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Il Giornale Rassegna Stampa
18.08.2008 Ambigue dietrologie sul "lodo Moro"
in un articolo di Geronimo

Testata: Il Giornale
Data: 18 agosto 2008
Pagina: 0
Autore: Geronimo
Titolo: «Cossiga, l’Olp e altri misteri»
Geronimo  (pseudonimo di Carlo Cirino Pomicino) pubblica sul GIORNALE del 18 agosto 2008 un editoriale sulle dichiarazioni di Francesco Cossiga sulla strage di Bologna e sull'accordo tra servizi segreti italiani e terrorismo palestinese.
Lungi dal porsi problemi morali sulla trasformazione del nostro paese in una base logistica per efferate stragi di civili, cittadini di paesi alleati e amici (per lui, del resto, il terrorismo palestinese è la "resistenza" palestinese), Geronimo sceglie la via delle speculazioni dietrologiche, formulate in modo vago, obliquo e oscuro.
Incomincia con lo stupirsi per la "rivelazione" di un accordo del quale in Italia in realtà si scrive e si parla da anni, nei giornali e nelle indagini dei magistrati impegnati sul fronte del terrorismo internazionale.
Essendo una rivelazione così clamorosa, ed essendo improbabile che Cossiga non ne fosse a conoscenza da tempo in virtù dei ruoli istituzionali che ha ricoperto, lo svelamento del "lodo Moro" deve secondo Geronimo alludere a qualche verità ulteriore
Cossiga 
"getta una luce diversa sull’uccisione di Aldo Moro" e  dà conferma "dell’esistenza di una radice estera di tutta la vicenda di Tangentopoli", vuole forse  "avvertire il Paese della condizione in cui si trova": di sovranità limitata, di soggezione a poteri stranieri, dopo un "golpe" rimasto occulto.
E' evidente che tra le verità sul lodo Moro e queste esorbitanti conclusioni c'è un salto, logico e fattuale, immenso. Un salto colmato da considerazioni di altra natura: è così comodo individuare un colpevole straniero per le lacerazioni della propria storia nazionale. E se l'identificazione di questo colpevole può solleticare potenti pregiudizi come quello antiamericano, meglio ancora !

Ecco il testo:


Siamo rimasti a dir poco sorpresi dalla lettera che Francesco Cossiga ha inviato al Corriere della Sera in risposta a una intervista di Bassam Abu Sharif, ex ministro del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. L’ex presidente della Repubblica conferma, infatti, la possibilità che la strage di Bologna del 1980 sia stata causata dallo scoppio involontario di una o due valige di esplosivo trasportate da esponenti palestinesi per obiettivi esteri. Di tale trasporto sarebbero stati avvertiti i servizi segreti italiani che sarebbero stati parte integrante di un accordo di più ampio respiro tra lo Stato italiano e le organizzazioni della resistenza palestinese, comprese quelle terroristiche. Tale accordo sarebbe stato pensato e concluso da Aldo Moro e avrebbe previsto libertà di movimento degli esponenti palestinesi che potevano avere nel nostro Paese basi logistiche e di armamento in cambio di una tutela del nostro territorio.
Che la politica italiana, da Moro a Fanfani, da Andreotti a Craxi avesse avuto una linea di apertura verso i palestinesi nel tentativo di raggiungere un accordo tra Israele e l’Olp come condizione per un processo di pace, è fuor di dubbio. Così come è fuor di dubbio una certa diffidenza verso il nostro Paese di alcuni ambienti dell’intelligence americana. Ma questa è cosa diversa dagli accordi segreti descritti da Cossiga. Ciò che ci sconcerta è che di questo presunto accordo così dettagliato e preciso che ci poneva ai limiti, se non addirittura fuori, dagli impegni atlantici, Francesco Cossiga non ne sapesse nulla.
Cossiga è sempre stato uomo delle istituzioni e molto meno uomo di partito nella storia della Dc e del Paese. È stato uomo ampiamente apprezzato da Moro, Fanfani, Andreotti e Craxi e fu l’unico esempio di presidente della Repubblica eletto al primo scrutinio a testimonianza di una fiducia pressoché generale. Che un uomo di questa statura scopra solo adesso accordi antichi fuori dai patti internazionali liberamente sottoscritti dall’Italia, ci lascia sconcertati, anche perché getta una luce diversa sull’uccisione di Aldo Moro e conferma purtroppo ciò che da tempo diciamo, e cioè dell’esistenza di una radice estera di tutta la vicenda di Tangentopoli.
Riemergono così mille domande. Perché Cossiga, descrivendo accordi tra il Sismi e la resistenza palestinese nascosti all’autorità politica corre il rischio di farsi ritenere, insieme a tanti altri, un politico inutile? La risposta può essere inquietante. Cossiga non ha mai spiegato il perché di quelle sue precipitose dimissioni da presidente della Repubblica nell’aprile del ’92, che invertirono l’ordine del giorno del nuovo Parlamento, facendo precedere l’elezione del nuovo presidente della Repubblica a quelle del presidente del Consiglio. Se non si fosse dimesso avrebbe lui dato, secondo le intese politiche note, l’incarico a Bettino Craxi e la storia di quel periodo sarebbe stata tutta diversa. E il suo ultimo biennio da «picconatore» era forse il tentativo di avvertire i responsabili politici che nubi golpiste si addensavano sul nostro Paese, o fu solo una banale coincidenza? E perché Cossiga bacchetta da sempre Gianni De Gennaro, uomo che da quasi 20 anni, sotto tutti i governi della Seconda Repubblica, è il terminale vero delle forze dell’ordine e degli stessi servizi segreti e ha forti legami con alcuni ambienti dell’intelligence americana? Anche questa è un’altra coincidenza? E perché molti documenti della commissione Stragi, dalla testimonianza di Vincenzo Parisi, l’ex capo della Polizia che denunciò il tentativo di alcuni ambienti internazionali di volere un’Italietta di pupazzi da manovrare, al ruolo giocato da alcuni circoli culturali e giornalistici sono stranamente ancora secretati negli archivi del Senato? Un segreto che abbiamo personalmente tentato di rimuovere nella totale indifferenza dei grandi quotidiani di informazione.
Potremmo continuare, ma cresce sempre di più la nostra convinzione che l’Italia sia diventata in questi ultimi 15 anni davvero un Paese a sovranità molto limitata, in cui agiscono filiere di potere illegittime e illegali capaci anche di eliminare personaggi come Lorenzo Necci nel momento in cui era venuto in possesso di alcuni dossier, come abbiamo descritto nel nostro ultimo libro. Può darsi, forse, che ancora una volta Francesco Cossiga, con un linguaggio necessariamente obliquo, voglia avvertire il Paese della condizione in cui si trova. Illuminante è, infatti, la conclusione della sua lettera in cui spiega la subalternità della politica ai servizi segreti militari italiani e stranieri. Come si vede, domande inquietanti che cadono, purtroppo, in un silenzio assordante.

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