L' ESPRESSO di venerdì 8 agosto 2008 pubblica l'ennesima analisi della crisi iraniana che propone soluzioni del tutto indeterminate.
Per altro già tentate in varia forma e ripetutamente fallite: " un'energica azione diplomatica ", "un rinnovato impegno da parte degli Stati Uniti", "convincere Teheran a non puntare su queste armi come ultima garanzia della sua sicurezza", "dar modo all'America, all'Europa e al mondo intero di indurre l'Iran ad accettare controlli sul suo programma nucleare".
Come si vede, parole vuote, che non indicano nessuna via concretamente percorribile per fermare la corsa all'atomica del regime di Teheran.
Ecco il testo completo dell'articolo, di Paul Salem:
Gli eventi seguiti all'11 settembre 2001 non hanno prodotto quei risultati che George W. Bush o Osama Bin Laden auspicavano. Quest'ultimo ha cercato di scatenare una guerra santa sunnita per richiamare il mondo islamico alla vera fede, mentre il primo sperava di sfondare in Afghanistan e in Iraq, rovesciare i regimi esistenti in Siria e in Iran e assicurare l'integrazione del Medioriente attraverso una pax americana. Ma con il passare del tempo, è ormai chiaro che il principale vincitore nel conflitto fra Bush e Bin Laden è il nemico numero uno di entrambi: l'Iran rivoluzionario sciita.
La comunità internazionale deve dunque affrontare due serie di problemi con questo Paese in ascesa. La prima: sul piano locale, molte nazioni temono che l'Iran possa svolgere un ruolo destabilizzante in Iraq, nel Libano e in Palestina e che questo esasperi le tensioni fra sunniti e sciiti nella regione. La seconda: a livello internazionale, il programma nucleare dell'Iran desta preoccupazioni nel mondo intero.
Gli ultimi negoziati fra Europa e Iran a Ginevra si sono risolti, ancora una volta, in modo inconcludente, nonostante la partecipazione, per la prima volta, di un alto esponente dell'amministrazione americana.
Quanto più si cerca di indurre l'Iran a miti consigli, tanto più Teheran radicalizza le sue posizioni e la dinamica della competizione elettorale tra le fazioni della Repubblica islamica favorisce questa tendenza ideologica. L'irriducibile presidente dell'Iran, Mahmud Ahmadinejad, incapace di assicurare il benessere economico e sociale del Paese, trova conveniente assecondarla per guadagnare consensi; e il fatto che ogni sua sortita - con la conseguente reazione degli Stati Uniti - faccia salire i prezzi del petrolio, lo rende ancor più felice.
Dal punto di vista internazionale, l'amministrazione Bush ha seguito una politica controproducente, bollando l'Iran come un 'paese canaglia' e cercando di distruggerlo, ma pretendendo al tempo stesso che abbandonasse il programma nucleare. Senza rendersi conto, in questo modo, che proprio queste minacce sono il motivo principale per cui Teheran non vi rinuncia, in quanto unica garanzia contro lo stesso destino subito dai suoi due paesi più vicini, l'Afghanistan e l'Iraq.
Il tentativo di renderlo più ragionevole non è un'impresa facile. Molto dipende dagli iraniani stessi, la maggior parte dei quali non condivide la politica interna ed estera del proprio governo. La popolarità di Ahmadinejad è oggi in declino in Iran quanto quella di Bush negli Stati Uniti. Entrambi i paesi avranno probabilmente nuovi presidenti l'anno prossimo.
Per moderare le politiche iraniane in Medio Oriente sarà necessaria un'energica azione diplomatica che costringa Teheran e i suoi vicini - Arabia Saudita, Turchia, Iraq, Siria ed Egitto - a gettare le basi di un comune futuro nella regione. Come pure un rinnovato impegno da parte degli Stati Uniti, che restano la principale potenza esterna capace di esercitare un'influenza su quest'area.
Quanto alla questione nucleare, non esistono facili soluzioni, anche se le iniziative attuali non stanno producendo risultati. Per ottenerli, gli Stati Uniti, dopo le elezioni presidenziali, dovranno rinunciare a demonizzare l'Iran e cercare di normalizzare le loro relazioni con questo paese, continuando a ribadire, contemporaneamente, che la sua corsa agli armamenti nucleari è inaccettabile. Se si vuole porre fine alla guerra fredda fra l'Iran e gli Stati Uniti, bisogna convincere Teheran a non puntare su queste armi come ultima garanzia della sua sicurezza. E dar modo all'America, all'Europa e al mondo intero di indurre l'Iran ad accettare controlli sul suo programma nucleare, rientrando a far parte della comunità internazionale.
traduzione di Mario Baccianini
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