Al Qaeda non sfida la Cina l'analisi di Federico Punzi
Testata: L'Opinione Data: 05 agosto 2008 Pagina: 0 Autore: Federico Punzi Titolo: «Al Qaeda non accetta la sfida con la Cina»
Da L'OPINIONE del 5 agosto 2008
Finora erano state le immagini della repressione in Tibet e della fiaccola olimpica assediata dai dimostranti nelle capitali occidentali a minacciare di rovinare la festa al Partito Comunista cinese. L’attentato di ieri nello Xinjiang, a quattro giorni dall’inaugurazione dei Giochi olimpici, dimostra quanto sia potenzialmente esplosiva la combinazione tra possibili gesti disperati da parte di dissidenti e minoranze oppresse per attirare l’attenzione del mondo e una probabile reazione nazionalista dei cinesi. Da “sogno” le Olimpiadi si sono trasformate in incubo per la leadership cinese. Diritti umani, inquinamento, attentati. Ieri ha ottenuto una qualche visibilità mediatica anche la protesta, vicino a Piazza Tienanmen, di un gruppo di famiglie sfrattate.
Lo Xinjiang è una vasta regione nordoccidentale, 1/6 del territorio cinese, in maggioranza abitata dagli uiguri, prevalentemente musulmani. Pechino pratica nella regione una politica di sinizzazione identica a quella attuata in Tibet, incoraggiando da decenni la migrazione di milioni di cinesi Han, che oggi rappresentano il 40% della popolazione, contro il 5% negli anni ’40. Il Congresso mondiale degli uiguri – movimento democratico la cui leader, Rebiya Kadeer, è stata ricevuta dal presidente Bush la settimana scorsa – ha preso le distanze dal Movimento islamico del Turkestan orientale, ritenuto dai cinesi responsabile dell’attacco. Ma le cose appaiono più complicate.
Molti esperti ritengono che Pechino esageri la minaccia terroristica per giustificare una feroce repressione nei confronti della dissidenza uigura. Il Movimento islamico del Turkestan, gruppo terroristico anche secondo l’Onu, è stato accusato di preparare migliaia di attacchi, ma bisogna essere “molto sospettosi con queste cifre”, osserva Andrew Nathan, della Columbia University. Molti degli atti “terroristici” che Pechino gli attribuisce non sono che “spontanee e disorganizzate forme di malcontento civile”. Così farebbero pensare gli strumenti rudimentali usati nell’attacco di ieri. Secondo Nicholas Bequelin, di Human Rights Watch, l’organizzazione potrebbe persino essere defunta, o comunque non avere legami effettivi con Al Qaeda.
La Cina ha rafforzato i legami diplomatici ed economici con le nazioni confinanti che avrebbero potuto avere interesse ad aiutare gli uiguri, ottenendo così la loro cooperazione nelle politiche anti-separatiste. L’intelligence cinese si è rivolta a Pakistan e Iran, perché convinta che a cavallo dei confini con entrambi si nascondano nuclei di jihadisti uiguri legati sia ai talebani che alla galassia qaedista. Eppure, da alcune fonti pare che essi non godano di grandi simpatie all’interno di Al Qaeda. “Che interesse abbiamo a spingere la Cina contro i musulmani in questo momento?”, si chiede Kasir al-Asnam, uno dei membri dei forum che diffondono su web la propaganda di Al Qaeda. “Lasciate stare la Cina, adesso abbiamo altre priorità. In questo momento la Cina è un Paese non in guerra con noi. Azioni di disturbo come queste non rispondono né dalla sharia né al buon senso”. In nessuno dei messaggi sui forum si sostiene l’attentato nello Xinjiang. Viene invece ricordato più volte come nessuno dei capi abbia mai menzionato la Cina. Realpolitik di Al Qaeda.
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