche degli equilibri regionali del Caucaso, con la fondamentale presenza, peraltro, di una agguerrita flotta iraniana controllata dai Pasdaran nel mar Caspio. Il quadro rende tragicamente ridicole le aperture di credito alla Siria da parte dei democratici americani, della Commissione Baker, della sinistra europea e, purtroppo, anche di un Sarkozy che probabilmente oggi si pente di avere accolto Beshar el Assad a Parigi il 14 luglio.