Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Meglio l'atomica iraniana che il raid israeliano rimozione della realtà e pregiudizi nell'analisi di Max Hastings
Testata: Corriere della Sera Data: 09 agosto 2008 Pagina: 47 Autore: Max Hastings Titolo: «Venti di guerra fuori stagione»
Sebbene ammetta che un Iran nucleare renderebbe il mondo più insicuro, Max Hastings, nell'analisi scritta per il Guardian pubblicata dal CORRIERE della SERA dell' 8 agosto 2008 sembra molto più preoccupato dall'eventualità di un attacco israeliano:"le conseguenze di un potenziale — e mi auguro che tale rimanga — attacco israeliano contro l'Iran" scrive " costringerebbero persino gli americani del dopo Bush a capire che non è questo il modo per riportare ordine nel mondo". La via da percorrere è per lui, come da copione, quella del negoziato. Negoziato che potrebbe benissimo durare fino al momento in cui l'atomica iraniana sarà un fatto compiuto. Hastings, come molti altri, sembra ignorare l'evidente strategia dilatoria di Teheran, che si impegna in inconcludenti negoziati con l'Occidente e intanto prosegue la sua corsa verso le bomba. Ancora più grave è l'incapacità dimostrata da Hastings di comprendere che il regime iraniano agisce con finalità e logiche ben diverse da quelle di potenza e di egemonia, e ben più pericolose. Il regime iraniano vuole davvero distruggere Israele, un fatto che, nonostante ripetute ed esplicite dichiarazioni, troppi analisti preferiscono ignorare. Nel caso di Hastings, come in molti altri, le ragioni di questo cecità sembrano risiedere in un forte pregiudizio negativo verso Israele, del quale nell'articolo pubblicato dal CORRIERE si posono individuare numerosi segnali. Hastings è molto preoccupato, oltre che, prevedibilmente, dai neocon, da "qualche pericoloso individuo a Gerusalemme", tiene a far sapere che considera il leader dell'opposizione israeliana Netanyahu"pocoaffidabile", cita imprecisati "eccessi compiuti da Israele", ritiene sia"deplorevole che tanto Israele che il Pakistan posseggano armi nucleari" e anche che gli americani vedano "negli israeliani compagni d'armi contro il nemico comune" del terrorismo fondamentalista. Inoltre suggerisce implicitamente che la connessione tra la crisi iraniana con "quelle riguardanti l'Iraq e Israele" renda auspicabile una soluzione dei problemi mediorentali a spese dello Stato ebraico e delle sua sicurezza ( e della nascente democrazia irachena).
Ecco il testo completo:
Una volta la stagione preferita per dichiarare guerra era al termine del raccolto. Quest'anno si profila un attacco israeliano contro l'Iran verso novembre o dicembre, evitando così ogni imbarazzo agli americani in occasione delle elezioni presidenziali, ma con George Bush ancora alla Casa Bianca durante la fase di transizione. L'anno scorso, in seguito a un rapporto dei servizi segreti americani che scartava l'ipotesi che l'Iran stesse fabbricando armi nucleari, è venuto a mancare il movente per un attacco americano diretto contro gli impianti nucleari iraniani. Ma Gerusalemme e Washington oggi parlano seriamente di un possibile attacco israeliano, per il quale sarebbe indispensabile l'appoggio americano. A Washington nel fine settimana (3 agosto) Shaul Mofaz, il vice ministro della difesa israeliano e candidato alla poltrona di premier, ha accennato a colloqui per metter fine al programma nucleare iraniano: «È una corsa contro il tempo, e il tempo sta vincendo». Per poi reiterare il ben noto monito israeliano, ovvero che il possesso di armi nucleari da parte dell'Iran resta «inaccettabile». Gli ottimisti hanno accolto con favore l'incontro del mese scorso a Ginevra, tra il sottosegretario di Stato americano, William Burns, e i delegati iraniani. Le due nazioni non vedevano un contatto di così alto livello da decenni. Eppure non c'è traccia di un ripensamento iraniano sulle proprie posizioni, ovvero che l'Iran ha il diritto di proseguire nel suo programma di arricchimento dell'uranio. I pessimisti temono che il viaggio di Burns sia servito soltanto a ribadire l'intransigenza di Teheran, che potrebbe giustificare un'azione militare. Il mese scorso, Teheran ha annunciato di disporre di 6.000 centrifughe, un incremento drammatico rispetto agli ultimi dati. Probabilmente un'esagerazione a scopi negoziali, tuttavia la dichiarazione non ha tranquillizzato né l'Onu, né la Ue, né coloro che sperano in un passo avanti verso un accordo. Gran parte degli europei vorrebbe sentire dalla bocca del nuovo idolo americano, Barack Obama, una parola di avvertimento per scoraggiare Israele da qualsiasi intervento militare contro l'Iran. E sebbene Obama non si sia ancora insediato alla Casa Bianca, nessun governo a Gerusalemme può permettersi di sfidare il probabile nuovo presidente americano su un tema di tale gravità. Tuttavia, non c'è candidato alle elezioni americane che osi negare il sostegno a Israele. Le dichiarazioni di Obama durante la visita lampo in Israele il mese scorso erano analoghe a quelle di Bush. Ci si aspetta anzi che nei confronti di Israele Obama si dimostrerà meno radicale, e più accomodante, del previsto. Dal canto suo, McCain si limiterebbe a proseguire sulla strada tracciata da Bush (...). Il costo politico ed economico di una dimostrazione di forza sarebbe comunque spaventoso. Il prezzo del petrolio schizzerebbe verso cifre inimmaginabili. Qualsiasi possibilità di dialogo tra l'Iran e l'Occidente svanirebbe per molti anni a venire. Gli iraniani sarebbero capacissimi di mettere in atto le loro minacce, colpire cioè con azioni terroristiche gli interessi americani in ogni angolo del pianeta. L'ex colonnello dell'aviazione americana, Sam Gardiner, noto analista militare, suggerisce che bombardare l'Iran «non darebbe i risultati desiderati dai politici americani, anzi... Con ogni probabilità produrrebbe appunto i risultati che si vogliono evitare». Il governo iraniano sarà pure senza scrupoli — addirittura fanatico — ma non è pazzo. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad e il supremo leader religioso, l'ayatollah Ali Khamenei, di sicuro avranno fatto i loro calcoli. Gli Stati Uniti si sforzano di sbandierare tutta la sicurezza di una superpotenza, benché azzoppati dalle difficoltà in Iraq e Afghanistan. Vorrebbero marciare sul Medio Oriente lancia in resta, come un antico cavaliere, ma i nemici sanno benissimo che sotto la corazza il nostro paladino sta perdendo molto sangue. Si direbbe che gli iraniani giochino sul fatto che, alla resa dei conti, gli Stati Uniti esiteranno a intraprendere un'azione militare o ad affidarla a Israele, perché i costi appaiono inaccettabili. La prevedibile mancanza di cooperazione da parte di Russia e Cina, che si guardano bene dal condividere i timori occidentali verso Teheran, contribuisce a rafforzare la risolutezza iraniana. Mosca e Pechino non hanno alcun desiderio, né più né meno degli americani, di vedere un Iran equipaggiato di armi nucleari, ma entrambe gongolano davanti all'imbarazzo di Washington e alla possibilità di rafforzare la loro influenza in Medio Oriente a spese degli americani. Per quanto sia profonda l'antipatia europea per Bush, la guerra in Iraq e gli eccessi compiuti da Israele, è importante non perdere di vista alcuni fattori fondamentali. Il governo di Teheran punta all'egemonia regionale, che certo non eserciterebbe in modo illuminato. L'Iran è una dittatura elettiva di natura particolarmente feroce, che nega le libertà civili e calpesta i diritti umani, tra cui anche quelli delle donne. È deplorevole che tanto Israele che il Pakistan posseggano armi nucleari, ma il mondo sarà molto più insicuro quando ne disporrà anche l'Iran. Se il suo desiderio di dotarsi della bomba atomica è palese, nessuno però sa dire esattamente quando sarà in grado di raggiungere il suo scopo. Pertanto l'obiettivo fondamentale degli Stati Uniti merita ampio sostegno, che già riceve dalle Nazioni Unite e dall'Unione europea tramite l'approvazione delle sanzioni. La difficoltà, come al solito, è che tante problematiche diverse sono strettamente intrecciate tra loro, innanzitutto quelle riguardanti l'Iraq e Israele. Se la conclusione appare poco spettacolare, essa corrisponde però alla verità. La follia dell'atteggiamento aggressivo americano nei confronti dell'Iran sta nell'assenza di ogni credibilità. Vale a dire, nessuno mette in dubbio che Bush abbia il potere di lanciare un attacco aereo, o di dare il proprio consenso a Israele di farlo. Resta tuttavia evidente a chiunque, tranne ai neocon e a qualche pericoloso individuo a Gerusalemme, che tale azione è destinata a fallire nel suo intento, con il risultato di aggravare, anziché risolvere, la situazione. Il poco affidabile Bibi Netanyahu, che presto potrebbe assumere la carica di primo ministro israeliano, ha dichiarato che, a suo parere, l'11 settembre è stato «una buona cosa per Israele». Invece, purtroppo, l'attacco terroristico ha sottratto al mondo musulmano tutti gli amici sui quali poteva contare negli Stati Uniti, incoraggiando gli americani a vedere negli israeliani i compagni d'armi contro il nemico comune. Ma le conseguenze di un potenziale — e mi auguro che tale rimanga — attacco israeliano contro l'Iran costringerebbero persino gli americani del dopo Bush a capire che non è questo il modo per riportare ordine nel mondo. Negoziare con gli iraniani è un compito snervante e ingrato, è vero. Ma bombardarli sarebbe una catastrofe per tutti noi. Tra oggi e il prossimo gennaio, speriamo che tantissime dita restino saldamente incrociate.
Per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera cliccare sul link sottostante lettere@corriere.it