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Il Foglio Rassegna Stampa
05.08.2008 Il bilancio del governo Olmert e la faida interna al regime siriano
che non rinuncia all'allenza con l'Iran

Testata: Il Foglio
Data: 05 agosto 2008
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Ripensando a Olmert - Perché il patto tra l’Iran atomico e la Siria è a prova di cecchino»
Un editoriale del FOGLIO del 5 agosto 2008 propone un bilancio del governo Olmert:

L’addio alla politica annunciato da Ehud Olmert per ottobre, quando Kadima avrà scelto il suo successore, consente di cominciare a tracciare un bilancio dell’azione del premier israeliano. Gli sono stati imputati vari errori, a cominciare dall’attacco a Hezbollah, condotto con scarsa decisione e concluso senza un esito definitivo, che ha consentito alle milizie terroristiche di proclamarsi vincitrici e di ipotecare così in modo pesante l’equilibrio di potere libanese. E’ un tema difficile da discutere, visto che ovviamente non si può dire che cosa sarebbe capitato se gli assalti di Hezbollah alla frontiera fossero stati tollerati, o se, al contrario, si fosse arrivati a una guerra generale con il Libano per debellare i terroristi. Quello che invece appare evidente è che le proposte di trattativa offerte da Olmert a palestinesi e siriani, pur un po’ indigeste per l’opinione pubblica israeliana, hanno avuto e hanno un effetto dirompente al di là dei confini. In Siria la faida tra filoiraniani e settori preoccupati della sottomissione alla teocrazia degli ayatollah prosegue, ha già prodotto il defenestramento del capo dei servizi segreti, cognato e rivale del presidente, l’assassinio del capo militare di Hezbollah e ora quello di un generale loro amico. In Palestina Hamas e Fatah si combattono senza tregua, ma ambedue, in un modo o nell’altro, trattano con Israele, pur accusandolo a parole di tutti i loro guai. Questo è il vero bilancio della politica di Olmert, ed è proprio difficile considerarlo del tutto fallimentare.

Un'analisi sull'alleanza tra Siria e Iran:

Roma. Mahmoud Ahmadinejad ha scelto la visita a Teheran del presidente siriano Beshar el Assad per chiudere ogni porta alla speranza di un’adesione alle proposte di mediazione avanzate il 19 luglio dal “5+1”: “Quando noi partecipiamo a un qualsiasi negoziato lo facciamo inequivocabilmente con un occhio rivolto alla realizzazione del diritto al nucleare dell’Iran, quindi la nazione iraniana non arretrerà di uno iota dai suoi diritti”. Quanto anticipato da Ahmadinejad è stato poi confermato ieri nel colloquio telefonico tra Javier Solana, e il capo negoziatore iraniano per il nucleare, Saeed Jalili, giudicato “inconcludente” da fonti europee. Teheran infatti continua a rifiutare qualsiasi ipotesi che contempli il congelamento delle attività di arricchimento dell’uranio. Il rifiuto ha una motivazione politica eversiva: il regime degli ayatollah, come Ahmadinejad ha detto anche alle Nazioni Unite a New York, non riconosce legittimità all’attuale assetto dell’Onu (ha anche chiesto di fare parte dei membri permanenti del Consiglio con diritto di veto) e non intende riconoscere come legittime le richieste che vengono dall’Onu stessa. Tantomeno dopo che la stessa agenzia nucleare dell’Onu, l’Aiea, ha sostenuto che le rilevazioni sin qui fatte “destano preoccupazione”. Gli Stati Uniti hanno subito chiesto che l’Onu adotti al più presto nuovi provvedimenti contro Teheran. La scelta di formalizzare questo rifiuto tutto politico al fianco di Assad ha fornito ad Ahmadinejad anche l’occasione per smentire in maniera plateale tutti coloro che in America e in Europa giudicavano lo stesso Assad pronto a “sganciarsi” dall’alleato iraniano. Al contrario, il dittatore siriano, che ha celebrato nel corso di tutta la visita l’alleanza politico-militare che regge da 29 anni, ha colto l’occasione per rinunciare all’offerta di Nicolas Sarkozy. Questi, infatti, con una mossa di stampo neogollista, aveva deciso di invitarlo a Parigi con tutti gli onori – compreso il palco in posizione privilegiata alla parata del 14 luglio – nella convinzione di poterlo persuadere a fare da ponte con l’Iran. Una vera smarcatura da Washington, che ha suscitato reazioni negative anche in Francia. Dopo la visita a Parigi, lo stesso Assad aveva rivelato che Sarkozy gli aveva chiesto di svolgere un’attività di mediazione con Teheran. Ma, arrivato in Iran, a fianco di Ahmadinejad in conferenza stampa, Assad ha smentito il mandato che gli sarebbe stato assegnato da Sarkozy: “Non sono un mediatore e non sto portando alcun messaggio da parte di leader occidentali. Il fine della Siria è capire innanzitutto la posizione iraniana e in seguito delineare se c’è la possibilità di giocare un ruolo oppure no”. Per Assad, dunque, a essere prioritaria è l’alleanza con gli ayatollah, e solo in un secondo momento un’eventuale funzione di mediazione. Una secca risposta a tutte le analisi che davano per matura la possibile crisi dell’alleanza che tiene sotto controllo in questo momento larga parte del medio oriente (il Golfo, il Libano, la guerriglia irachena e Gaza). L’alleanza tra Damasco e Teheran continua però a essere attraversata da una serie impressionante di omicidi politici che colpiscono gli uomini più vicini ad Assad. Nelle stesse ore in cui il presidente era a Teheran, nel porto siriano di Tartus un cecchino ha ucciso il generale siriano Mohammed Suleiman, suo strettissimo consigliere e ufficiale di collegamento con le milizie sciite di Hezbollah. Un assassinio tecnicamente impossibile – in teoria – perché Suleiman era considerato il “braccio destro di Assad” ed era quindi più che protetto. Un omicidio politico che rimanda ai misteri della morte di sei mesi fa di Imad Mughniyeh, comandante in capo dell’ala militare di Hezbollah, ucciso da un’autobomba a Damasco in un altro attentato tecnicamente impossibile viste le misure di protezione che lo circondavano.

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