I luoghi capitali dell'ebraismo ne traccia la mappa la storica Anna Foa
Testata: Avvenire Data: 17 agosto 2008 Pagina: 4 Autore: Anna Foa Titolo: «Mappa dei luoghi capitali dell'ebraismo»
Da AVVENIRE (pagina 4 del supplemento Agorà) del 17 agosto 2008:
Fare una mappa dei luoghi dell’ebraismo è difficile, perché il luogo ha, nell’ebraismo, una dimensione assai diversa che nel cristianesimo. Esso, innanzitutto, non è un luogo sacro. È questa difficoltà nell’approccio al luogo, in favore di un approccio privilegiato alla dimensione temporale, che ha portato un grande studioso del Novecento, Abraham Joshua Heschel, a formulare la teoria che quella ebraica sia essenzialmente una religione volta a sacralizzare il tempo invece dello spazio. Una formulazione che, pur estremizzandone la portata, trae origine da molti elementi significativi: innanzitutto linguistici, per cui il termine «spazio» non esiste nell’ebraico antico, mentre il termine che designa il mondo,’ olam, significa tanto l’eternità spaziale che quella temporale. Emaqom, il termine che designa il luogo, designa anche Dio come luogo del mondo. L’ambivalenza, come ci ha spiegato in un suo saggio illuminante Riccardo Di Segni (inLuoghi sacri e spazi della santità, Rosenberg e Sellier, 1990), è intrinseca ai fondamenti stessi dell’ebraismo, che sacralizza sì lo spazio nel Santuario, ma anche lo relativizza rapportandolo a Dio, il luogo per eccellenza, che è infinito. Tanto che i kabbalisti per spiegare il mondo dovranno ricorrere all’idea di una contrazione di Dio. E poi, oltre a quelle linguistiche, altre strutture di base del pensiero religioso, come l’aniconicità, il «Tu non ti farai alcuna immagine» che presuppone e comporta un allontanamento dallo spazio, in favore della parola, legata di per sé alla dimensione temporale. La questione dello spazio si è ulteriormente complicata con la fine del regno di Giuda e la distruzione del Tempio di Gerusalemme, nel 70 d.C. Nell’esilio diasporico, gli obblighi religiosi stessi si separano dalla terra, dallo spazio, sono diversi da quelli che segneranno la compiutezza dell’era messianica, legata alla pienezza della Terra d’Israele. Prima dell’esilio, il Tempio rappresentava il luogo stesso della santità, concentrata al suo cuore nel Santo dei Santi, dove solo il gran sacerdote aveva il diritto di accedere una volta l’anno, nel giorno dello Yom Kippur. Gerusalemme era anche il luogo del pellegrinaggio: «Tre volte all’anno dai confini della terra si raduneranno nella città nella quale hanno eretto il Tempio», scriveva Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche, descrivendo il pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme.Nella diaspora e nel disseminarsi delle comunità, non si assiste però ad una disseminazione della santità, ma al suo annullamento. Con la scomparsa del Tempio, l’unico luogo sacro, non esistono più luoghi sacri di per sé, la sacralità non è più legata allo spazio, a quello spazio, ma alla Parola di Dio. Il Libro, cioè i rotoli della Torah, riposti nell’Aron, il sacro Armadio della Sinagoga, determinano la sua santità, non il luogo della Sinagoga, il suo spazio materiale. I Libri, ed anche la memoria, cioè il tempo, e la parola. Senza santuari, senza pellegrinaggio, senza spazi sacri, quali sono allora i luoghi dell’ebraismo? E, soprattutto, qual è la valenza che una sacralità separata dallo spazio assume? Perché, nell’ebraismo, nonostante l’esilio, i luoghi esistono, hanno una loro importanza e se pur non sacri, hanno talvolta un’intensa aspirazione al sacro. Una tensione che però non si sostanzia, come nel cristianesimo, nello spazio, ma passa attraverso altri strumenti: la memoria, l’attesa, il sapere, il martirio. Tutte categorie complesse, che consentono di non aderire semplicemente al luogo, ma di farne una sorta di trasposizione che elimina ogni pretesa di santità innata, per rendere il luogo stesso sacro attraverso l’uomo e la storia. O anche attraverso la profezia, come nella leggenda talmudica del Messia che siede alle porte di Roma a curare i malati e i mendicanti, in attesa che arrivi il suo momento. Dove l’accento è più sull’attesa che su sul luogo dove il Messia siede mentre attende. Gerusalemme, anche priva del Tempio, è naturalmente il luogo più sacro, sia nella memoria, il luogo del ritorno a Sion dall’esilio, espresso annualmente nella formula della cena pasquale, 'L’anno prossimo a Gerusalemme', sia perché fornito di quel residuo di santità che è il Muro Occidentale, l’unico luogo dove la santità mantiene un carattere di materialità, di fisicità, dove il luogo santo può toccarsi con mano. In tutto il resto del mondo, la santità è legata al significato, alla storia, ed ha sempre un valore simbolico, è metafora non oggetto. Un altro luogo particolare èRoma, caratterizzata da una forte sacralità negativa: Edom, la città dei Romani. La città dell’Arco di Tito, sotto cui sfilarono gli ebrei prigionieri dei romani, in catene, uno dei luoghi rimasti maledetti agli ebrei. Solo nel 1948, dopo la fondazione dello Stato di Israele, un corteo guidato dal rabbino capo passò sotto l’arco in direzione contraria, annullando questa sorta di scomunica. Ma Roma ha anche una pretesa di sacralità positiva, che si esprime nell’orientamento anomalo della Sinagoga di Ostia Antica, che non è volta verso Gerusalemme, e da altre usanze specificamente romane, come quella di mangiare il capretto durante la Pasqua, proibito in tutti gli altri luoghi della diaspora proprio perché legato al sacrificio pasquale nel Tempio. Pretese, queste, che hanno origine all’esterno, forse nella potenza dell’Impero romano, o in quella della Chiesa, che di riflesso illuminavano del loro primato anche gli ebrei di Roma. Gerusalemme è, sempre e ancora, la metafora di qualunque richiamo ad una particolare valenza del luogo. Così, Amsterdam fu chiamata la nuova Gerusalemme, Pitigliano la piccola Gerusalemme, Vilna la Gerusalemme del Nord. Luoghi resi celebri dal sapere, dalla presenza di importanti centri di cultura, comeVilna, centro degli studi rabbinici nel Sei-Settecento, dalla presenza di comunità importanti come quella portoghese di Amsterdam. Dalla storia, insomma, non dallo spazio. Un altro luogo carico di senso èPraga, con le sue vecchie sinagoghe e il cimitero fitto fitto di lapidi che si sovrappongono e sbocciano dal suolo, come petali d’un fiore. Luogo misterioso, che impone silenzio anche alle frotte di turisti che lo visitano. Non è l’unico cimitero di tal fatta, che tanti altri ce ne sono, da quello antico di Venezia, a quello di Worms, misteriosamente risparmiato dai nazisti che ne bruciarono la sinagoga: luoghi rimasti misteriosi, colmi di una bellezza data dallo spessore del passato e dalla sua inviolabilità. Anche questa una forma molto forte di sacralità, legata però all’ineffabilità della memoria. In ebraico,Bet ha- haiym, cimitero, vuole anche dire «casa dei vivi». E le sinagoghe? Nessuna sacralità nelle sinagoghe, se non quella che deriva loro dalla presenza dei rotoli della Torah. Che renderebbero sacro qualunque altro spazio, sia pur modesto, per il tempo limitato che vi restassero. La sacralità resta legata alla parola, alla parola scritta della Torah. Non fatevi ingannare dal fatto di non potervi entrare senza indossare, se uomini, la chippà rituale. Il capo deve essere tenuto coperto anche durante lo studio, anche durante i pasti, non è legato allo spazio della Sinagoga, che è casa di studio, di preghiera collettiva, di riunione. O luogo pregnante per la sua storia, come la sinagoga di Toledo, ora museo, in cui san Vicente Ferrer fece irruzione nel 1411 trasformandola nella chiesa di Santa Maria La Blanca. Ma ci sono luoghi di altra natura, cari all’ebraismo e agli ebrei, e legati non alla tradizione religiosa, ma alla storia recente: quelli che conservano i resti dei campi della morte,Auschwitz in primo luogo, dove oltre un milione di ebrei sono finiti in cenere. Ad Auschwitz, si va davvero in pellegrinaggio. Ed è anche il luogo a cui si addice il silenzio, un silenzio che nessuno, di nessuna religione o parte, può appropriarsi. Il luogo in cui non deve esservi chiesa o sinagoga o altro simbolo religioso. Di simboli invece sono fitti i memoriali dedicati alla Shoah, e il più noto, il più visitato, quello che rappresenta il luogo dove si accolgono tutti gli ospiti in visita allo Stato, èYad Vashem, che sorge sulla collina di Gerusalemme, in mezzo al verde. La religione della Shoah, i suoi luoghi, si sono così appropriati, in una religione senza spazi sacri, della tensione verso la sacralità. Ma sempre rispettando le categorie tradizionali. Niente santuari, niente luoghi vissuti come naturalmente sacri, in grado di rendere chi li accosta partecipi della loro sacralità. Ma luoghi legati alla memoria, alla storia, alle parole, agli uomini, ai loro eroismi e ai loro misfatti.
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