In mostra a Nizza la pittura di Marc Chagall figura esemplare della cultura ebraico-centroeuropea
Testata: Avvenire Data: 10 agosto 2008 Pagina: 15 Autore: Marco Bussagli - Giorgio Pressburger Titolo: «Chagall La pitura si mette alla finestra - PORTÒ IL COLORE NELLA CREATIVITÀ DI UN POPOLO»
Da AVVENIRE del 10 agosto 2008, un articolo su una mostra dedicata a Marc Chagall
Sono passati più di vent’anni dalla scomparsa di Marc Chagall, eppure la sua arte è sempre attuale, come il suo modo di dipingere, immagine utopica di un mondo che non c’è e forse non ci sarà mai, dove il sogno e la realtà si mescolano in un flusso continuo, non più separato dalla «iconostasi» dell’immagine che custodisce il mistero, come avrebbe detto Pavel Florenskij. Non per nulla, ebreo russo, Chagall assorbì molto della cultura religiosa e figurativa dell’ortodossia cristiana, con particolare riguardo al linguaggio dell’icona, una tavoletta che, come sanno bene gli specialisti (o i fedeli) non è mera immagine del Santo o del Cristo, ma vero e proprio strumento di meditazione attraverso il quale, dalla figura rappresenta si può risalire al prototipo per lasciarselo visualizzare nell’anima. L’icona è una finestra, una finestra sul mistero dell’uomo e del mondo, una scala per la preghiera, un bastone per il cammino di fede. La pittura di Chagall, d’altra parte, sia pure in sedicesimi, segue lo stesso percorso, nel senso che vuole testimoniare come dietro l’apparenza delle cose ci sia molto di più, ovvero la magia del mistero che filtra nella materia degli oggetti, delle persone e degli animali che l’artista rappresenta. Anche la tela dipinta da Chagall, allora, è una finestra, una finestra spalancata sull’immaginario, sul paesaggio interiore di tutti gli uomini nel quale non stupisce vedere una mucca volare o un omino librarsi nel cielo, dove compaiono angeli come nuvole e il sole trasuda gocciole d’oro. Non è un caso, allora, che il Museo Nazionale di Nizza abbia aperto da poco una mostra (26 giugno - 13 ottobre) dedicata a Chagall come «un peintre à la fenêtre», secondo quanto recita l’azzeccatissimo titolo. Naturalmente, la finestra non tarda a divenire la metafora di tutta la pittura, almeno dal rinascimento in poi, quando gli uomini hanno preso a traguardare il mondo e ad utilizzare la pittura come vero e proprio strumento di conoscenza, prima prospettica e poi visiva. Naturalmente Chagall sa fare anche questo e allora diviene soggetto privilegiato, tale da occupare tutta la tela, come accade inVue de la fenetre a Zaolchie del 1915, che è anche la copertina del catalogo. Qui, Chagall e Bella, sua moglie, sul lato destro e una natura morta in basso fanno da cornice a una gigantesca finestra che illustra il bosco. Di loro si vedono soltanto le teste, quasi a non voler disturbare la quiete e la bellezza della natura che sono i veri protagonisti del quadro, insieme alla finestra, naturalmente, che appare, però chiusa e permette l’accesso al mondo solo grazie alla trasparenza dei vetri. Potrà infatti l’uomo capire fino in fondo il segreto delle cose o sarà condannato ad essere distante osservatore, incapace di tuffarsi nella maestosità del Tutto? L’intero percorso pittorico di Chagall è segnato dall’idea di «entusiasmo» nel senso letterale del termine, ovvero dal desiderio e dalla capacità pittorica di esprimere l’enTheò ìstemi, ovvero lo «stare dentro Dio». Una condizione che l’artista esprime grazie al suo singolare linguaggio poetico, fatto di forme ritagliate e fluttuanti, di associazioni cromatiche improbabili, di reinterpretazioni continue del dato reale in senso onirico. Tutti i movimenti delle avanguardie storiche dei primi decenni del ’900, dall’Espressionismo, al Cubismo, al Blaue Reiter, contribuiscono a creare il tessuto linguistico della poetica di Chagall, ma egli li utilizza sapientemente e li piega alla propria volontà espressiva: l’artista sperimenta, utilizza, ma il motivo dominante, straripante, sarà sempre e solo la sua personalissima poetica. Anche la pittura di Chagall diviene una finestra, aperta a tutti gli influssi esterni che però si mescolano in un nuovo ed irripetibile modo di essere. Si va dal passaggio intimista nei ritratti familiari di quegli anni alle composizioni più articolate, sempre orientate a Bella e Ida, e quando Chagall ritorna in Russia sviluppa una visione differente della finestra che diventa il 'tramite' con la natura e l’umano. In Francia dal 1923 la sperimentazione continua e lafenetre pittorica di Chagall scopre il paesaggio francese, anche qui diretta o virtuale, con l’immagine ripresa dall’alto, e sarà allora la forma ad affiancare il colore e a volte a prevalerlo. Curata da Maurice Fréchuret, direttore dei musei nazionali del XX secolo e da Markus Müller, direttore del Graphikmuseum Pablo Picasso a Münster, nonché da Elisabeth Pacoud-Rème, responsabile delle collezioni presso il museo nazionale Marc Chagall, la mostra costituisce un approccio inedito alla vicenda pittorica dell’artista, capace d’illuminare aspetti ancora poco indagati dell’opera del grande artista.
Chagall e la cultura ebraica centroeuropea, rievocati in un articolo di Giorgio Pressburger.
Sei anni fa, nell’edificio della sinagoga di Budapest furono esposti una sessantina di quadri di Marc Chagall. La mostra durò un mese e ogni giorno una fila lunghissima passava attraverso la porta magnetica allestita in fretta e furia, con tanto di guardie giurate. Quella mostra segnò un’epoca. Nel paese più centrale dell’Europa centrale per la prima volta la comunità ebraica potè issare la sua bandiera: cioè esibire pubblicamente le opere di quel pittore che nel Novecento parlò di quel popolo, il suo, davanti a tutto il mondo. Famoso, amato e qualche volta anche venerato, Chagall rappresentò oltre a uno stile di pittura assolutamente personale, radioso e profondo, raffinato e popolare nello stesso tempo, direi tutta la grande cultura ebraico-centroeuropea del suo tempo. (Come si sa, Chagall era nato in Bielorussia, cioè in uno dei 17 Paesi che tutt’oggi sono costituiti in un organismo il cui nome è Ince, cioè Iniziativa Centroeuropea, e che ha sede permanente, non a caso, nella nostra Trieste). Ma non è questo che fa di lui l’emblema di quella civiltà che ha dato tanti grandi ingegni, nel corso del ventesimo secolo, all’Austria, alla Germania, all’America, alla Cecoslovacchia, alla Polonia, all’Ungheria, ma direi a tutta l’umanità. Chagall, nel corso della sua lunga esistenza, ha conosciuto molti di questi artisti e scienziati, di qualcuno è stato anche amico intimo. Tra questi c’era anche Amedeo Modigliani, ebreo italiano. Ma non era soltanto questo il movimento centrale della vita di Chagall. Come Isaac Babel, anche lui partecipò attivamente alla Rivoluzione d’ottobre mettendo a disposizione di quell’immane onda della Storia tutte le proprie capacità creative. Ma nonostante questo, o forse proprio per questo, nel 1923, poco meno che quarantenne, andò via dalla neonata Unione Sovietica per tornarci soltanto parecchi anni dopo. Un’altra coincidenza strana è quella con il destino di un altro ebreo marxista e grande intellettuale, Walter Benjamin. Quando l’esercito della Germania nazista invase la Francia dove Chagall e anche Benjamin si erano stabiliti, tutti e due tentarono di fuggire in Spagna, nella Spagna neutrale durante la seconda Guerra Mondiale. Benjamin fu fermato e rimandato in Francia, e si uccise con una overdose di morfina. Chagall invece riuscì ad entrare in Spagna e si indirizzò verso gli Stati Uniti. Chagall, come vittima designata tra le tante di quell’epoca sanguinosa, riuscì a sopravvivere a tutto. Allo stalinismo, al nazismo, agli stenti, alla miseria, alle persecuzioni e morì novantasettenne in Francia. La sua è una figura trionfante, in mezzo ad altri artisti, scienziati e pensatori della sua epoca e del suo popolo, che, invece, non riuscirono a vincere la loro battaglia contro la bestialità, almeno in vita. Dopo la loro morte le idee e le opere di molti di loro però, la ebbero vinta ugualmente. Chagall non dovette pagare con la vita né il suo passato di bolscevico, né la sua appartenenza al popolo e alla cultura ebraica del Europa centro-orientale. A lui il mondo ha tributato tutti gli onori, come del resto ha fatto anche con artisti ebrei meno felici e prorompenti, ma altrettanto profondi, come per esempio Franz Kafka. La vittoria di Chagall sulla malvagia violenza, come sui pericoli nascosti nelle idee politiche più apparentemente solidali con i deboli, è una rivincita degli ebrei dell’Europa dell’Est e della loro civiltà. In quelle parti d’Europa il numero degli ebrei oggi è davvero esiguo, ma questo non significa che quell’enorme accumulo di sapere e di creatività che era da loro scaturito, si sia disperso. Anzi.
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