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Il Foglio Rassegna Stampa
31.07.2008 La sentenza della Corte suprema turca: nessun bando per l'Akp, ma una multa per gli attacchi alla laicità dello Stato
l'analisi di Carlo Panella

Testata: Il Foglio
Data: 31 luglio 2008
Pagina: 2
Autore: Carlo Panella
Titolo: «La Corte non bandisce Ergodan. Così toghe e truppe difendono la democrazia turca»
Da Il FOGLIO del 31 luglio 2008:

La Corte suprema di Ankara ha emesso la sua sentenza: nessun bando al partito di governo, l’Akp, con conseguente crisi istituzionale, ma una multa salata per punirlo delle offese alla laicità dello stato. Il presidente della Corte, Hasim Kalic, ha rivelato che cinque giudici su undici erano favorevoli alla chiusura dell’Akp: si è però deciso di decurtare i finanziamenti pubblici come “avviso di pericolo” per il futuro. Il governo Erdogan è stato sanzionato ma non delegittimato. Questa sentenza spiega all’Europa quello che l’Europa non vuole capire. Illustra per la quinta volta un fatto tanto semplice quanto indigesto per la cultura politica occidentale: se si seguono le regole di Montesquieu in un paese islamico, si va verso la dittatura fondamentalista. Se invece si seguono le regole della Costituzione turca e il ruolo abnorme delle forze armate – che hanno la loro interfaccia politica nella Corte suprema – si va verso quello strano sistema kemalista di pesi e contrappesi che ha trasformato il paese nell’unica democrazia matura in tutto il mondo musulmano. Gli undici giudici della Corte non hanno tenuto in considerazione soltanto la legge che permette il velo nelle università. Hanno agito, invece, consapevoli di una patologia tutta islamica, una sindrome che prende il nome da una data e da un paese: gennaio 1991, Algeria. Allora, la prima apertura democratica in un paese arabo, musulmano e apparentemente laico, terminò con una vittoria elettorale netta dei fondamentalisti, vanificata dalla decisione di annullare il voto con l’intervento dell’esercito. Scelta autoritaria che sfociò in una guerra civile durata sino al 1998 che fece 150.000 morti. Il tema su cui i giudici costituzionali turchi si sono espressi è questo: Erdogan, il suo partito e il suo governo hanno scarrocciato verso una gestione fondamentalista dello stato o hanno rispettato i principi laici stabiliti dalla Costituzione? La Corte ha sanzionato simbolicamente l’imperfetta difesa dei principi di separazione tra stato e religione perché gode di una legittimità indiscutibile che deriva anche dal legame con le Forze armate. Una legittimità che non è semplicemente scritta nella Carta ma è incarnata da 48 anni di interventi di questo tipo, di destituzioni radicali di governi regolarmente eletti, sempre all’insegna della democrazia. L’unico paese islamico con una democrazia matura è l’unico in cui l’esercito ha vegliato in armi sulla laicità dello stato. Lo ha fatto nel 1960 contro il golpe autoritario di Menderés, nel 1980 destituendo governo e Parlamento per 18 mesi e ristabilendo l’ordine dopo avere salvato il paese dal terrorismo di destra e di sinistra. Lo ha fatto nel 1996, nel 1999 e nel 2001 sciogliendo i partiti che facevano riferimento a Necmettin Erbakan, un fondamentalista islamico e anti israeliano, e anche quelli che facevano capo all’attuale premier, Tayyip Erdogan, e al presidente della Repubblica, Abdullah Gül. Questi atti congiunti della Corte e delle Forze armate hanno isolato le posizioni estremiste di Erbakan e favorirono lo spostamento di Erdogan, di Gül e del loro Akp verso un islam marcatamente democratico. Se l’Europa non avesse avuto falsi miti, si sarebbe posta da tempo il problema di comprendere l’originale fenomeno che cozza con i “fondamenti” della democrazia occidentale, ma è perfetto per difendere quelli della democrazia turca. L’Europa, invece, ha imposto alla Turchia i “parametri di Copenhagen” quale precondizione all’ingresso nell’Unione, parametri che non sono calibrati sul contesto islamico ma sul processo di transizione degli ex paesi comunisti, assicurando un grande favore a Erdogan e all’ala fondamentalista dell’Akp. L’Ue ha tolto l’unico ostacolo all’influenza crescente degli islamisti sul governo, che ha promosso provvedimenti di marca fondamentalista. Per la Corte, Erdogan non ha saputo difendere la separazione tra stato e religione: la sentenza di ieri è un cartellino giallo. Riprova che la strana democrazia turca, tutelata dai generali, funziona.

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