La vita è piena di segnali che noi non vogliamo vedere. Vale per le persone come per le civiltà. Ieri sarebbe dovuto arrivare nelle librerie degli Stati Uniti un romanzo di Sherry Jones, The Jewel of Medina, ma l’editore Random House, uno dei più grandi del mondo, ne ha bloccato l’uscita, nonostante fosse già organizzata una tournée promozionale.
Motivo del gesto (al netto dell’ipotesi che l’editore abbia scelleratamente tentato di procurarsi una campagna marketing gratis lanciando all’Islam messaggi irresponsabili): scongiurare eventuali ritorsioni terroristiche islamiche contro Sherry Jones, i redattori della casa editrice, i librai. Il romanzo, infatti, è imperniato sulla vita di Aisha, terza moglie di Maometto e «prediletta» del suo harem. Primo particolare: quando i due si sposarono, lui aveva 50 anni, lei 9. Secondo particolare: stando all’autrice, il profeta morì in una situazione piuttosto scabrosa, cioè «col capo appoggiato sopra il seno di Aisha». Ce n’è quanto basta. Il vicedirettore editoriale Thomas Perry decide di dare in lettura il manoscritto a un team di studiosi, tra cui Denise Spellberg, che insegna civiltà mediorientale all’università del Texas e che riassume The Jewel of Medina così: «Un romanzo porno soft. Una favola inventata, infarcita senza ritegno di sesso, intrighi, lussuria».
A questo punto Thomas Perry comincia a guardare il libro con gli occhi di un musulmano osservante e magari, perché no, anche con quelli di un musulmano estremista, e a muoversi nervosamente sulla sua poltrona di pelle nel quartier generale della Random House, ventesimo piano vista Broadway. Giorno dopo giorno, lunghe discussioni s’intersecano fino a notte fonda: vengono alla luce scrupoli, cautele, dubbi, e il ricordo di quei Versetti satanici che procurarono la fatwa a Salman Rushdie (che dal 1988 vive sotto scorta), qualche punto di sutura al suo traduttore italiano Ettore Capriolo (che fu pugnalato nella sua abitazione milanese) e la morte, tout court, al suo traduttore giapponese, assassinato da emissari del regime di Khomeini.
Decisione finale: il romanzo di Sherry Jones per adesso non uscirà, e l’autrice è libera, se vuole, di cercarsi un altro editore e probabilmente di tenersi l’anticipo di 100mila dollari già versato per il libro e un suo sequel. «Così si crea un precedente pericolosissimo» commenta la stampa americana: è il suicidio del primo emendamento della Costituzione, quello sulla libertà di parola. Almeno la professoressa libertaria di Leggere Lolita a Teheran poteva sfidare i suoi studenti integralisti a «mettere sotto processo» Il grande Gatsby, libro comunque pubblicato e acquistabile; nel caso della Jones, invece, non si può nemmeno tentare un dialogo su qualcosa che si è letto in comune. Senz’altro, dopo questa vampata mediatica, l’Occidente farà di nuovo come se niente fosse, ma questa autocensura preventiva non è forse un segnale a dir poco allarmante? Appunto di quelli che - massimo con settembre e con altro da mettere in prima pagina - rientreranno nella categoria dei segnali dimenticati nonché invisibili. Almeno fino al prossimo attentato. Nel frattempo, abbiamo intervistato l’autrice.
Lei ha detto di essere stata attenta a non offendere l’Islam. Cosa non ha funzionato?
«La paura è un’emozione potente, e la Random House ne deve aver provata parecchia, certo più di quanta ne provi io ora. Mi aspettavo una polemica, poiché non è possibile scrivere sull’Islam o sul Cristianesimo senza offendere qualcuno, ma non avrei mai pensato si sarebbe arrivati a questo. Io ho solo dato voce alle donne della vita di Maometto, dipingendo quest’ultimo come un leader saggio e forte che rispettava le donne dando loro diritti, per esempio all’eredità, che mai avevano avuto prima. Ho descritto l’amore delle sue mogli per lui in quella che io considero una luce sensibile, compresi gli aspetti sessuali. Qualcuno dei “lettori preventivi” mi ha addirittura definito “compiacente” nei confronti dell’Islam, il che da un lato mi diverte».
Il suo primo pensiero, dopo l’autocensura della Random House?
«Questa brutta esperienza la dice lunga sulla situazione americana. Abbiamo tutti paura di parlare o scrivere, se questo può “offendere i musulmani”, come se fossero poi un gruppo omogeneo con un unico modo di pensare. La sorte dell’edizione italiana del mio libro, prevista per il 2009, non la conosco, mi dispiace».
Ma lei ha alterato la Storia islamica?
«Solo in alcuni aspetti importanti per la trama, ma non certo i temi generali: il rafforzamento del potere femminile sotto l’Islam e l’Islam stesso in quanto religione egualitaria. Il seguito del mio libro, sempre che esca, racconta il ruolo politico di Aisha, dopo la morte di Maometto, nella prima guerra civile islamica contro Ali. Aisha mette in discussione la vendetta come giustificazione per la guerra, e prende posizione, pensi un po’, in favore della pace».
Let’s talk about freedom. Quanto ci si può spingere in là - e consapevolmente - nel trattare a modo proprio ciò che altri considerano sacro?
«Mettere in discussione le cose è essenziale per qualsiasi forma di religione. Ho letto che, a un certo momento, l’Islam incoraggiava il dibattito e la discussione, chiamandoli itjihad. Il sacro è in grado di resistere alla prova dell’approfondimento e persino dell’alterazione, se necessario, e di uscirne indenne».
In definitiva si può dire tutto su tutto?
«A che cosa serve la fede cieca? Se la fede di una persona è sottoposta a prove, non ne esce più forte? Invece alcuni musulmani mi ritengono irrispettosa per aver scritto questo libro su come secondo me sono andate le cose nella Medina del VII secolo. Ma è la mia espressione artistica, ritengo che abbia dei meriti e spero che sia l’inizio di un dialogo».
Quanto di porno soft c’è nel suo libro?
«Non c’è una sola scena di sesso! Non descrivo neppure un amplesso di Aisha, ma solo le sue sensazioni successive, reazioni da innamorata. Può anche non crederci, ma sono stata ripresa per questo! Un commentatore mi ha accusato, sul mio blog, di essere “indulgente con l’Islam”. “Mi disgusti” ha scritto. Sono attaccata sia dai musulmani, sia da chi li odia».
Un libro pudico, dunque.
«Alcuni apologhi sacri e detti di Maometto contengono materiale sessuale più esplicito di qualsiasi cosa contenuta nel mio libro. Mi sono dibattuta su quanta sessualità inserire nella trama e ho quasi sempre adottato l’approccio conservatore».
Siamo sicuri?
«Senta, consideriamo i fatti: Maometto è stato dapprima sposato a una donna più vecchia di lui di 15 anni e ha mantenuto una relazione monogama con lei per 25 anni, fino alla sua morte. Delle dodici donne che costituivano il suo harem, una sola era bambina quando si è sposata, Aisha. La sposò per motivi politici, ma lei lo amava ed era gelosa delle sue attenzioni, il che mi fa pensare che non fosse stata violentata. Ho deciso di adottare l’approccio conservatore del matrimonio a 9 anni e dell’amplesso a 14, non per evitare di offendere qualcuno, ma perché avevo deciso di credere a questa versione! E per scrivere la storia dovevo crederci io per prima».
Ma è tutto un po’ scabroso, o sacrilego, dipende dai punti di vista, o no?
«La sfido a trovare lo “scabroso” nel mio libro! Se fosse un film, negli Stati Uniti avrebbe la classificazione PG (gialla in Italia, ndr), cioè solo un gradino sopra i cartoni animati della Disney per quanto riguarda il contenuto sessuale».
Rushdie le è venuto in mente in questi giorni?
«Non riesco a vedere alcuna analogia tra il mio libro e Versetti satanici, che è una cagnara intellettuale, satirica, piena di realismo magico, da non prendere in senso letterale. Il mio libro è un’interpretazione piuttosto diretta della Storia. Rushdie mi sembra, finora, abbia scritto per motivi ben diversi».
Qualche islamico si è fatto vivo?
«Alcuni mi hanno invitato a una discussione. So che le domande saranno difficili e che verrò sfidata, ma sono impaziente di farlo. Penso che questo tipo di dialogo avrebbe dovuto nascere già da molto tempo».
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