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Giorgia Greco
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Erwin A. Schmidl I soldati ebrei nell’esercito asburgico 28/07/2008

I soldati ebrei nell’esercito asburgico 1788-1948                  Erwin A. Schmidl

Tavole a colori di Ilario Bailot

 

Leg, Gorizia                                     Euro 20

 

 

 

 

 

Duecentoventi anni fa, il 4 giugno 1788, l’impero degli Asburgo iniziò ad arruolare soldati ebrei in tutte le sue terre, prima di qualsiasi altro Paese europeo. Fino ad allora gli ebrei erano stati considerati “non reclutabili”. Per molti di loro era un “privilegium onorabile”, ma tale condizione positiva era degenerata in una discriminazione, un “privilegium odiosum”.

L’importante studio dello storico austriaco Erwin A. Schmidl, I soldati ebrei nell’esercito asburgico, ha il merito di ricostruire un momento significativo della storia militare europea e in generale di quella del popolo ebraico. Sotto quest’ultimo aspetto l’interesse è evidente per la proposta di analisi sul tema dell’integrazione in una società: l’obbligo di leva era condizione necessaria per accedere ai diritti civili e l’antisemitismo svanì in Austria, soprattutto tra il ceto militare, sotto il regno di Giuseppe II.

 

Schmidl, inoltre, offre una meticolosa analisi degli anni della Grande Guerra, quando nell’esercito imperial-regio servirono 300mila ebrei e gli ufficiali erano circa 25mila. Gli ebrei si identificarono con la monarchia danubiana e sostennero il conflitto con slancio patriottico. Non è un caso se la canzone più famosa della Grande Guerra fu scritta da un ebreo, Hugo Zuckermann: il suo Reiterlied, musicato da Franz Lehàr, traduce bene lo spirito del 1914.

 

La fortuna dei soldati ebrei in Austria durò anche dopo il crollo dell’impero nel 1918, ma finì con l’Anschluss alla Germania nel 1938. Molti ufficiali furono assassinati dai nazisti, come Johann Friedlander, che si era distinto nell’esercito asburgico. Altri riuscirono a fuggire dalla barbarie che seppellì l’integrazione ebrea nella società austriaca. Sigmund Friedmann, ad esempio, raggiunse la Palestina e, con il nome di Eitan Avisar, divenne il vice capo di Stato Maggiore dell’Haganah, l’esercito israeliano clandestino; più tardi fu Aluf (maggiore generale). Rudolph Low e Wolfgang (von) Weisl furono orgogliosi del loro passato nella kaiserlicht und koniglich Armee e, come ufficiali, costituirono la base del giovane esercito.

 

Incuriosisce questo legame tra il venerabile esercito imperial-regio e quello nascente d’Israele, ed è auspicabile un approfondimento sul tema da parte dell’autore. Sovviene la nostalgia di François Fejto per l’”empire défunt”, simbolo di una felice coesione di popoli differenti per religione e nazionalità. Chissà se la speranza di pace espressa da Benny Morris in Two Peoples, One Land potrà concretizzarsi in uno Stato multinazionale, sul modello della Duplice monarchia degli Asburgo? D’altro canto la principale corrente del movimento sionista, guidata, come abbiamo visto, anche da pragmatici ex soldati asburgici e minacciata dall’assalto nazista contro gli ebrei in Europa, accettò l’idea di condividere il Paese con gli arabi (dopo aver diviso le sorti di un grande impero con austriaci, ungheresi, sloveni, galiziani polacchi e musulmani di Sarajevo): perché c’era il bisogno immediato di un porto sicuro, per quanto piccolo.

 

 

 

Roberto Coaloa

 

Il Sole 24 Ore

 


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