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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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André Aciman Chiamami col tuo nome 04/08/2008

Chiamami col tuo nome                   André Aciman

Guanda                                           Euro 15,50

 

 

 

 

 

Era caldo come adesso quando Elio e Oliver arrivarono a Roma. Tanto caldo che quasi soffocarono. Ma del loro stesso amore, più torrido del mese di luglio. E’ il racconto di vent’anni fa: vent’anni da quando? Si parte dall’euforia della Dolce vita, dall’austerity, dagli anni di piombo? Poco importa, il romanzo neanche lo precisa. In quelle ore nella capitale, i ragazzi ebbero appena il tempo di assaggiare l’ebbrezza dell’abbandono, prima che la lontananza e l’età adulta li strappasse. Che era nato all’inizio delle vacanze, in un angolo di Liguria in cui rimase incollato anche Monet. André Aciman, l’autore di Chiamami col tuo nome, si asciuga il sudore accecato dai rossi, dagli ocra, dai bianchi di una Roma che continuamente lo trafigge di rimandi proustiani. I turisti cercano ristoro all’ombra delle colonne del Pantheon, lui sfida la canicola, affonda i sandali nell’asfalto liquido, cammina a passo spedito verso Piazza Navona, dove quella notte Elio e Oliver…

 

 

“Com’è strana la vita”, dice in un italiano perfetto, “sono finito in un albergo che una volta era un cinema. La mia sala preferita quando abitavo a Roma”. E’ in vacanza per cinque giorni, ha rubato un’ora per il nostro incontro alla passeggiata con la moglie e i tre figli maschi, uno di 17 anni e due gemelli di 16. “Ho chiesto ai ragazzi se gl’importava che scrivessi una storia gay. “Papà, avremmo preferito che fosse una love story tra un uomo e una donna” hanno detto, “ma perché no? Nessuna obiezione da parte di mia moglie, mai stati gelosi del nostro passato”, dice Aciman, 57 anni, professore di Letteratura comparata alla City University di New York.

 

 

Ha abitato per qualche tempo a Roma, nel cuore degli anni Sessanta, proveniente da Alessandria d’Egitto, dove è nato. “La mia è una famiglia di ebrei sefarditi, rifugiati in Turchia dopo l’espulsione dalla Spagna, nel 1492. Alla fine dell’Ottocento si trasferirono tutti in Italia. Un mio prozio diventò amico di Fuad d’Egitto all’Università di Napoli. Il re gli propose di aprire delle attività nel suo Paese e di trasferirsi ad Alessandria. Le cose si complicarono dopo il 1956, quando per una famiglia di ebrei europei diventò impossibile restare nel Paese. Espulsi, arrivammo in Italia nel 1965, restammo a Roma per tre anni, prima di trasferirci negli Stati Uniti. Abitavamo all’Alberone, un quartiere poco romantico, ma viaggiavo spesso. Fu andando in treno a Parigi che scoprii l’incanto della costa ligure” (è tutto raccontato in Out of Egypt, che Guanda pubblicherà a fine anno).

 

 

Proprio lì Acimen immerge la sua storia d’amore, pura, assoluta, vertiginosa, al cospetto della quale le categorie si disintegrano. Negli Usa il libro ha creato un piccolo caso letterario: la scrittura trascina il lettore, lo commuove, lo ingelosisce persino, come certe pagine di Balzac (Un altro mondo) o Leonard Cohen (Belli e perdenti), autori che Aciman non ha letto, caparbiamente devoto a Proust (nel 2004 ha curato The Proust Project) e ai classici.

 

 

“Ho ereditato da mio padre, morto un mese fa, a 93 anni, l’amore per i grandi e l’idiosincrasia per i derivati. Non amava le convenzioni e mi ha insegnato a rispettare l’eccellenza in ogni forma d’arte. Oggi molti trovano l’eccellenza troppo impegnativa, peggio per loro”.

 

 

La comunità gay americana ha finto d’ignorare Chiamami col tuo nome, come se la love story tra due uomini raccontata da un marito non avesse credibilità, come se l’urgenza della scrittura di Aciman non bastasse a garantire onestà. “L’ho scritto in preda a una furia emotiva”, racconta lo scrittore. “Mai stato così ispirato in vita mia. Volevo una storia dell’amicizia perfetta, della fratellanza perfetta, della perfetta intimità. Perché, a essere sincero, non so esattamente cosa sia l’amore perfetto. Se un’amicizia è superintesa, deve essere per forza qualcosa che si avvicina all’amore. Più che un rigurgito autobiografico, questo libro è il compendio di tutte le mie storie d’amore.Credo che, nella vita, tutti ne viviamo una sola. Le successive tendono a ripetersi. Così, ogni relazione sentimentale ha lo stesso plot, è alimentata dagli stessi bisogni”.

 

 

Sospesi nella magia della Riviera, Elio (17 anni) e Oliver (24) condividono un’intimità totale (al punto da chiamare l’altro col proprio nome nei momenti in cui i corpi si fondono) che, come in una straziante pop song anni Sessanta, si congela alla fine dell’estate, quando l’amico americano, dopo il rovente weekend romano, rientra negli States. “Non credo che il romanzo sia dettato dall’urgenza di esprimere sentimenti adolescenziali che l’età adulta uccide” puntualizza Aciman. “Se Elio avesse avuto 60 anni invece di 17, si sarebbe comportato alla stessa maniera. Non è la pulsione omosessuale che ci rende ipocriti, come molti credono, ma il desiderio puro e semplice. Un eccesso di desiderio ci fa vergognare, eppure non riusciamo a soffocarlo, neanche la società ci riesce. L’uomo vuole a ogni costo quel che desidera. Se non va fino in fondo (il caso del padre di Elio) è perché l’opportunità non si presenta o perché non sa come crearla”.

 

 

Elio e Oliver, adulti, si incontrano di nuovo. Fuori dall’abbraccio della Riviera, disorientati negli spazi immensi del New England, soffocano la tentazione di ricominciare. Elio confessa: “Non mi è mai passata”; Oliver, che ormai ha famiglia tenta di allentare la tensione: “Che scemo sei!”. Poi si perdono perché la vita corre e – come in quella magica, surreale ultima notte romana in cui ebbero così tanto da fare e da dire che neanche fecero in tempo a far l’amore – oggi è già domani. “L’amore non muore mai”, conclude Aciman, mentre si allontana da Via dell’Anima, dove quella notte Elio e Oliver….”Si può ricominciare? Sì, sempre. Se la vita, piena di odiose contingenze, non frapponesse un ostacolo dietro l’altro”.

 

 

 

 

 

Giuseppe Videtti

 

 

Il Venerdì - La Repubblica delle donne

 

 


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