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La Stampa Rassegna Stampa
13.08.2008 In Medio Oriente l'America resta insostituibile come mediatore di pace
un'analisi di Aldo Rizzo, reticente di fronte alle domande scomode

Testata: La Stampa
Data: 13 agosto 2008
Pagina: 32
Autore: Aldo Rizzo
Titolo: «Medio Oriente, l'arbitro resta l'America»
La STAMPA del 13 agosto 2008 pubblica un editoriale di Aldo Rizzo, che sottolinea la perdurante centralità dell'iniziativa politica statunitense in Medio Oriente.
Peccato Rizzo non sappia o non voglia decidersi a indicare i motivi per i quali Washington non è mai riuuscita ad imporre la pace: "Troppa benevolenza verso Israele? Troppa intransigenza «identitaria» dalla parte araba e islamica? Un «mix» delle due cose?", si limita  a chiedersi.
Basterebbe ricordare che l'"intransigenza" di Israele è solo la determinazione a non lasciarsi cancellare dalla carta geografica per trovare una risposta.

Ecco l'articolo:

E’ passato circa un mese da quando, a Parigi, il primo ministro israeliano Olmert e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen affermarono che «la pace non è mai stata così vicina». Esultanza di Sarkozy, che vedeva i primi frutti della sua «Unione per il Mediterraneo», ma soddisfazione, o almeno un senso di rinvigorita speranza, in tutto l’Occidente. Certo, i precedenti invitavano alla prudenza, la pace era sembrata molto vicina già nel 1993, con la stretta di mano tra Rabin e Arafat sul prato della Casa Bianca, e ancor più sette anni dopo, nello stesso luogo, nell’incontro tra Barak, nuovo premier israeliano, e ancora Arafat, senza che vi fossero conseguenze apprezzabili. E tuttavia si poteva pensare che questa volta qualcosa si stesse davvero muovendo, anche per la decisione della Siria di stabilire per la prima volta relazioni diplomatiche col Libano, evidentemente non più considerato un protettorato di Damasco. E in quel momento persino l’Iran sembrò offrire una qualche apertura nel cruciale negoziato sul suo programma nucleare. Dopotutto, si pensò, anche le crisi più dure e intrattabili, a un certo punto, cominciano a finire.
Un mese dopo, siamo rientrati nella disperante «routine» di sempre. Il nodo di Hamas, che controlla Gaza, e senza il cui apporto non può esserci alcuna pace in Palestina, si fa sempre più drammatico, anche per l’insorgere di aspri contrasti al suo interno, ma non sono migliorati neppure i rapporti tra Israele e i moderati dell’Anp, se Olmert ha dichiarato che nessun accordo è prevedibile entro il 2008, come sperava Bush. Lo stesso Olmert sta per lasciare il governo, travolto da accuse giudiziarie, e se il suo successore dovesse essere il falco Netanyahu, o anche l’attuale viceministro della Difesa, Mofaz, l’unica cosa da attendersi è un irrigidimento di Israele, non solo verso i palestinesi, ma anche verso la Siria e l’Iran. Mofaz, ma anche il suo capo, Barak, altro possibile successore di Olmert. Sono sempre più frequenti le «fughe di notizie» su piani di attacco israeliano ai siti nucleari iraniani, anche se si spera che sia solo uno strumento di pressione, mentre non si è certo alleggerita la situazione libanese, nonostante il «riconoscimento» siriano.
Detto tutto questo, e sempre che la situazione non precipiti da qui alla fine dell’anno, bisogna concludere che la «patata bollente» della crisi mediorientale, nei suoi vari aspetti, tornerà per l’ennesima volta nelle mani di un Presidente degli Stati Uniti, il prossimo. L’ennesima volta vuol dire la dodicesima, perché il successore di George W. Bush sarà il dodicesimo capo della Casa Bianca, da quando l’Onu decise la spartizione della Palestina, subito rifiutata dagli arabi, col seguito di guerre a ripetizione col neonato Stato d’Israele. E sempre, quale più e quale meno, i Presidenti degli Usa hanno avuto, tra le priorità strategiche, il tormentoso caso del Medio Oriente, diventato un po’ il simbolo, un po’ la radice vera, delle turbolenze planetarie, terrorismo compreso. Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan, Bush padre, Clinton, Bush figlio, una storia il cui succo è che la superpotenza occidentale, poi diventata l’unica vera superpotenza, paragonata ai grandi imperi del passato, non è mai riuscita a imporre una «pax americana», tuttavia rispettosa, per essere efficace, dei fondamentali diritti delle parti in causa. Troppa benevolenza verso Israele? Troppa intransigenza «identitaria» dalla parte araba e islamica? Un «mix» delle due cose? Benché i rapporti di forza nel mondo stiano cambiando, nessuno come il futuro capo della Casa Bianca (anche per la sempre labile presenza europea) ha il potere di dire e fare, finalmente, qualcosa di nuovo.

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